Sì al rimborso degli oneri accessori, stop (?) alla retroattività dei nuovi parametri

I nuovi parametri sono retroattivi, anzi no Liquidabili anche gli oneri accessori, anche se la novella lo vieta. È quanto affermato da tre interessanti sentenze, che sollevano dubbi sulla compatibilità della nuova disciplina con la normativa nazionale ed UE, pervenendo a risultati talvolta identici ed altre volte contrastanti.

L’ordinanza emessa dal Tribunale di Cremona, sez. promiscua, lo scorso 13 settembre solleva dubbi sulla costituzionalità della nuova normativa sui parametri, disciplinata dal DM 140/12 e dalle leggi nn. 10 e 27/12 perché violerebbe gli artt. 3, 24, 117 Cost., 6 CEDU, 5, comma 4, e 296 Trattato di Lisbona e della Carta dei diritti dell’Uomo - Trattato di Nizza del 2000. I Tribunali di Siena e di Verona, rispettivamente con la sentenze n. 291 del 27 agosto e dello scorso 27 settembre, per il potere di autodeterminazione, hanno ribadito la spettanza degli oneri accessori GDP di SA n. 3629/12 dà un’esegesi costituzionalmente orientata di alcune problematiche qui affrontate pervenendo agli stessi risultati , negati dalla nuova legge e sulla retroattività delle tariffe hanno opinioni divergenti, fondate, però, su identici ragionamenti Siena - in linea con l’orientamento maggioritario - la conferma, mentre Verona e Cremona la negano. I casi. Non esiste alcuna descrizione dei fatti della prima vicenda, mentre la seconda, cui si rinvia in toto per ragioni di economia narrativa, affronta una classica lite relativa alla refusione dei danni da sinistro stradale, facendo, tra l’altro, interessanti riflessioni sulla inopponibilità della clausola compromissoria nella fattispecie riconosce la giurisdizione del G.O. e sull’azione di prescrizione del diritto al risarcimento. Conferma la retroattività dell’ordinamento in esame, malgrado l’articolato ragionamento farebbe propendere per un’opposta scelta. Riconosce, però, la necessità di liquidare gli oneri accessori, pur vietati dalla nuova disciplina, evidenziando vari profili di incostituzionalità coincidenti con quelli eccepiti dal G.I. di Cremona. La terza attiene ad una declaratoria di nullità e di inefficacia di un pignoramento presso terzi società e cinque banche la ditta ricorrente ha chiesto il rimborso dei danni subiti, di tutte le spese legali e degli oneri accessori, sostenute per le esecuzioni e la condanna ex art. 96 c.p.c. della convenuta. Sostiene l’irretroattività delle tariffe per il principio del tempus regit actum con le stesse deduzioni sulle quali quella senese ribadisce la loro applicazione anche ai processi pendenti al 23 agosto 2012. Si noti come spesso, pur spendendo le stesse argomentazioni, rassegnino conclusioni spesso contrastanti. Contrasto giurisprudenziale sulla retroattività delle nuove tariffe. La giurisprudenza costante e maggioritaria propende per la loro retroattività. L’art. 41 DM indica non il momento in cui si è conclusa l’attività del professionista momento statico ma il momento in cui il giudice deve provvedere a liquidare il compenso momento dinamico . Ciò vuol dire che è irrilevante il referente temporale che fa da sfondo all’attività compiuta e rileva, invece, la data storica vigente al momento dell’attività giudiziale-procedimentale di quantificazione del compenso spettante Trib. VR decr. n. 1252/12 . Siena, come detto, si allinea a questa tesi, mentre le altre pronunce sono in contrasto. La retroattività è contraria alla Costituzione, alla Carta di Nizza ed al Trattato di Lisbona! Il G.I. di Cremona, nel giustificare la remissione degli atti alla Consulta, fa un’approfondita riflessione sul perché non possa essere condivisa questa teoria prevalente. Mutuata dal diritto penale ed estesa, per analogia, a tutto il sistema sanzionatorio C.Cost. 78/12 è in netto contrasto con i principi di uguaglianza e di irretroattività della legge. Unica eccezione è il favor rei o debitoris , ma non è la nostra fattispecie. Se si accettasse tale tesi, poi, l’assunto che le singole attività devono essere conteggiate al momento del loro compimento danneggerebbe il legale e l’assistito, perché l’importo potrebbe essere notevolmente inferiore o tra quelli non espressamente attribuibili. Il tutto sbilancerebbe l’equilibrio processuale e tra le parti perché una trarrebbe un indebito vantaggio a scapito dell’altra. In effetti, nota il G.I., se un legale fosse stato particolarmente solerte da chiedere il pagamento con il vecchio tariffario si sarebbe arricchito a discapito del cliente e della controparte o rectius del collega che non è stato altrettanto solerte. Nessuno potrebbe contestare il saldo. Se poi avesse aspettato la fine del giudizio e non avesse chiesto il dovuto anticipo, le sue spettanze