Un best seller: la parcella, l’opposizione, l’equità, e la beffa ... per l’avvocato

Se la lite si conclude con una transazione, il giudice può applicare – non essendoci una parte vincitrice e una parte soccombente – criteri tali da ricondurre a giustizia concreta” l’ammontare dell’onorario invocato dall’avvocato nei confronti del proprio ex cliente.

La Sesta sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7807 depositata il 28 marzo 2013, è tornata ad occuparsi di un caso nel quale la fa da protagonista, ancora una volta, la parcella dell’avvocato. Il tema è ormai un classico la determinazione dell’importo spettante al difensore per l’attività espletata. Ed ancora una volta – senza eccessiva fantasia – si discute di scaglioni di valore da applicarsi alla cosiddetta fattispecie concreta , alias, la vicenda. Un caso intramontabile la contestata parcella dell’avvocato. Un avvocato agiva attivando lo speciale procedimento ex art. 28, legge n. 794/1942, per ottenere la liquidazione degli onorari ad egli dovuti per l’assistenza legale prestata in favore dell’ormai ex cliente attività giudiziale attività inerente la precedente fase preparatoria attività prestata nella fase finale della lite, conclusasi con una transazione stragiudiziale. L’avvocato otteneva un decreto ingiuntivo per circa 20.000 euro, che veniva però opposto dall’ex cliente. Il Tribunale di Catania riteneva anzitutto ammissibile il procedimento speciale azionato. Questo perché l’ex cliente, opponendosi al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato, si era, per così dire, limitato , a contestare l’entità della pretesa, senza dunque svolgere contestazioni più radicali, tipicamente rivolte alla sussistenza, in sé e per sé considerata, della pretesa detto altrimenti, il Giudice ha ritenuto ammissibile la procedura speciale poco fa ricordata perché l’ex cliente si era limitato a contestare il quantum debeatur , senza contestare invece l’ an debeatur . In ogni caso, il giudice dell’opposizione rideterminava la somma dovuta al leguleio nella minore somma di euro 4.000,00 circa uno sconto niente male, insomma . Questa la motivazione trattandosi di controversia conclusasi con transazione, non vi era una parte vincitrice ed una perdente, con la conseguenza che occorreva fare riferimento agli ampi criteri di cui all’art. 9, legge n. 794/1942, così da ricondurre a giustizia concreta l’ammontare dell’onorario giustizia concreta che sarà apparsa all’avvocato un’ingiustizia concreta questione di punti di vista . Morale della favola il Giudice riteneva di dover applicare – per ragioni di equità – lo scaglione da euro 51.000 circa a euro 103.000 circa, scartando dunque lo scaglione preso in esame dal professionista da euro 258.000 circa a euro 516.000 circa , riferito al valore del contratto preliminare oggetto di controversia. Inevitabile il ricorso in Cassazione. Prima considerazione il procedimento speciale attivato dal legale e l’attualità. L'art. 28, legge n. 794/1942 Onorari di avvocato [e di procuratore] per prestazioni giudiziali in materia civile , era stato invero abrogato, a far data dal 16 dicembre 2009, dall'art. 2, comma 1, d.l. 22 dicembre 2008, n. 200, e successivamente ripristinato dall'art. 1 della legge 18 febbraio 2009, n. 9, in sede di conversione. L’attuale testo dell’art. 28 Forma dell'istanza di liquidazione degli onorari e dei diritti , prevede Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l'avvocato, dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 . L’appena citato art. 14 Delle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato così stabilisce 1. Le controversie previste dall'articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l'opposizione proposta a norma dell'articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. E' competente l'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile . La Cassazione ricorso respinto e condanna alle spese. Il ricorso del difensore non ha avuto molto successo in Cassazione, che infatti lo ha respinto, aggiungendo una misurata condanna alle spese euro 1.200 oltre oneri ed accessori vari . Le ragioni del rigetto vanno ricercate nella condivisione, ovviamente, della decisione oggetto di gravame, che in definitiva – a dire della Suprema Corte – ha fatto buona applicazione dei noti principi in materia. I principi applicabili l’adeguamento al valore sostanziale della controversia. Secondo l’ordinanza qui in rassegna, nei rapporti tra avvocato e cliente diversamente di quanto accade ai fini della liquidazione delle spese a carico della parte soccombente, nei quali il valore della lite si determina secondo i criteri codicistici, salva l’adozione di quello del decisum nelle cause di pagamento e risarcimento di danni , sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione con quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito. Il Giudice di prime cure aveva fatto correttamente riferimento al complessivo valore delle questioni sottoposte al suo esame, e quindi aveva correttamente preso come riferimento lo scaglione della tariffa professionale relativa alle controversia di valore pari a quello così determinato, e non anche a quello concernente le cause di valore superiore rapportato alla diversa e maggiore entità dell’intero contratto preliminare. Questo perché l’attività da remunerare, ossia l’opera intellettuale prestata, ha avuto ad oggetto solo detta parte del rapporto controverso, anche in riferimento all’entità del risulta pratico conseguito all’esito dalle parti. Una ulteriore censura la compensazione delle spese di lite avanti al Tribunale. Il Giudice dell’opposizione