Gli associati possono conferire mandato all’incasso allo studio professionale

L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra associati e pertanto si deve ritenere possibile il conferimento allo studio professionale associato di un mandato all’incasso per i singoli avvocati in relazione alle prestazioni professionali rese da ciascuno di essi.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9110/13, depositata il 15 aprile. Il caso. Il Tribunale di Torino ingiunge a un ingegnere il pagamento di una somma al proprio avvocato, quale compenso per l’attività professionale prestata l’ammontare, però, è rideterminato in sede di appello. L’avvocato decide allora di ricorrere per cassazione. Violati i minimi tariffari? Con un primo motivo di ricorso, il legale lamenta che la corresponsione di 3 milioni di lire quale onorario per l’attività professionale dal 1996 al 2000 è da considerarsi al di sotto dei minimi tariffari inoltre, i giudici di merito avrebbero interpretato in modo scorretto il contenuto di due fatture. Secondo gli Ermellini, tuttavia, la censura relativa alla violazione dei minimi di tariffa è inammissibile in quanto priva di idoneo sviluppo argomentativo e della necessaria specificità. La fattura emessa dallo studio associato. La seconda doglianza attiene al principio secondo il quale, in caso di incarico conferito a più avvocati, ciascuno di essi avrebbe diritto alla liquidazione degli onorari. L’avvocato, che per un certo periodo di tempo aveva fatto parte di uno studio associato, assume che la Corte territoriale avrebbe computato una fattura emessa dallo studio stesso tra quelle da ricomprendersi nel calcolo dei compensi corrisposti dal cliente il professionista contesta in particolare il fatto che allo studio associato potesse essere conferito implicitamente un mandato all’incasso da parte dei singoli associati in relazione ai compensi per le prestazioni professionali rese da ciascuno di essi. Possibile conferire un mandato all’incasso. A giudizio della S.C., tuttavia, dal momento che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra associati, si deve ritenere possibile il conferimento allo studio professionale di un mandato all’incasso per i singoli associati ove il giudice di merito accerti tale circostanza, sussiste senza dubbio la legittimazione attiva dello studio associato, quale centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici, rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico. Anticipo spese e acconto. Con una successiva censura, l’avvocato contesta la violazione del principio secondo il quale il cliente deve anticipare al prestatore d’opera intellettuale le spese occorrenti per il compimento della stessa nonché corrispondere un acconto sul compenso sarebbe allora errata l’imputazione di una fattura a un procedimento per il quale non erano state ancora sostenute spese né tantomeno sarebbero maturati i diritti di procuratore il processo, infatti, sarebbe stato incardinato di lì a tre mesi . L’acconto può riguardare attività antecedenti al procedimento. A tal proposito, i giudici di legittimità precisano che, in base all’art. 2234 c.c., il cliente è tenuto ad anticipare le spese e non a rimborsarle dopo che il prestatore le ha sostenute ipotesi che ricorre, invece, nel caso del difensore antistatario quanto al concetto di acconto, esso è senza dubbio ricollegabile a una prestazione relativa alla rappresentanza e difesa in giudizio non ancora iniziata, in quanto l’autonomia delle parti può decidere di remunerare in tal modo le attività antecedenti l’inizio del procedimento. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 febbraio – 15 aprile 2013, numero 9110 Presidente Felicetti – Relatore Bianchini Svolgimento del processo Il Tribunale di Torino, accogliendo un ricorso dell'avv. C.M. , ingiunse all'ing. V K. il pagamento di Euro 26.852,19 oltre accessori e spese, per compensi dovuti per l'attività professionale prestata in favore dell'ingiunto, nell'ambito di una causa innanzi allo stesso Tribunale il K. propose opposizione assumendo di aver corrisposto acconti non contabilizzati che per alcuni periodi in cui si era svolta l'attività professionale vi sarebbe stata una fattura di saldo che il valore della controversia relativa ad atti di concorrenza sleale era stato erroneamente indicato. Concessa la provvisoria esecuzione del decreto, l'adito Tribunale respinse l'opposizione. La Corte di Appello di Torino, decidendo sul gravame del K. , l'accolse in parte, rideterminando il dovuto in via capitale in Euro 10.662,41 compensando le spese di lite al 50% e ponendo il residuo a carico del K. . Per la cassazione della detta sentenza ha proposto ricorso l'avv. C. , sulla base di quattro motivi, illustrati da successiva memoria il K. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo viene denunziata la violazione/falsa applicazione delle norme di diritto con riferimento all'art. 113 cpc agli artt. 2 e 4, comma 1, D.M. 05.10.1994 numero 585 agli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. agli artt. 2233 c.comma e 1199 c.c., nonché la mancata applicazione dei principi relativi all'inderogabilità dei minimi di tariffa al valore da attribuire alla quietanza di pagamento alla residuale possibilità di determinazione giudiziale del dovuto, in mancanza di pattuizione espressa o di previsione di tariffa al vincolo, nel caso di determinazione opere judicis del compenso, rappresentato dal parere dell'ordine professionale e dai minimi di tariffa. 1.a Lamenta il ricorrente che la Corte dell'appello abbia ritenuto saldati i diritti attinenti all'attività prestata anteriormente al 25 marzo 1996 e sino a tutto il 26 marzo 2000 gli onorari relativi dal 25 marzo 1996 al 26 marzo 2000, attraverso la corresponsione di lire 3 milioni, somma che, per la sua minima entità, era al di sotto dei minimi tariffali, stante il valore della causa lire 1.149.500.000 assume poi che nella fattispecie l'imputazione del pagamento a saldo sarebbe stata fatta dal debitore e non già dal creditore esso ricorrente e, per di più, dopo l'effettuato pagamento e non già all'atto del medesimo. 1.b — Sottolinea, al fine di pervenire alla indicata conclusione critica, che vi sarebbe stata un'erronea interpretazione 1 della fattura numero 52/1996, in quanto la indicazione a saldo non avrebbe potuto significare la rinunzia alla differenza ancora dovuta, se non fosse stata accompagnata da ulteriore manifestazione di volontà diretta chiaramente alla rinunzia ad ogni ulteriore diritto — per quel titolo nei confronti del debitore 2 della fattura numero 45/2000, in quanto non recante alcun elemento temporale o letterale dal quale poter inferire — come invece apoditticamente fatto dalla Corte di Appello che si trattasse di fattura a saldo e che riguardasse i periodi indicati sub 1.a -. 1.c Lamenta poi il ricorrente l'esiguità del ritenuto saldo al fine di remunerare un'onerosa attività professionale durata quasi quattro anni. 2 Va innanzi tutto messa in evidenza la non applicazione ratione temporis del c.d. filtro a quesiti, introdotto con l'art. 366 bis cpc in relazione ad impugnazioni di sentenze pubblicate dopo il 3 marzo 2006 e prima del 4 luglio 2009, giorno dell'abrogazione della norma ad opera della legge 69/2009- ne deriva che i pur formulati quesiti di diritto non verranno presi in esame al fine della decisione del ricorso. 2.a In secondo luogo il richiamo alla violazione degli artt. 113, c.p.comma 1362 1363 1366 cod. civ. contenuto in tutti e quattro i mezzi di ricorso è inidoneo a sostenere il pur dedotto vizio di cui all'art. 360, I comma, numero 3 cpc, perché la prima disposizione attiene al generico dovere del giudice di giudicare secondo diritto quanto poi alle regole di ermeneutica contrattuale, non viene articolata alcuna critica specifica dalla quale emerga che, nell'esame di atti negoziali — con presumibile riferimento alle parcelle ed alle relative quietanze il giudice dell'impugnazione abbia errato nel valutare i confini applicativi di dette regole di interpretazione. 