Non è decisiva la mancata contestazione, in sede extragiudiziale, dell’oggetto di una fattura d’acconto

L’imputazione di pagamento, disciplinata dagli articoli 1193-1195 del codice civile, presuppone per sua stessa natura la preesistenza di una pluralità di rapporti obbligatori tra le parti stesse, ed assolve alla funzione di individuare il debito, tra i più, cui l’adempimento di riferisce. Per cui, in assenza di tale pluralità di rapporti, la relativa disciplina non può essere utilizzata.

La Seconda sezione Civile della Cassazione si è occupata, con la sentenza n. 233341 del 15 ottobre 2013, dell’imputazione di pagamento di una somma ricevuta da un avvocato a titolo di acconto sullo sfondo, la sussistenza – contestata - di una pluralità di rapporti professionali. Il caso. Un avvocato conveniva in giudizio la ex cliente una società per sentirla condannare al pagamento del preteso residuo corrispettivo, inerente l’espletata attività di assistenza giudiziale ed extragiudiziale. La convenuta si costituiva contestando sotto vari profili le pretese dell’attore, ammettendo peraltro la sussistenza del rapporto professionale limitatamente a due controversie civili, cui imputava l’avvenuta corresponsione di un acconto di Lire 5 milioni. Peraltro, ricevuto l’acconto, l’avvocato inoltrava la fattura il cui oggetto appariva piuttosto chiaro acconto onorari per prestazioni di consulenza ed assistenza nei rapporti con vari istituti bancari . Ma ciò nonostante, a dire della convenuta i contenziosi con le banche erano stati conferiti a titolo personale da un consigliere d’amministrazione della società, ma non dalla società. Fatto sta che il Tribunale accoglieva in parte la domanda dell’attore, riconoscendo una somma pari a circa euro 25.000. La Corte d’appello – invece - riduceva l’importo a poco più di euro 1.000, compensando interamente le spese di lite. La decisione veniva assunta sminuendo la portata della famosa lettera inerente l’acconto ricevuto dall’avvocato meglio sminuendo la mancata contestazione da parte della allora parte assistita del tenore della fattura di acconto mancata contestazione dovuta semmai a disattenzione piuttosto che a volontaria ammissione del titolo con il quale il professionista aveva dato atto di aver percepito l’acconto. E comunque una contestazione in tal senso era stata effettuata in sede giudiziaria, ove il contegno delle parti risultava avere rilievo giuridico. Altresì, secondo i giudici d’appello la parte più consistente degli incarichi fermo il riconoscimento dei due che non erano stati contestati dalla società convenuta , non erano invero stati conferiti dalla convenuta, bensì, a titolo personale, da altro soggetto comunque interessato a quella società consigliere di amministrazione garante verso il ceto bancario, nonché proprietario di altre società che pure avrebbero potuto risentire del dissesto della prima società . Il legale proponeva quindi ricorso per cassazione. La mancata contestazione dell’imputazione del pagamento. Come accennato, la ex cliente aveva contestato gli incarichi affermati dall’avvocato specialmente con riguardo ai contenziosi in essere con alcune banche, sostenendo che al contrario quegli incarichi erano stati semmai conferiti a titolo personale da uno dei consiglieri d’amministrazione della società. Tuttavia, secondo il difensore, l’imputazione del pagamento della complessiva somma di Lire 5 milioni, ricevuta per fondo spese con lettera dell’allora liquidatore della società convenuta per la pratica ivi indicata come avente ad oggetto il nome della società medesima, e richiamata nella fattura emessa dall’avvocato con l’oggetto acconto onorari per prestazioni di consulenza ed assistenza nei rapporti con vari istituti bancari , non era mai stata contestata ed andava quindi considerata accettata per fatti concludenti dalla società stessa, vincolando in tal modo sia il creditoria, sia il debitore. Ma secondo la Cassazione l’imputazione di pagamento, disciplinata dagli artt. 1193-1195 c.c., presuppone per sua stessa natura la preesistenza di una pluralità di rapporti obbligatori tra le parti stesse, ed assolve alla funzione di individuare il debito, tra i più, cui l’adempimento di riferisce. Per queste ragioni è fuori luogo parlare, con riferimento al caso specifico, di imputazione di pagamento, perché non è in contestazione se l’acconto quietanzato dall’avvocato si riferisca ad una piuttosto che ad un’altra obbligazione, ma quale sia il soggetto passivo