aveva compensato al 50% le spese di lite, nonostante – a dire del ricorrente – la soccombenza dell’ex cliente. Questo perché in fondo, nonostante il ridimensionamento della pretesa, il Tribunale aveva comunque liquidato all’avvocato ricorrente un somma a titolo di onorari. Ma a dire della Cassazione il Giudice di prime cure ha ben giudicato anche sotto questo profilo. A tale proposito viene ricordato che, in tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis , anteriore a quello introdotto dalla legge 28 dicembre 2005 n. 263 , poiché il sindacato della Suprema Corte è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite. Questo sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altre giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa statuizione sia censurabile in Cassazione, poiché il riferimento a giusti motivi di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 23 novembre 2012 - 28 marzo 2013, n. 7807 Presidente Goldoni – Relatore Falaschi Considerato in fatto Con ordinanza del 18.1.2010 il Tribunale di Catania, chiamato a pronunciarsi sull'opposizione proposta da S.G. avverso il decreto ingiuntivo emesso dallo stesso ufficio il 26.11.2007, su ricorso dell'Avv.to F P. , per la somma di Euro 18.590,77, a titolo di onorari a lui dovuti per l'assistenza legale prestata in favore dell'opponente, consistita nell'attività giudiziale e in quella della precedente fase, nonché nella susseguente partecipazione alla transazione stragiudiziale, ritenuta l'ammissibilità nella specie della procedura speciale ex art. 28 della legge n. 794 del 1942 per avere il S. contestato soltanto l'entità della pretesa creditoria, ha rideterminato il compenso avanzato dall'avvocato opposto, e per l'effetto revocato il d.i., liquidando la complessiva somma di Euro 4.414,22, affermando che trattandosi di controversia conclusasi con transazione, non vi era una parte vincitrice ed una perdente, con la conseguenza che occorreva fare riferimento agli ampi criteri dell'art. 9 della legge n. 794 del 1942, si da ricondurre a giustizia concreta l'ammontare dell'onorario, per cui appariva equo utilizzare lo scaglione da 51.645,70 a 103.291,38 e non quello preso a base dal professionista. Avverso tale provvedimento presentava ricorso a questa corte il medesimo P. , deducendo, con quattro motivi, la violazione o falsa applicazione dell'art. 1 legge n. 536 del 1949, della legge 7.11.1957 n. 1051, del D.M. 8.4.2004 n. 127, dell'art. 10 c.p.c., nonché il vizio di motivazione con riferimento alle medesime norme la violazione del D.M. 8.4.2004 n. 127 per omessa liquidazione dei compensi indicati nella nota spese vistata dal Consiglio dell'Ordine e non contestati la violazione ed omessa motivazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nella liquidazione delle spese di soccombenza al 50%. L'intimato S. si costituiva in questa fase con controricorso. Il consigliere relatore, nominato a norma dell'art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all'art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso. Depositata memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. da parte del ricorrente, all'udienza camerale il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione. Ritenuto in diritto Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta Ritiene il relatore che sussistono le condizioni per il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell'articolo 9 della tariffa professionale forense in relazione all'art. 10 c.p.c. deduce che erroneamente i giudici del merito hanno liquidato al P. il compenso con riferimento ad uno scaglione inferiore per l'attività prestata nella controversia che traeva origine dall'inadempimento da parte del promittente venditore e costruttore agli obblighi assunti con il preliminare di vendita per il quale era stato pattuito il prezzo di Euro. 390.000,00, non realizzate alcune parti dell'edificio, oltre al risarcimento del danno determinato in Euro 3.000,00. Con la conseguenza che il valore della controversia per esso ricorrente non era pari allo scaglione applicato da Euro 51.645,70 ad Euro 103.291,38, bensì a quello superiore da Euro 258.300,00 ad Euro 516.500,00. Con il secondo motivo di ricorso il F. denuncia vizi di motivazione per aver il giudice di merito omesso di chiarire le ragioni dei valori applicati, anche tra il minimo ed il medio, nonostante l'urgenza dell'attività professionale espletata su richiesta dello stesso S. . Con il terzo motivo il ricorrente lamentata che il tribunale non abbia liquidato tutta l'attività giudiziale espletata e di parte di quella stragiudiziale, indicate nella parcella azionata con visto del Consiglio dell'Ordine e non contestata dal S. . I predetti motivi - da esaminare insieme per ragioni di connessione logica in quanto concernenti la misura del compenso spettante all'avvocato F. per l'attività professionale da questi svolta in favore del S. nel giudizio relativo al contratto preliminare di compravendita per l'acquisto di una villa uni familiare, in corso di realizzazione, con terreno antistante di pertinenza esclusiva - sono infondati. Secondo la più recente giurisprudenza di questa corte, sulla base di una lettura dell'art. 6, comma 2, del D.M. 8.4.2004 n. 127, adeguatamente coordinata con quella del quarto comma per il quale nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti , si è affermato e consolidato il principio, di generale applicazione v. in particolare Cass. 8 febbraio 2012 n. 1805 Cass. 31 maggio 2010 n. 13229 Cass. 11 luglio 2006 n. 15685 , secondo il quale, nei rapporti tra avvocato e cliente diversamente che ai fini della