Avvocato della curatela, ma è il tentativo di farsi pagare a rivelarsi un fallimento

Tutti i professionisti che prestano la loro opera nel contesto di una procedura fallimentare priva di fondi possono comunque percepire il compenso per l’attività prestata, ma questa norma è priva del carattere di retroattività, quindi il Ministero non deve pagare.

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20704, depositata il 10 settembre 2013. Il caso. 8.921,98 euro, questa la somma ottenuta, nel primo grado di giudizio, da un avvocato, come compenso per l’attività professionale espletata in un giudizio di revocatoria fallimentare, poi revocata. Secondo il legale, infatti, visto che l’attività svolta riguardava un fallimento, poi revocato appunto, il compenso doveva essere posto a carico dell’Erario. Di diverso avviso, però, si sono rivelati i giudici di appello e i giudici di Cassazione. L’avvocato difende la curatela fallimentare, ma chi lo paga? Infatti, la Corte di appello, adita dal Ministero, aveva escluso l’applicabilità dello ius superveniens del d.p.r. n. 115/2002, che introduceva il principio dell’anticipazione da parte dell’Erario delle spese ed onorari degli ausiliari del magistrato artt. 144 e 146, n. 3, lett. c , categoria nella quale, secondo l’appellante, doveva ritenersi compreso il legale officiato della difesa di una curatela fallimentare . Nessuna applicazione dello ius superveniens. Anche la Cassazione è dello stesso avviso, e sottolinea che il d.p.r. n. 155/2002 prevede che tutti i professionisti che prestano la loro opera nel contesto di una procedura fallimentare priva di fondi possono comunque percepire il compenso per l’attività prestata , ma precisa altresì che proprio le disposizioni inserite nel Titolo V dello stesso d.p.r. - rubricato estensioni, a limitati effetti, della disciplina del patrocinio a spese dello Stato prevista nel Titolo IV - sono prive del carattere di retroattività e non sono, pertanto, applicabili con riguardo a fattispecie già esauritesi alla data della loro entrata .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 giugno – 10 settembre 2013, n. 20704 Presidente Felicetti – Relatore Matera Svolgimento del processo Con atto di citazione iscritto a ruolo il 10-10-2001 l'avv. S.G. conveniva in giudizio il Ministero dell'Economia e delle Finanze, per ottenere la liquidazione del compenso per l'attività professionale espletata in un giudizio di revocatoria fallimentare in favore della Curatela del Fallimento L B. , successivamente revocato della Corte di Cassazione con sentenza n. 405U999. L'attore affermava che il compenso per l'attività svolta dal difensore del fallimento, poi revocato, doveva essere posto a carico dell'Erario, in sintonia con il principio enunciato dalla Suprema Corte con la sentenza 6-11-1996 n. 12349, che qualificava l'attività del curatore come esplicazione di un munus publicum al cui pagamento, in caso di Curatela priva di attivo, deve provvedere lo Stato. Nel costituirsi, il convenuto chiedeva il rigetto della domanda. Con sentenza in data 11-6-2003 il Tribunale di Catanzaro, in accoglimento della domanda, condannava il Ministero delle Finanze al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 8.921,98, oltre agli interessi legali dalla domanda. Avverso la predetta decisione proponeva appello il convenuto, invocando a sostegno delle proprie pretese anche lo ius superveniens del d.p.r. 30-5-2002, che aveva introdotto il principio dell'anticipazione da parte dell'Erario delle spese ed onorari degli ausiliari del magistrato artt. 144 e 146 n. 3 lett. c , categoria nella quale, secondo l'appellante, doveva ritenersi compreso il legale officiato della difesa di una curatela fallimentare. Con sentenza in data 31-5-2006 la Corte di Appello di Catanzaro, in accoglimento del gravame, rigettava la domanda proposta dall'attore, dichiarando per intero compensate tra le parti le spese di doppio grado. La Corte territoriale, in particolare, rilevava che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, il principio affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 6-11-1999 n. 12349, secondo cui, nel caso di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento e in assenza di condanna al pagamento delle spese nei confronti del creditore istante, il compenso spettante al curatore va posto a carico dell'Erario, non può essere esteso al legale che ha svolto la sua attività professionale per conto dell'impresa fallita, in quanto le prestazioni dell'avvocato si inquadrano nell'ambito di un rapporto privatistico, che nulla ha a che vedere con l'esercizio di un munus publicum , qual è quello del curatore. 11 giudice di appello aggiungeva che nella specie non era applicabile il d.p.r. 30-5-2002 n. 115, entrato in vigore il 1-7-2002. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l'avv. G S. , sulla base di un unico motivo. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con l'unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 144 e 146 del d.p.r. 30-5-2002 n. 115. Deduce che la Corte di Appello avrebbe dovuto tener conto della normativa introdotta dal citato d.p.r., trattandosi di ius superveniens applicabile nei giudizi in corso tutte le volte in cui i rapporti sorti in precedenza siano ancora pendenti e non si sia ancora formato il giudicato sulle questioni giuridiche sulle quali la normativa sopravvenuta viene ad incidere. Sostiene che la normativa sopravvenuta ha introdotto il principio secondo cui tutti i professionisti che prestano la loro opera nel contesto di una procedura fallimentare priva di fondi possono comunque percepire il compenso per l'attività prestata Corte Cost. n. 174/2006 . Rileva, in particolare, che l'art. 144 del menzionato d.p.r. dispone che il fallimento privo di attivo è ammesso al patrocinio ai sensi e per gli effetti delle norme previste dalla presente parte del testo unico , e che l'art. 146 specifica che sono a carico dell'Erario le spese e gli onorari degli ausiliari del magistrato, tra i quali sono compresi tutti i soggetti che prestano la loro opera a favore della massa, ivi inclusi gli avvocati difensori della curatela. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. Lo ius superveniens può dirsi applicabile ad un giudizio in corso in cui si controverta di rapporti sorti in precedenza ma ancora pendenti e di questioni giuridiche ancora aperte su cui la normativa sopravvenuta verrebbe ad incidere? Dica la Suprema Corte se lo ius superveniens espresso dagli artt. 144 e 146 n. 3 lettera c del d.p.r. n. 115/02 debba essere applicato o meno ad un rapporto pendente in cui un avvocato che ha difeso la curatela priva di fondi in epoca precedente alla entrata in vigore delle nuove norme ha chiesto di essere retribuito a spese dell'Erario . Il motivo è infondato, dovendosi escludere che le disposizioni dettate dagli artt. 144 e 146 del d.p.r. 30-5-2002 n. 115 possano trovare applicazione in relazione alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, la quale si collega a prestazioni professionali interamente rese dall'avv. S. in favore della Curatela del Fallimento L B. prima della data di entrata in vigore di tale d.p.r. 1-7-2002 , nell'ambito di un procedimento di revocatoria fallimentare, dichiarato estinto e cancellato dal ruolo a seguito della sentenza n. 405M999 della Corte di Cassazione, con cui è stato revocato il fallimento. Osta, all'applicabilità delle citate norme, il principio di irretroattività della legge previsto in via generale dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, in base al quale la nuova legge, non disponendo che per l'avvenire, può applicarsi ad un rapporto giuridico sorto precedentemente solo se questo non abbia ancora esaurito i suoi effetti e si tratti di disposizione diretta a regolare non il fatto o l'atto generatore del rapporto, ma gli effetti di essi Cass. 28-5-1979 n. 3111 . È noto, d'altro canto, che l'eventuale retroattività di una legge o di altra fonte normativa di grado inferiore, avendo carattere eccezionale, deve risultare da una espressa o quanto meno non equivoca dichiarazione del legislatore, dovendosi ritenere, in caso di incertezza, che la norma non disponga che per l'avvenire e non abbia, quindi, effetto retroattivo Cass. 29-1-2003 n. 1379 . Nella specie, le disposizioni invocate dal ricorrente inserite nel titolo V del d.p.r. 115/2002, rubricato estensione, a limitati effetti, della disciplina del patrocinio a spese dello Stato prevista nel titolo IV sono prive del carattere di retroattività e non sono, pertanto, applicabili con riguardo a fattispecie già esauritesi alla data della loro entrata in vigore. E invero, l'art. 144 del predetto d.p.r. dispone che nel processo in cui è parte un fallimento, se il decreto del giudice delegato attesta che non è disponibile il denaro necessario per le spese, il fallimento si considera ammesso al patrocinio ai sensi e per gli effetti delle norme previste dalla presente parte del testo unico, eccetto quelle incompatibili con l'ammissione di ufficio . Il successivo art. 146, dopo avere stabilito, al comma 1, che nella procedura fallimentare, che è la procedura dalla sentenza dichiarativa di fallimento alla chiusura, se fra i beni compresi nel fallimento non vi è denaro per gli atti richiesti dalla legge, alcune spese sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall'Erario , ai commi 2 e 3 elenca le spese prenotate a debito e quelle anticipate dall'Erario annoverando tra queste ultime le spese ed onorari ad ausiliari del magistrato , disponendo, al comma 4, che le spese prenotate a debito o anticipate sono recuperate, appena vi sono disponibilità liquide, sulle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo , e, al comma 5, che il giudice delegato assicura il tempestivo recupero . Come ben si vede, l'art. 144 postula, ai fini della sua operatività, la pendenza di un processo in cui sia parte un fallimento, e l'adozione, da parte del giudice delegato della procedura fallimentare, di un decreto con cui si attesti la non disponibilità del denaro necessario per le spese. Allo stesso modo, l'art. 146, stabilendo che, nel caso di mancanza del denaro occorrente per la temporanea difficoltà di portare avanti tale procedura, determinate spese siano anticipate dallo Stato o prenotate a debito, salva la possibilità di recuperare tali spese, a cura del giudice delegato, appena vi siano disponibilità liquide, sulle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo, richiede, quale presupposto imprescindibile per la sua applicabilità, la pendenza di una procedura concorsuale, nell'ambito della quale si renda necessaria la prenotazione a debito o anticipazione di spese. È evidente, pertanto, che, in base al principio di irretroattività della legge, nella specie non derogato dal legislatore, il ricorrente non può invocare l'applicazione, quale ius superveniens, dei menzionati artt. 144 e 146 con riferimento a un'attività professionale svolta e conclusa in epoca ben antecedente alla data di entrata in vigore del d.p.r. 30-5-2002 n. 115, nel corso di un giudizio di revocatoria fallimentare estintosi a seguito della revoca del fallimento intervenuta sin dal 1999. Per le esposte considerazioni il ricorso, basato esclusivamente sulla dedotta applicabilità della nuova normativa introdotta dal citato d.p.r., deve essere rigettato, restando assorbita ogni questione circa l'effettiva riconducibilità dei compensi dovuti al difensore della curatela fallimentare tra le spese addebitabili all'Erario in base agli invocati articoli. In considerazione della peculiarità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente grado di giudizio.