del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio. Per questo la Cassazione finisce per correggere” la motivazione della sentenza d’appello che aveva deciso sul punto supponendo di poter applicare una disciplina giuridica invero inidonea a governare l’oggetto del contendere. La lettera inerente l’acconto versato avrebbe dato atto della comune intenzione delle parti di concludere un contratto di prestazione d’opera intellettuale. Ma anche questa censura viene rigettata, peraltro senza entrare nel merito della doglianza. Infatti, la Cassazione ricorda un principio consolidato in materia di interpretazione dei contratti, per cui l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata, ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. Quindi, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità. Nel caso in esame, secondo il giudizio della Cassazione, il ricorrente si era invece limitato a richiedere alla Corte una schietta interpretazione del significato di una lettera, auspicando una interpretazione in senso conforme alla propria prospettazione difensiva. Ma tale indagine è stata considerata preclusa per le ragioni espresse. Anche per questo il ricorso è stato infine rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 giugno - 15 ottobre 2013, n. 23341 Presidente Oddo – Relatore Manna Svolgimento del processo L'avv. M I. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Genova l'Istituto Ligure Mobiliare s.p.a. in liquidazione di seguito ILM per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 59.711.500, a titolo di residuo corrispettivo di attività di assistenza giudiziale e stragiudiziale, quest'ultima svolta soprattutto per la gestione delle passività con le banche allo scopo di prevenirne possibili iniziative legali. L'ILM ammetteva il rapporto professionale limitatamente a due controversie civili, cui imputava l'avvenuta corresponsione all'avv. I. della somma di 5.000.000 di lire contestava nel resto che questi si fosse occupato d'altro per conto della società, che in particolare dei rapporti con le banche egli si era occupato unicamente su incarico e nell'interesse di C.A. , consigliere d'amministrazione della società che aveva prestato fideiussione in favore dell'Istituto Bancario S. Paolo di Torino, verso il quale l'ILM era allora pesantemente esposto. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda. Nel giudizio di primo grado era disposta la chiamata iussu iudicis ex art. 107 c.p.c. di M.S F. , stralciario così si legge nella sentenza impugnata della liquidazione dell'ILM, che si costituiva aderendo alle difese della società convenuta. Chiedeva, inoltre, che l'eventuale somma chiesta nei suoi confronti dall'attore fosse compensata col proprio credito verso l'avv. I. per spese giudiziali liquidate in un precedente procedimento cautelare, proposto da quest'ultimo per la medesima questione e respinto dal Tribunale di Genova. Il giudice di primo grado accoglieva la domanda dell'avv. I. verso FILM per la somma di Euro 24.325,32, dichiarando inammissibile la domanda proposta dall'attore nei confronti del terzo chiamato. Adita con appello principale dall'avv. I. e incidentale dall'ILM e dal F. , la Corte d'appello di Genova in riforma della sentenza impugnata riduceva la somma dovuta all'attore a Euro 1.479,49, condannando in solido fra loro l'ILM e il F. . Rigettava, quindi, ogni altra domanda e compensava integralmente le spese. Esaminate le deposizioni e i documenti prodotti, la Corte ligure perveniva alla conclusione che l'avv. I. , salvo le due sole questioni civili per le quali l'incarico da parte della società convenuta non era in contestazione, era stato officiato non da quest'ultima ma dal C. per curare esclusivamente i propri interessi. Questi, infatti, oltre ad essere interessato all'amministrazione dell'ILM, era garante verso le banche e proprietario di altre società che avrebbero potuto essere coinvolte nell'eventuale dissesto dell'ILM. Rispetto ad un coacervo di elementi estremamente esaurienti, concludenti e coerenti nel senso prospettato dall'ILM, osservava la Corte territoriale, scarso peso assumeva il rilievo, valorizzato invece dal giudice di primo grado, della mancata contestazione da parte del liquidatore di detta società dell'imputazione dell'acconto effettuata dallo I. , acconto in parte attribuito alla pratica relativa ai rapporti con le banche. Tale mancata contestazione, proseguiva la Corte distrettuale, in assenza di altri elementi valutativi a sostegno, poteva essere