liquidazione delle spese a carico della parte soccombente, nei quali, ai sensi del primo comma, il valore della lite si determina secondo i criteri codicistici, salva l'adozione di quello del decisum, nelle cause di pagamento e risarcimento di danni , sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione con quello derivante dall'applicazione delle norme del codice di rito. Tale interpretazione, aderente al criterio finalistico, secondo cui il dato letterale va opportunamente coordinato con la ricerca dell'intenzione del legislatore art. 12 preleggi, comma 1, u.p. , deve ritenersi preferibile, siccome più aderente all'esigenza cui il combinato disposto delle due norme tariffarie risulta palesemente improntato, vale a dire all'osservanza di quel principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell'opera professionale effettivamente prestata , che le Sezioni Unite di questa corte sent. 11 settembre 2001 n. 19014 hanno ritenuto appunto desumibile dall'interpretazione sistematica delle disposizioni in questione. La portata generale di tale principio informatore della materia risulterebbe palesemente frustrata dalla restrittiva accezione ermeneutica proposta nei motivi di ricorso, che relegandone l'applicazione soltanto a limitati settori del contenzioso civile, escluderebbe ogni possibilità, da parte del giudice, di porre rimedio a quelle situazioni, ricorrenti nella pratica giudiziaria, caratterizzate dall'evidente sproporzione tra pretese economi che manifestamente esorbitanti ed il valore effettivo del bene o della prestazione controversi. È da ritenersi, pertanto, che nel richiamo al valore presunto a norma del codice di procedura civile , la disposizione tariffaria abbia semplicemente inteso riferirsi a tutte le regole dettate dal codice di rito, ivi compresa quella ex artt. 10 e 14, correlata all'indicazione del quantum nella domanda nelle cause relative a somme di danaro o beni mobili, per la determinazione valore della controversia, attribuendo al giudice una generale facoltà discrezionale, ove ravvisi la suesposta manifesta sproporzione tra il formale petitum e l'effettivo valore della controversia, desumibile dai sostanziali interessi in contrasto, di adeguare la misura dell'onorario all'effettiva importanza della prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia. Detto principio ha trovato corretta applicazione da parte del giudice a quo nella liquidazione degli onorari spettanti al ricorrente, avendo fatto riferimento al complessivo valore delle questioni sottoposte all'esame del giudice e, quindi, allo scaglione della tariffa professionale relativa alle controversie di valore pari a quello cosi determinato, e non anche a quello, concernente le cause di valore superiore, rapportato alla diversa e maggiore entità dell'intero contratto preliminare, poiché l'attività da remunerare, ossia l'opera intellettuale prestata, ha avuto ad oggetto solo detta parte del rapporto controverso, anche in riferimento all'entità del risultato pratico conseguito all'esito dalle parti. Né è ravvisatale la denunziata contraddizione tra l'espresso richiamo all'obbligatoria applicazione della tariffa professionale ed il dichiarato ricorso a criteri equitativi di valutazione rapportati alle caratteristiche dell'opera prestata - entità qualitativa e quantitativa - ove, come nella specie, tali criteri abbiano avuto ad oggetto non l'individuazione del parametro di riferimento, precostituito ex lege e correttamente applicato, ma la determinazione in concreto della misura del compenso. Entro siffatto ambito, invero, può legittimamente esprimersi il potere discrezionale di liquidazione attribuito al giudice, che può aver luogo, secondo principi ormai pacifici in materia, con il prudente apprezzamento di pertinenti elementi di giudizio quali l'oggetto ed il valore della controversia, la natura e l'importanza della controversia, la valutazione in fatto e in diritto della vicenda, il tempo e l'impegno resi necessari dall'uno e dall'altra, i risultati del giudizio ed i vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti. Esattamente ciò che ha fatto il Tribunale di Catania con l'impugnato provvedimento che, per quanto sin qui rilevato, non risulta fondatamente censurabile sotto alcuno dei prospettati profili. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., anche per vizio di motivazione, per avere compensato al 50% le spese del procedimento, nonostante la soccombenza del S. . Anche detta censura appare priva di pregio. Al riguardo si richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi pur nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal complesso della motivazione adottata, e fermo restando che la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale v., ex plurimis, Cass. 6 ottobre 2011 n. 20457 Cass. 2 dicembre 2010 n. 24531 . Nella specie, il giudice di merito ha adeguatamente motivato la parziale compensazione tra le parti delle spese relative al giudizio con riferimento al parziale accoglimento dell'opposizione . Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio, non risultando in alcun modo contrastati dalle ulteriori considerazioni svolte da parte ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., con la quale vengono per lo più ribadite le difese esposte nel ricorso, e, per quanto attiene alla determinazione del quantum conteggiato con lo scaglione stabilito dal Tribunale in Euro 7.719,19 anziché in Euro 2.500,00 , neanche specifica le voci che concorrerebbero a detto computo. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di questo grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.