3 — È inammissibile, in quanto priva di idoneo sviluppo argomentativo e, pertanto conducente ad una non consentita rivalutazione di fatto delle produzioni documentali, la dedotta violazione dei minimi di tariffa — richiamando il d.m. 585/1984 che però deve intendersi 1994 con riferimento al valore della pratica, considerato che il mezzo, contestando la imputazione a saldo del pagamento di lire tre milioni, non andava ad incidere sulla valutazione in assoluto della corrispondenza di quanto liquidato rispetto al valore della causa e quindi allo scaglione tariffario applicato ma era diretto a contestare la valutazione di saldo quanto a tale aspetto come visto, censurato dal ricorrente per l'unilateralità dell'imputazione la critica contenuta nel motivo è priva della necessaria specificità — nei termini imposti dall'art. 366 numero 4 cpc atteso che non si è contestata la valutazione della Corte del merito che, esaminato cronologicamente e per titolazione la fattura in questione infatti fu emessa a titolo onorari intera procedura il complesso delle fatture spedite dal professionista al cliente, aveva concluso per il riferimento della fattura numero 52/1996 ai diritti ed onorari maturati sino al 25 marzo 1996. 3.a — La pretesa unilateralità di imputazione dunque viene a cadere nel momento in cui viene demandato al giudice del merito di valutare a quale procedimento ed in quale senso dovesse essere interpretato, in detto documento contabile, il riferimento agli onorari dell'intera procedura e non solo dunque alla integrazione del fondo spese come assunto nel ricorso come riportato nel testo della fattura 56/1996 riprodotto nello specchietto riassuntivo a fol. 32 della gravata decisione. 3.b — La inidoneità dei referenti normativi indicati sub 1 alla luce delle ragioni esposte sub II.a a sostenere il motivo in esame si riscontra anche nell'esame che il ricorrente compie della motivazione attinente alla imputazione della fattura numero 45/2000 si duole anche in questo caso della non corrispondenza del testo della fattura — che parla di diritti ed onorari e la valutazione operata dal giudice del merito, assumendo che se l'acconto percepito fosse stato a saldo, ciò avrebbe dovuto esser specificato. III.b1 Anche in questo caso la critica non è fondata in quanto tralascia di considerare che alla imputazione a saldo delle prestazioni professionali effettuate sino alla data dell'emissione della fattura il giudice dell'appello pervenne — con ragionamento ad excludendum dall'esame della precedente fattura numero 56/1996 quanto ai parametri temporali di riferimento per quello che concerne poi la definitività dell'accettazione della somma che con tale documento fiscale si riscontrava, la Corte torinese la ricavò dalla constatazione che l'emittente la fattura era sempre stato preciso nello specificare quando il documento dava ricevuta di un acconto e che invece nella specie tale indicazione non era presente in fattura. IV — Con il secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 113 cpc 7 d.m. 585/1994 degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ. nonché del principio secondo il quale, in caso di incarico conferito a più avvocati, ciascuno di essi avrebbe diritto alla liquidazione degli onorari in punto di fatto assume il ricorrente che la Corte di appello avrebbe computato la fattura numero 21/1992, emessa dallo studio associato C. , F. , Fo. e S. , tra quelle da ricomprendersi nel calcolo dei compensi corrisposti dal K. al C. che di quello studio associato fece parte per un certo periodo di tempo contesta il ricorrente che allo studio associato potesse dirsi conferito implicitamente un mandato all'incasso da parte dei singoli associati in relazione ai compensi per le prestazioni professionali rese da ciascuno di essi IV.a —Premesse le osservazioni, in merito al vizio di violazione di legge, in precedenza esposte, va osservato che non è condivisibile la predicata impossibilità per lo studio professionale di ricevere un mandato all'incasso per i singoli associati, dal momento che, essendo l'ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute, regolati dagli accordi tra gli associati, questi ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, con la conseguenza che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi. così Cass. Sez. I numero 15694/2011 IV.a.1 L'interpretazione dunque della normativa di settore è immune da censure mentre la diversa