L'avvocato che ha svolto attività difensiva non può essere poi nominato arbitro nella stessa vertenza

Il fatto che la Sesta Sezione della Corte di Cassazione abbia deciso con ordinanza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 375 e 380bis c.p.c., fa capire come la decisione della questione non abbia provocato alcun contrasto all'interno della Sezione stessa.

L'ordinanza n. 20379, depositata il 5 settembre 2013, costituisce la conclusione del procedimento di risarcimento dei danni per responsabilità professionale avanzata da un comune nei confronti dell'avvocato. Il caso. In particolare, l'avvocato del comune prima aveva svolto attività difensiva a favore del comune anche per la vertenza per la quale venne poi nominato arbitro, dal comune stesso, per dirimere la controversia. Tale nomina, peraltro, era stata ricusata a seguito di istanza avanti al tribunale, con la conseguenza che si dovete nominare un nuovo collegio arbitrale cui venne versato un nuovo acconto. A chi spetta conoscere i doveri di incompatibilità dell'avvocato? Gli ermellini confermano la decisione dei giudici di merito, ovvero che l'avvocato avrebbe dovuto conoscere la causa di incompatibilità a suo carico, e quindi farsi parte attiva nel comunicare tale incompatibilità e la conseguente impossibilità di svolgere la funzione di arbitro nella controversia e in ogni caso astenersi dall'assumere il relativo incarico. Peraltro non ha ragione di sussistere ontologicamente una differenza, prospettata dalla difesa dell'avvocato, tra la responsabilità come avvocato e una responsabilità come arbitro, poichè non mutano i comportamenti dedotti a fondamento del giudizio di responsabilità né i criteri in base ai quali va individuata la colpa . Irrilevante la conoscenza che la parte abbia della previa attività difensionale prestata dall'arbitro. Quale conseguenza del principio appena ricordato consegue il fatto che la conoscenza che la parte inevitabilmente abbia dell'attività prestata in qualità di avvocato dall'arbitro, è del tutto irrilevante ai fini di una quale responsabilità della parte stessa infatti si tratta di questioni che non sono di immediata evidenza per un soggetto non esperto in materia giuridica . Anzi il fatto che il professionista non abbia avanzato alcuna riserva vale quale giustificazione per il cliente che abbia fatto affidamento sulla correttezza di comportamento del professionista. Infatti, è compito del difensore indirizzare le scelte del cliente in senso conforme alla legge, se del caso astenendosi dalla difesa ove gli siano richiesti comportamenti non ortodossi .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 6 giugno 5 settembre 2013, n. 20379 Presidente Finocchiaro – Relatore Lanzillo Premesso in fatto È stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. 1.— La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Roma, ha accolto la domanda di risarcimento dei danni per responsabilità professionale, proposta dal Comune di Formello contro l'avv. Prof. D.R.A. , condannando il convenuto al pagamento di Euro 93.146,16, oltre agli interessi ed al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio. Propone tre motivi di ricorso per cassazione la figlia ed erede del D.R. , deceduto nelle more, d.R.R.G. , rappresentata in giudizio dalla madre esercente la potestà parentale, d.R.C.M.R.C. . Resiste il Comune di Formello con controricorso. 2. La condanna è stata emessa per il fatto che l'avv. D.R. — difensore del Comune in relazione ad alcune importanti controversie — ha assunto la carica di arbitro nominato dal Comune in relazione ad una vertenza per la quale aveva in precedenza svolto attività difensiva in favore del Comune stesso, redigendo un parere scritto. Davanti al Collegio arbitrale — al quale è stato versato dalle parti contendenti un acconto di L. 220 milioni l'arbitro D.R. è stato ricusato, con istanza che il Tribunale di Roma ha accolto. È stato poi nominato altro collegio arbitrale, che ha chiesto anch'esso un acconto di L. 120 milioni e accessori. La Corte di appello ha osservato che il D.R. avrebbe dovuto conoscere la causa di incompatibilità a suo carico, comunicarla al cliente ed astenersi dall'assumere l'incarico. Ha tuttavia ridotto all'importo sopra indicato la somma chiesta in risarcimento dei danni patrimoniali, non patrimoniali e di immagine, che il Comune aveva quantificato in oltre Euro 1.500.000,00. 2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia vizio di ultrapetizione, in violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., per il fatto che la Corte ha emesso condanna per violazione degli obblighi su di lui gravanti come arbitro, mentre l'attore aveva chiesto la condanna per violazione dei doveri gravanti sull'avvocato. 