attribuita a disattenzione, piuttosto che ad ammissione del titolo con il quale il professionista aveva dato atto di aver percepito l'acconto, e comunque la contestazione era stata effettuata in sede giudiziaria, ove il contegno delle parti risultava avere rilievo giuridico. Quanto alla posizione del F. , osservava che all'accordo tra questi e l'ILM, che aveva determinato la cessione di una parte dei rapporti obbligatori facenti capo a detta società, l'avv. I. era rimasto estraneo, per cui l'ILM non era liberata dal proprio debito, e il F. non poteva opporre in compensazione il proprio controcredito verso l'attore. Per la cassazione di detta sentenza ricorre M I. , in base ad undici mezzi d'annullamento. Resiste con controricorso M.S F. , che ha proposto altresì ricorso incidentale e depositato memoria. L'ILM è rimasto intimato. Motivi della decisione 1. - Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti contro la medesima sentenza. 1- bis . - Col primo motivo d'impugnazione il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1193, 1 comma c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che l'imputazione del pagamento della complessiva somma di lire 5.000.000, ricevuta per fondo spese con lettera dell'allora liquidatore dell'ILM per la pratica ivi indicata come avente ad oggetto Istituto Ligure Mobiliare in liq.ne , e richiamata nella fattura n. XXXXX emessa dall'avv. I. con l'oggetto acconto onorari per prestazioni di consulenza ed assistenza nei rapporti con i vari istituti bancari , non è mai stata contestata ed è stata accettata per fatti concludenti dalla società stessa, vincolando così sia il debitore che il creditore. Formula al riguardo il quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c. applicabile alla fattispecie ratione temporis dica la Corte di cassazione se l'imputazione fatta dal creditore e riferita ad un suo credito pagato del debitore e da questi accettata, produca effetto solutorio e vincolante per entrambi, dovendosi ritenere che l'imputazione volontaria concordata dalle parti prevale sull'imputazione legale regolata dall'art. 1193 c.c. avendo, questa, natura suppletoria rispetto a quella volontaria concordemente stabilita e se, relativamente al caso di specie, l'imputazione di pagamento della somma ricevuta fatta dal creditore e riportata nella fattura quietanzata rilasciata al debitore solvente e mai da questi contestata, non opere per entrambi effetto solutorio e vincolante . 2. - Col secondo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2730 e 2735, comma 1 c.c., in riferimento all'art. 360, n. 3 c.p.c La citata lettera del 24.11.1992 del liquidatore dell'ILM indirizzata all'avv. I. e contenente l'invito a registrare il fondo spese ricevuto, ha implicito contenuto confessorio dell'incarico in precedenza conferito verbalmente. Segue il quesito dica la Corte di cassazione se, un documento contenente chiare dichiarazioni dal cui contenuto nel suo insieme considerato può desumersi l'esistenza di fatti sfavorevoli per colui che tali dichiarazioni ha rilasciato e favorevoli all'altra parte, possa ritenersi come implicita confessione stragiudiziale avente, come tale, l'efficacia di prova legale della confessione stragiudiziale stessa agli effetti dell'art. 2735, comma 1 c.c. e se, nel caso di specie, la lettera di che trattasi contenente le dichiarazioni quali l'oggetto del contenzioso, l'invio di un fondo spese, la richiesta di relativa fattura e quant'altro, di tale lettera, risulta testualmente trascritto nel superiore motivo, il contenuto di dette dichiarazioni complessivamente valutato, possa considerarsi implicita confessione stragiudiziale avente l'efficacia di prova legale contemplata dall'art. 2735, comma 1 c.c. . 3. - Il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. con riferimento all'art. 360, n. 3 c.p.c Dalla lettera del 24.11.1992 sopra citata e dal comportamento successivo del ricorrente, che inviò le fatture quietanzate dell'acconto ricevuto, possono trarsi presunzioni gravi, precise e concordanti a dimostrazione del conferimento dell'incarico professionale. Il motivo mette capo al seguente quesito dica la Corte di cassazione se da un documento e/o dal comportamento della parte o delle parti si evidenzino fatti noti aventi carattere di presunzioni gravi, precise e concordanti, si possano trarre conseguenze che dal o dai fatti noti consentono di risalire al fatto ignorato, in relazione al disposto degli artt. 2727 e 2729 c.c. e se, nella specie contemplata, dalla lettera del liquidatore e dal comportamento delle parti, risultino fatti aventi la natura di presunzioni gravi, precise e concordanti la lettera del liquidatore con il fondo spese, la richiesta di fattura quietanzata al ricorrente ecc. tali da permettere di risalire al fatto c.d. ignorato, ossia l'avvenuto conferimento dell'incarico professionale da parte del liquidatore al ricorrente, in conformità dei soprarichiamati articoli del c.c. . 