avrebbero un valore medio decisamente più basso di quelle quantificate col precedente metodo. Vanno disapplicate le norme in contrasto con la legislazione UE. Per tutti questi motivi è palese la deroga agli articoli della Costituzione, del Trattato di Lisbona e della Carta di Nizza sopra richiamati. In particolar modo è stato violato l’art. 117 cost. e l’obbligo di non legiferare in contrasto con l’ordinamento comunitario, poiché i criticati parametri violerebbero il principio di proporzionalità ex artt. 5 IV comma, 296 TFUE ora Trattato di Lisbona e 6 CEDU e Carta di Nizza. Essi sinteticamente sanciscono che lo Stato non può interferire con l’amministrazione della giustizia o pregiudicare l’affidamento dei cittadini emettendo leggi che siano contrarie ai principi dell’equo processo CEDU Agrati/Italia del 07/06/11, CGCE e di ragionevolezza. È noto che le disposizioni che contrastino con quelle europee devono essere disapplicate perché ritenute irragionevoli ed irrazionali, in quanto non atte a raggiungere i loro prefissi scopi, come confermato anche dalla Consulta C.Cost. 345 e 397/07 . Ergo è lecito che vengano disapplicate. Quale disposizioni si applicano alle competenze già maturate ante riforma? Il G.I. senese, al contrario di quello cremonese circa tali problematiche, richiama la giurisprudenza di legittimità costante che stabilisce, in caso di successione di tariffe, l’applicazione di quelle vigenti nel momento in cui si è esaurita ogni singola prestazione conclusa Cass. nn. 8160/01 e 6482/97 . In breve col passaggio dal DM 585/94 al DM 127/04 le antinomie erano state risolte dal principio tempus regit actum che, però, risulta incompatibile col dettato della nuova riforma. Infatti l’unitarietà del compenso e l’obbligo di preventivo se da un lato facilitano la comprensione e la trasparenza n. Relazione illustrativa del DM 140/12 punti 8 e 9 della parcella da parte del cliente, non edotto sull’argomento, dall’altro sono contrari agli scopi della revisione. Si deve, dunque, sottolineare come l’opinione di questo giudice apparentemente presenti contrasti ed incongruenze. Da questo assunto, invero, sarebbe stato logico ipotizzare una sua propensione alla irretroattività delle nuove tariffe, ma, come sotto chiarito, non è così, perchè viene ribadita, salvo alcuni distinguo liquidazione degli oneri accessori , inficiando così queste critiche. Le conclusioni del Tribunale di Verona. Il G.I. riassume ambedue le tesi, partendo dall’assunto che l’art. 9 DL n. 1/12 ed il DM 140/12 contengono norme di diritto sostanziale rapporto cliente-avvocato e processuale art. 91 cpc , ma presentano una grave lacuna perché nulla stabiliscono su come quantificare le spese di lite in assenza del patto obbligatorio o se è invalido fissa solo i parametri per un accordo negoziato. Si dovrà fare un vaglio interpretativo nel pieno rispetto dell’art. 11 disp. prel. cc, sì da escludere che la retroattività non violi la costituzione e abbia una ragionevole scusa per la sua attuazione. Come ampiamente spiegato questa prima tesi deve essere disattesa per la sua presunta incompatibilità con la normativa nazionale ed Ue. L’altra esegesi della irretroattività basata sulla rigida applicazione del principio del tempus regit actum , a sua volta, desta dubbi, perché origina un regime transitorio differente per le norme di diritto processuale e per quelle di diritto sostanziale contenute nelle menzionate leggi, tanto più che le norme sulla liquidazione giudiziale del compenso non possono essere applicate ai mandati di difesa stipulati dopo il 25/01/12 entrata in vigore del DL 1/12 . Ciò si evince anche dalla scelta di fondo di ridurre da quattro a due le voci saldabili ai sensi dell’artt. 2233 cc. L’art. 9 DL 1/12, però, impone al legale oneri informativi come il preventivo che sono ipotizzabili solo per la fase successiva alla conclusione del contratto di difesa e non a quelle pregresse. Si giunge così al paradosso che sarebbero applicati i suddetti criteri anche ai rapporti preesistenti e non ancora estinti con ovvie conseguenze. Ergo non possono essere retroattive per il principio sopra richiamato le fasi ed le prestazioni maturate in corso di causa , prima del 23 agosto, saranno conteggiate ai sensi del DM 127/04. Ciò trova conferma nell’analoga soluzione adottata dal legislatore quando la L. 69/09 riformò l’art. 96 cpc le nuove regole potevano essere eseguite solo per le liti iniziate dopo l’entrata in vigore della novella. Il compenso omnicomprensivo è contrario anche alla ratio della novella ? Il G.I. di Siena osserva che nella successione delle leggi restano liquidabili solo quelle voci computate in misura fissa in puntuale ed immediata correlazione con attività istantaneamente individuabili