2.1. Il motivo è manifestamente infondato. Fin dall'atto di citazione il Comune ha posto a fondamento della sua domanda il comportamento del difensore, avv. D.R. , sia per non averlo adeguatamente assistito nella scelta dell'arbitro, in ossequio ai doveri di imparzialità che gravano sugli arbitri, prospettando l'impossibilità che esso difensore assumesse l'incarico di arbitro sia per non avere rifiutato l'incarico o per non avervi rinunciato, prima che al Comune ne derivasse danno. Ha pertanto dedotto in giudizio i medesimi presupposti di fatto sulla base dei quali è stata emessa la condanna. La distinzione che la ricorrente vorrebbe introdurre fra responsabilità come avvocato e responsabilità come arbitro è artificiosa ed irrilevante, poiché non mutano i comportamenti dedotti a fondamento del giudizio di responsabilità, né i criteri in base ai quali va individuata la colpa, venendo tutt'al più in considerazione la sola qualificazione della domanda. Neppure risultano mutati il provvedimento domandato od altri elementi di identificazione dell'azione. È noto che può prospettarsi un problema di ultra od extra-petizione qualora il giudice decida su di una domanda obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un diverso petitum , o una causa petendi” fondata su situazioni giuridiche mai prima prospettate in particolare, su fatti costitutivi radicalmente diversi da quelli inizialmente prospettati, di modo che si spostino i termini della controversia e si ponga la necessità di un'indagine su fatti nuovi Cass. civ. 8 ottobre 2007 n. 2117 Cass. civ. 20 luglio 2012 n. 12621, fra le tante, a proposito della distinzione fra mutatio ed emendatio libelli . Nulla di ciò ricorre nel caso di specie. 3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli art. 815, 1227 e 1338 cod. civ. ed illogica motivazione, nel capo in cui la Corte di appello ha ritenuto irrilevante il fatto che il Comune di Formello fosse a conoscenza del fatto che l'avv. D.R. aveva prestato attività di consulenza legale in suo favore, allorché ha proceduto alla nomina dell'arbitro. Richiama i principi per cui la parte può revocare il proprio arbitro solo per fatti di cui sia venuta a conoscenza successivamente alla nomina, e non può configurarsi culpa in contraendo quando la causa di nullità del negozio, nota ad uno dei contraenti e da esso taciuta, derivi da una norma di legge che deve essere conosciuta da tutti i cittadini. Assume che il comportamento del Comune è stato inescusabile e tale da giustificare quanto un concorso di colpa a carico dello stesso. 3.1. Il motivo è manifestamente infondato. Il fatto che il Comune fosse a conoscenza della pregressa consulenza professionale prestatagli dall'avv. D.R. non significa che esso fosse anche consapevole della rilevanza di un tale comportamento in ordine alla validità della nomina dell'arbitro, trattandosi di questioni che non sono di immediata evidenza per un soggetto non esperto in materia giuridica. Non solo, ma il fatto di avere avuto il beneplacito del suo avvocato autorizzava il Comune a fare affidamento sulla correttezza del suo comportamento, quand'anche avesse potuto nutrire dei dubbi in proposito. La responsabilità del difensore assume carattere assorbente rispetto all'ipotetica responsabilità del cliente, in relazione ai comportamenti che quest'ultimo abbia tenuto su consiglio o comunque con l'assistenza del difensore medesimo, ove si tratti di comportamenti la cui illiceità non sia di immediata evidenza, per un soggetto non esperto in materie giuridiche. È compito del difensore indirizzare le scelte del cliente in senso conforme alla legge, se del caso astenendosi dalla difesa ove gli siano richiesti comportamenti non ortodossi. 4. Il terzo motivo, con cui si denuncia violazione degli art. 811 cod. proc. civ. e 1227 cod. civ., nonché erronea ed insufficiente motivazione sulla quantificazione dei danni, per non avere la Corte di appello dato la debita rilevanza al fatto che le parti hanno sostituito l'intero Collegio arbitrale, anziché solo l'arbitro ricusato, è inammissibile poiché non risulta che l'eccezione sia stata proposta nei gradi di merito. Trattasi di eccezione in senso proprio, che amplia la materia del contendere, poiché nella sostanza deduce che il comportamento del danneggiato ha contribuito ad aggravare le conseguenze dannose dell'illecito, ai sensi dell'art. 1227, 2 comma, cod. civ. Essa avrebbe dovuto perciò essere tempestivamente proposta ed illustrata, sì da consentire alla controparte l'esercizio del diritto di difesa. La sentenza non accenna in alcun modo alla questione, che non figura fra le conclusioni precisate in appello dalla ricorrente né è precisato nel ricorso se, in quale sede e tramite quali atti l'eccezione sia stata proposta. 5. Propongo che il ricorso sia respinto, con provvedimento in Camera di consiglio . La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti Il P.M. non ha depositato conclusioni scritte. La ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto Il Collegio, esaminati gli atti, ha condiviso la soluzione e gli argomenti proposti dal Relatore, che le argomentazioni difensive contenute nella memoria della ricorrente non valgono a disattendere. Il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per spese ed Euro 8.000,00 per compensi oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.