4. - Col quarto mezzo d'annullamento è allegata la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1326, commi 1 e 2 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., poiché, sostiene parte ricorrente, la citata lettera del 24.11.1992 del liquidatore dell'ILM ha anche il valore di proposta di conferimento d'incarico di prestazione d'opera intellettuale. Segue il quesito . dica la Corte di cassazione se, nel caso in esame, la lettera del liquidatore inviata al ricorrente il 24.11.1992 avente ad oggetto Istituto Ligure Mobiliare s.p.a. in liquidazione contenente il fondo spese per lo svolgimento della pratica in oggetto, nonché la richiesta dell'invio della relativa fattura quietanzata, non costituisca proposta di conferimento di incarico di prestazione d'opera intellettuale e se il riscontro di detta lettera, con l'invio delle fatture quietanzate n. 78/92 e 79/92 le cui imputazioni del ricevuto pagamento non furono contestate, non costituisca accettazione dell'incarico conferito, di talché debba ritenersi concluso il contratto secondo i canoni previsti dall'art. 1326, comma 1 c.c. . 5. - Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2730, commi 1 e 2 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., per aver la Corte territoriale disatteso la natura confessoria della lettera 16.2.1995. Con tale lettera il liquidatore dell'ILM, nel riscontrare la richiesta dell'avv. I. di pagamento della propria parcella, per l'importo di lire 50.000.000, aveva fatto presente di non poter procedere a ulteriori pagamenti, che avrebbero pregiudicato l'intesa raggiunta con le banche, e preannunciando il futuro accollo da parte di uno stralciano delle passività verso la Comit e la Credit, con conseguenti cessioni dei crediti d'imposta, gli aveva comunicato che avrebbe rassegnato a quest'ultimo anche la sua parcella, al fine di farla rientrare nel riparto che questi avrebbe effettuato una volta recuperati i crediti d'imposta. Segue il quesito dica la Corte di cassazione se la confessione stragiudiziale, onerata da una delle parti del susseguente giudizio all'altra parte del medesimo, e da parificarsi a quella giudiziale, costituisca prova dei fatti, sfavorevoli alla prima e favorevoli alle seconda e se, nella fattispecie, possa costituire prova della confessione, a carico dell'ILM s.p.a. in liquidazione, dell'avvenuto affidamento da parte della società all'odierno ricorrente del mandato relativo a quelle attività stragiudiziali esposte nel proforma di notula 30 gennaio 1995, trascritto al superiore motivo, la lettera 16.2.1995 soprariportata del liquidatore dell'ILM s.p.a. in liquidazione, abilitato dalla carica rivestita a disporre del diritto, poi divenuto oggetto di contestazione . 6. - Col sesto motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2733, comma 1 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c La violazione denunciata nasce dal fatto che la Corte distrettuale ha ritenuto provata dal contegno delle parti la contestazione dell'imputazione di pagamento contenuta nella fattura n. 79/92. Il quesito si esprime nei termini che seguono dica la Corte di cassazione se, qualora sia provato che un documento contenga dichiarazioni sulla verità di fatti sfavorevoli per l'autore dell'atto scritto e favorevoli per l'altra parte costituisca anche per implicito confessione stragiudiziale che, come tale, avendo la stessa efficacia probatoria i quella giudiziale, sarebbe vincolante sia per la parte che l'ha resa che per il giudice, il quale non potrebbe più valutare secondo il suo libero apprezzamento la detta prova e se nel caso in esame, ove il giudice ha ignorato la vincolatività della confessione prevaricandone la piena efficacia probatoria mediante l'accoglimento di un'eccezione ex adverso sollevata a tal fine, non costituisca, una siffatta risoluzione, violazione e falsa applicazione dell'art. 2733 comma 2 c.c. . 