questione involgente la spiegazione del perché la Corte distrettuale avesse ritenuto conferito — dai singoli professionisti e, in particolare, dall'avv. C. un mandato all'associazione di riscuotere e quietanzare i crediti dei singoli difensori, non ha formato oggetto di rilievo in termini di difetto di motivazione, di cui all'art. 360,1 comma numero 5 cpcomma V Con il terzo motivo è fatta valere la violazione degli artt. 113 cpc 1362 1363 1366 e 2234 cod. civ. nonché del principio secondo il quale il cliente deve anticipare al prestatore d'opera intellettuale le spese occorrenti per il compimento della stessa nonché corrispondere, secondo gli usi, un acconto sul compenso applicando tali principi sarebbe allora frutto di erronea interpretazione del dato processuale quella posta a base della decisione con la quale una fattura numero 21/1992 causalmente identificata quale fondo spese ed acconto su diritti ed onorari sarebbe stata imputata al procedimento numero r.g. 4649/1992 innanzi al Tribunale di Torino ciò, in quanto le spese di quella causa ancora non erano state ancora sostenute né tampoco sarebbero maturati i diritti di procuratore in relazione ad un processo che sarebbe stato incardinato di lì a tre mesi. V.a Il mezzo è infondato in quanto l'art. 2234 cod. civ. disciplina il principio secondo il quale il cliente del prestatore d'opera intellettuale è tenuto ad anticipare le spese e non già a rimborsarle dopo che costui le ha sostenute — ipotesi invece ricorrente nel caso del difensore antistatario - il concetto di acconto poi è sicuramente ricollegabile ad una prestazione professionale, relativa alla rappresentanza e difesa in giudizio, neppure iniziata, ben potendo la libera autonomia negoziale delle parti intendere di remunerare in tal modo le attività ad esempio di studio della controversia e di predisposizione di atti necessariamente antecedenti l'inizio del procedimento. VI Con il quarto motivo viene nuovamente denunziata la violazione degli artt. 113 cpc 1362, 1363 e 1366 cod. civ. nonché del principio secondo il quale l'associazione professionale non può sostituirsi al singolo professionista al momento della richiesta e della riscossione delle anticipazioni sostenute per l'esercizio delle prestazioni professionali — peraltro su tale aspetto valga quanto esposto al par IV.a - si assume inoltre l'erronea non applicazione, da parte della Corte torinese, dell'ulteriore principio secondo il quale l'esistenza di un credito più ampio di quello fatto valere in sede monitoria nei confronti del cliente farebbe escludere la rilevanza solutoria dell'eventuale corresponsione, da parte del debitore, di una somma eccedente rispetto a quella azionata in via monitoria, impedendo che il debitore possa eccepire in compensazione un importo, versato a titolo di esposti di liquidazione . VI.a — Ricordato, come sopra messo in evidenza, che non può essere contestata, con il riferimento della violazione di legge di cui all'art. 360,1 comma numero 3 cpc, la riferibilità al credito del singolo professionista del pagamento fatto alla associazione professionale, si rileva la inammissibilità del motivo sia per carenza di specificità nell'esposizione dei presupposti di fatto esistenza di un credito maggiore, oggetto di liquidazione da parte del Consiglio dell'Ordine, rispetto a quello posto a base della richiesta monitoria -, sia per la non conferenza della censura all'errata applicazione delle norme in scrutinio, atteso che non si va a sindacare l'ambito applicativo riconosciuto dalla Corte del merito alle dette norme né si denunzia una non corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella recata dalla stesse, quanto piuttosto si fa valere una omessa valutazione di merito di un aspetto della controversia attinente al rapporto tra compensi effettivamente dovuti, quelli richiesti e quelli riconosciuti che non può essere legittimamente commesso alla Corte nell'ambito del vizio disciplinato dall'art. 360, I comma, numero 3 cpcomma VII — Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate a carico del ricorrente secondo quanto illustrato nel dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.