Vecchie tariffe forensi: resta inderogabile il minimo tabellare

Qualora le parti abbiano stabilito espressamente o per facta concludentia un compenso inferiore ai minimi stabiliti dalla tariffa ex art. 24, l. n. 794/1992, il giudice è tenuto a determinare l’ammontare dell’onorario in una cifra fra il minimo ed il massimo tabellare ed in nessun caso potrà essere deciso un compenso in misura inferiore a quella tabella.

Con la sentenza n. 8648/14, la Corte di Cassazione si occupa del pagamento dell’onorario professionale all’avvocato, avuto riguardo ai previgenti minimi tariffari ex art. 24, l. n. 794/1992 secondo cui gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili. Ogni convenzione contraria è nulla . Il caso. Il Tribunale condannava una società al pagamento della somma di euro 67.091,06, oltre spese di giudizio, in favore di un avvocato per prestazioni professionali dallo stesso eseguite. Il giudice di prime cure, tuttavia, aveva ridotto l’originaria pretesa del legale, ammontante ad euro 96.658,53, non riconoscendo alcuni rapporto ed elidendo alcune voci, non tenendo conto di accordi forfettari intesi a contendere e determinare l’entità del suo onorario in misura inferiore ai minimi tariffari. Il Collegio adito, infatti, propendeva per la radicale nullità della convenzione inter partes stipulata con cui era stato stabilito che il professionista fosse remunerato in modo indistinto ed a forfait per una pluralità di prestazioni pattuizione, questa, in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi tariffari ex l. n. 794/42. Insoddisfatta della decisione, ricorre per cassazione la società. Pattuizioni inferiori ai minimi tariffari. La società ricorrente affida le proprie doglianze a 2 motivi di impugnazione. Innanzi tutto, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per omessa decisione ed esame di un documento in atti, e vizio di motivazione circa un fatto decisivo. Si duole, infatti, per non avere il Tribunale ben interpretato l’accordo sull’onorario intercorso con il professionista. A dire della società si tratterebbe di pattuizioni inferiori ai minimi tariffari, ma sottratte alla indisponibilità del contraente trattandosi di un suo diritto patrimoniale preventivamente rinunciabile nell’alveo negoziale. Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 c.c., 1372 c.c. e 1218 c.c. Secondo la ricorrente si è alla presenza di un vero e proprio accordo contrattuale che ha forza di legge tra le parti, non trattandosi affatto di meri accordi amichevoli , come invece, a torto, ritenuto dal Tribunale. Secondo il Supremo Collegio il ricorso è infondato. Per gli Ermellini, infatti, l’accordo in parola è vietato per aver vulnerato principio che, ai sensi dell’art. 24 l. n. 794/1992, impone di non derogare i minimi della tariffa forense all’epoca dei fatti vigente . Concludendo. Non ha alcun pregio, dunque, la natura del patto derogatorio, se integrante un contratto ovvero un’intesa amichevole , nel momento in cui poi sia venuta meno la volontà di una delle parti di darvi spontanea esecuzione. D’altra parte, la pronuncia della Cassazione in esame si è perfettamente conformata alla costante giurisprudenza formatasi sul punto Cass., n. 3221/1988 , secondo cui una volta acclarata la violazione dell’art. 24, l. n. 794/1992, il Tribunale è tenuto stabilire un compenso medio, ossia un onorario che si collochi fra il minimo ed il massimo tabellare.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 febbraio 17 aprile 2014, n. 8948 Presidente Goldoni Relatore Bursese Svolgimento del processo 1. - la spa OCMA propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso l'ordinanza depositata in data 30.06.2007, resa, ai sensi degli artt. 28 e 29 L. n. 794/42 , dal Tribunale di Ascoli Piceno, con la quale era stata liquidata in favore dell'avv. A.D. la somma complessiva di 67.091,06, oltre le spese di giudizio, che veniva posta a carico della cliente soc. OCMA a titolo di onorari professionali. Il tribunale aveva in tal modo ridotta l'originaria richiesta del legale pari a 96.658,53 , non riconoscendo alcuni rapporti e riducendo alcune voci, non tenendo conto di accordi forfettari intesi a contenere e determinare la misura dei compensi del professionista in misura inferiore ai minimi tariffari. In modo particolare, in relazione alla causa contro la soc. Gedip, osservava il tribunale, che doveva ritenersi radicalmente nulla anche la relativa convenzione che prevedeva che il professionista fosse remunerato in modo indistinto e a forfait per una pluralità di prestazioni tutto ciò in quanto ritenuto in contrasto con il principio dell'inderogabilità dei minimi della tariffa forense di conseguenza il tribunale aveva provveduto a liquidare