7. - Col settimo motivo parte ricorrente allega la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1362 comma 1 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c Interpretate nei loro significato letterale, tutte le espressioni contenute nella lettera del 24.11.1992 più volte richiamata dimostrano la comune intenzione delle parti di concludere un contratto di prestazione d'opera intellettuale. Segue il quesito dica la Corte di cassazione se, per la corretta interpretazione del contratto, onde ricercare la comune intenzione delle parti, come da un lato non si debba restar vincolati allo stretto significato letterale delle parole, nemmeno si debba, dall'altro, del tutto ignorare il senso di detto significato letterale attribuito alle espressioni usate, tanto più se dette espressioni, nel loro contesto letterale, portano alla chiara identificazione della comune intenzione delle parti e se, nel caso in esame, il significato letterale di espressioni contenute in una lettera, che dimostra che la comune intenzione delle parti era stata quella di un conferimento di incarico di prestazione d'opera intellettuale . 8. - Con l'ottavo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1362, comma 2 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c La comune intenzione delle parti, sostiene il ricorrente, promana dal loro comportamento anche successivo alla conclusione del contratto. Nel caso di specie il liquidatore non ha mai contestato l'imputazione di ricevuto pagamento effettuata dal creditore, odierno ricorrente, derivando, da ciò, l'accettazione dell'imputazione medesima. Formula il seguente quesito dica la Corte di cassazione, se per la corretta interpretazione del contratto, al fine di indagare e determinare la comune volontà delle parti, si debba considerare quale sia stato il comportamento tenuto dalle stesse anche dopo la conclusione del contratto e se, nel caso di specie, dopo l'avvenuto conferimento dell'incarico professionale al ricorrente, che imputò parte della corresponsione dell'acconto ricevuto alla gestione del contenzioso con gli istituti di credito, essendo stato il comportamento successivo della società quello di non aver mai sollevato contestazione alcuna a detta imputazione, ne consegue accettazione dell'imputazione stessa. 9. - Col nono motivo si lamenta l'omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Sostiene parte ricorrente che nella sentenza impugnata, a pag. 15, si afferma in modo dubitativo che la mancata contestazione dell'imputazione del pagamento ricevuto potrebbe essere dipesa da mera disattenzione del liquidatore della società ILM, ma un tale fatto può o non può essere, sicché l'averlo assunto in forma dubitativa inficia di contraddittorietà l'iter logico seguito. 10. - Anche il decimo motivo denuncia l'omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non essendo chiaro cosa la sentenza impugnata abbia inteso significare lì dove in essa, sempre a pag. 15, si afferma che . comunque la contestazione risulta essere stata effettuata in sede giudiziaria ove il contegno delle parti assume giuridica rilevanza . 11.- L'undicesimo motivo, infine, contesta come erronea la motivazione della sentenza impugnata relativa all'analisi delle prove orali, esaminate le quali la censura termina con l'affermazione che se la Corte genovese avesse usato meglio il suo discrezionale potere interpretativo delle prove, evitando di fondare il suo decisum soltanto su quegli stralci delle prove orali che, come appare indiscutibile, ha valutato ad usum delphini , ed avesse invece analizzato tutte le risultanze delle prove orali nel loro insieme con quel prudente apprezzamento dovuto, sarebbe giunta a decisioni opposte a quelle assunte . 12. - Con l'unico motivo di ricorso incidentale parte controricorrente deduce l'omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c È inspiegabile la ragione per la quale la Corte d'appello ha ritenuto non provato il controcredito di M.S F. , visto che questi sin dalla propria costituzione nel giudizio di primo grado aveva prodotto i documenti l'ordinanza monocratica e quella collegiale di condanna dello I. alle spese del procedimento cautelare per sequestro conservativo proposto ante causam contro il F. per i medesimi fatti da cui derivava il controcredito opposto in compensazione. 