l'ammontare dell'onorario in misura non inferiore al minimo tabellare. II ricorso per cassazione si articola su 2 mezzi con cui si chiede l'annullamento dell'ordinanza impugnata soltanto nel punto in cui si statuisce sul compenso dovuto per la causa promossa contro la Gedip. Resiste con controricorso l'avv. D Motivi della decisione 1. - Con il 1 motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per omessa decisione ed esame di un documento in atti e vizio di motivazione circa un fatto decisivo. Osserva l'esponente che tra le parti era stato raggiunto un accordo, prima dell'introduzione del contenzioso, volto a stabilire forfettariamente e preliminarmente il compenso dovuto al professionista per l'intero giudizio contro la GEDIP, accordo successivamente del tutto disatteso dall'avv. D Tale accordo denominato è del seguente testuale tenore OCMA/GEDIP Causa avanti il Tribunale AP - in base agli accordi saranno dovute solo le somme che verranno recuperate dalla controparte, salvo la somma minima concordata in ogni caso dovuta di 3.600,00 L. 7.000.000 . L'avv. D. non ha rispettato tale accordo, mentre il Tribunale ne ha sanzionata la nullità in quanto recante, a suo avviso una somma inferiore agli onorari minimi per le prestazioni di avvocato, inderogabili per legge. Si tratta di una pattuizioni la quale, ben lungi dall'essere contraria al divieto di pattuire compensi inferiori ai minimi tariffari è invece espressione delle piena e valida rinunciabilità preventiva ai compensi medesimi perché esprime, senza dubbio alcuno, la volontà di consentire la disponibilità, in capo al professionista del diritto patrimoniale al compenso. Invero il collegio ha definito a torto amichevoli detti accordi intercorsi con il legale, quando in realtà si trattava di affari e più propriamente di contratti. 2. - Con il 2 motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1322 c.comma c.comma c.c., nonché il vizio di motivazione circa un fatto controverso. Ribadisce l'esponente che il patto in esame costituisce sempre un contratto che come tale ha forza di legge tra le parti , per cui il Collegio è incorso in grave errore di diritto per avere definito gli accordi predetti come accordi amichevoli. In effetti la clausola di cui sopra si configura come un contratto vero e proprio e non come un mero accordo amichevole, come invece ritenuto dal tribunale. Entrambe le doglianze - congiuntamente esaminate in quanto strettamente connesse - non hanno pregio. Invero la ricorrente mostra di non cogliere la ratio decidendi del giudice di merito, che si riferisce unicamente alla sancita nullità del patto relativo al compenso riguardante la causa con la Gedip, in quanto ritenuto in contrasto con il principio dell'inderogabilità dei minimi della tariffa forense previsto dall'art. 24 della legge n. 794/1992, all'epoca vigente di conseguenza lo stesso tribunale ha provveduto a liquidare l'ammontare dell'onorario in misura non inferiore al minimo tariffario. Si ricorda che secondo il citato art. 24 Gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili. Ogni convenzione contraria è nulla. Questa S.C. ha precisato al riguardo che, qualora le parti abbiano stabilito espressamente o per facta concludentia un compenso inferiore ai minimi stabiliti dalla tariffa, il giudice è tenuto a determinare l'ammontare dell'onorario in una cifra fra il minimo ed il massimo tabellare ed in nessun caso potrà esser deciso un compenso in misura inferiore a quella tabellare v. Cass. n. 3221 del 28/04/1988 Cass. n. 1043 del 19/02/1981 . Il tribunale in sostanza ha puntualmente seguito, nel caso in esame, la predetta giurisprudenza, allorché ha riliquidato i compensi convenzionalmente stabiliti in misura inferiore al minimo tariffario. Sotto tale profilo non ha alcun rilievo al questione della natura del patto stesso se integrante un contratto vero e proprio, ovvero un patto amichevole , anche se , è bene precisare che in ogni caso l'avvocato non può considerarsi vincolato da richieste di compenso fatte in via amichevole quando, venuto poi a mancare,come nel caso in esame, l'accordo, sia costretto ad adire l'autorità giudiziaria per ottenere la condanna del cliente a pagargli quanto gli è dovuto nei limiti delle tariffe professionali. Cass. n. 2143 del 25/06/1968 . Va ribadito in proposito che la ricorrente soc. Ocma, cliente del professionista, non aveva mai corrisposto al legale l'importo che era stato pattuito a titolo di compenso, costringendo il medesimo a rivolgersi al giudice. Conclusivamente il ricorso dev'essere rigettato per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico dell'esponente. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in 2.700,00, di cui 200,00 per esborsi.