13. - Il primo motivo è manifestamente infondato. L'imputazione di pagamento, disciplinata dagli artt. 1193-1195 c.c. presuppone per sua stessa natura la preesistenza di una pluralità di rapporti obbligatoli tra le stesse parti, e assolve la funzione di individuare il debito, tra i più, cui l'adempimento si riferisce. È del tutto fuor d'opera, pertanto, parlare d'imputazione di pagamento nella fattispecie, in cui non è in contesa se l'acconto quietanzato dall'avv. I. si riferisca ad una piuttosto che ad un'altra obbligazione, ma quale sia il soggetto passivo del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio. In tal senso, pertanto, s'impone la correzione, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma c.p.c., della motivazione della sentenza impugnata nella parte v. pag. 15 in cui la Corte d'appello parla della mancata contestazione dell'imputazione dell'acconto da parte dell'avv. I. , supponendo così implicitamente applicabile una disciplina giuridica affatto inidonea a governare l'oggetto del contendere. 13.1. - Il rigetto del primo motivo e la correzione, nei sensi appena detti, della sentenza impugnata determinano, altresì, l'assorbimento c.d. improprio dell'esame del nono e del decimo mezzo d'impugnazione. Esclusa l'applicabilità delle norme sull'imputazione di pagamento, la motivazione della pronuncia impugnata circa la mancata contestazione delle fatture da parte del liquidatore dell'ILM verte su di un fatto controverso, ma per nulla decisivo. 14. - Del pari infondati il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto mezzo, che conviene esaminare congiuntamente perché invocano, sotto profili diversi, un medesimo e sostitutivo accertamento di fatto, ad escludere l'ammissibilità del quale, nella sede di legittimità, vale la nota giurisprudenza di questa Corte che assegna al solo giudice di merito il potere di valutare le emergenze istruttorie e di scegliere, tra queste, quelle ritenute più idonee a costituire il substrato logico della decisione cfr. per tutte, Cass. n. 8718/05 . In tutti i ridetti motivi parte ricorrente, sostituita alla valutazione dei fatti operata dalla Corte territoriale la propria, enuclea dall'ovvia dissonanza tra questa e la decisione impugnata l'esistenza delle diverse violazioni denunciate. E così alterato il corretto procedimento logico, per il quale il vizio di cui al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., dipende, invece, dalla dimostrazione di un errore giuridico che abbia preceduto e determinato la selezione e la valutazione dei fatti rilevanti così come operata dal giudice di merito, detta parte sollecita, in sostanza, un inammissibile riesame dell'intera controversia sotto l'egida apparente del controllo di legittimità. Ciascuno dei quesiti formulati mal cela l'anomalia di tale impostazione critica, che si coglie nell'indissolubile nesso tra la mozione di principio ivi espressa e la specifica emergenza processuale di volta in volta considerata in particolare, le lettere del 24.11.1992 e del 16.2.1995 del liquidatore dell'ILM e le fatture quietanzate nn. 78 e 79/92 . 15. - Anche il settimo e l'ottavo motivo sono infondati. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che in tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità Cass. nn. 9054/13, 17168/12, 13242/10 e 15381/04 . 15.1. - Nel caso in esame, invece, parte ricorrente richiede a questa Corte una schietta interpretazione del significato della lettera del 24.11.1992, in senso conforme alla propria prospettazione difensiva. Indimostrata nel giudizio di merito, questa è indimostrabile nella sede odierna dati i limiti ontologici del giudizio di cassazione. 16. - L'undicesimo mezzo è, infine, manifestamente inammissibile, in quanto consistente in una pura e semplice riconsiderazione delle prove raccolte. Un esame di puro merito, riassunto infine in una sintesi polemica, ad un tempo generica e sterilmente rivendicativa, pretende di censurare in questa sede di legittimità l'apprezzamento delle prove operato dalla Corte territoriale sol perché contrario alle diverse aspettative della parte ricorrente. 17. - Anche l'unico motivo cui è affidato il ricorso incidentale è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Al di là dell’ obiter dictum secondo cui M F. non avrebbe fornito la prova documentale del proprio controcredito, la decisione si fonda su altro, ossia sull'estraneità dell'avv. I. all'accollo interno tra l'ILM e il F. avente ad oggetto i debiti di detta società. E tale profilo non è in alcun modo censurato dal ricorrente incidentale. 18. - In conclusione vanno respinti sia il ricorso principale che quello incidentale. 19. - La soccombenza reciproca delle parti ricorrente e controricorrente giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e compensa le spese. Â