nel tempo . Per il G.I. senese, le spese legali vanno calcolate con i nuovi parametri, indipendentemente dalla maturazione delle spettanze prima o dopo il 23/08/12, perché conteggiate sulla base dello scaglione di riferimento di ogni singola fase. Esso coincide con gli onorari corrispondenti a quella fase e il Ministero ha previsto in via integrativa che debba essere quantificata la componente ‘attuativa’ piuttosto che quella propriamente ‘valutativa’ della attività professionale . La professione non è un contratto! Su questo ultimo punto il G.I cremonese non concorda con l’altro ed, anzi, evidenzia un altro aspetto critico è l’obbligo di preventivo contenuto nel contratto tra avvocato e cliente. Da un lato sarebbe inutile la rinegoziazione degli accordi già pattuiti per le cause in corso, poiché il cittadino edotto sul DM potrebbe giocare al ribasso. Questo tentativo di strappare una notula più bassa possibile comporterebbe profili di incostituzionalità, perchè otterrebbe un effetto contrario alla liberalizzazione delle professioni. I nuovi criteri di liquidazione della notula, dunque, scoraggerebbero gli avvocati dall’accettare le cause non remunerative o potrebbero aver fretta di concludere la causa che lo impegnerebbe per anni in perdita, svilendo, così, la professione. Su questa esegesi conviene anche il G.I. toscano che, in apparente disaccordo con quanto esplicato nei precedenti passi delle sue conclusioni, mostra come l’attribuzione delle sole spese concordate col cliente nel preventivo sia in netto contrasto col menzionato principio di affidamento del cittadino e con quanto affermato dalla Cassazione sulle innovazioni interpretative incidenti sui comportamenti processuali ex multis Cass. nn. 7755/12, 24413 e 15144/11 . Infatti la nuova disciplina ha introdotto un rapporto di regola ed eccezione tra i vecchi compensi tabellari e quelli nuovi negoziati. Come si determina il valore della causa? Con le nuove regole non è più determinato dalle parti ai sensi del codice di rito, ma dall’ammontare della somma attribuita dal giudice, con ovvie contestazioni sulla legittimità di tale scelta. Il G.I. di Siena, però, pone un ulteriore dubbio su come individuarlo nel caso in cui la domanda non sia accolta deve essere individuato in base al criterio del deductum e disputatum . Perciò sarà quello indicato dall’attrice nella citazione. Se le richieste sono accolte parzialmente sarà determinato dall’art. 5 DM 140/12 che adotta l’orientamento della S.C. Cass. nn. 226/11 che recepisce le SS.UU. civ. nn. 19013 e 19014/07 . Forfait del 12,5% ed oneri accessori sì o no? Da quanto sopra articolato, dall’interpretazione letteraria della relazione illustrativa, del DM 140/12 e delle altre leggi che regolano la materia si desume che, in assenza del contratto, andranno liquidate tutte quelle provate e documentate, non esistendo alcun parametro che possa surrogarle . La nuova disciplina esclude l’attribuzione di diverse voci precedentemente refuse ed in particolar modo gli oneri accessori. Da una prima lettura ermeneutica del Consiglio di Stato, però, sussiste la possibilità di indicarle in modo distinto come componente del compenso stesso . La novella, infatti, ha introdotto, de facto , uno scontro sul piano logico tra compenso giuridico e quello pattuito ex art. 9 DL 1/12, col rischio di asimmetrie informative e dei vizi di costituzionalità più volte sopra ravvisati. Lo scopo dell’art. 9 è appunto contenere tali squilibri e di non snaturare il concetto di compenso, pur restando sempre in una cornice negoziata e negoziabile . La novella esclude espressamente la liquidazione degli oneri accessori, sì che, per quanto sopra esplicato ed in assenza di un parametro surrogatorio specifico, il consenso alla refusione degli stessi è in re ipsa si ritiene implicito al conferimento del mandato. Il G.I. di Verona ha disposto la loro refusione poiché non ha riconosciuto la retroattività della disciplina in esame. Alla luce di tutto ciò è palese la confusione che regna sulla corretta applicazione di questa materia, dovuta anche al fatto che essendo molto recente ancora non è stato possibile adottare misure correttive. Perciò non resta che aspettare la decisione della Consulta per conoscere la sorte di questa ennesima riforma appena varata, ma già incamminata sul viale del tramonto v. mediaconciliazione con cui condivide molte critiche .

Tribunale di Cremona, sez. Unica Promiscua, ordinanza 13 settembre Dott. Giulio Borella Motivi L’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dalla L. 27/2012, ha disposto l’abrogazione con effetto ex tunc, quindi anche per le cause in corso, delle tariffe professionali. L’effetto retroattivo dell’abrogazione si evince senza possibilità di equivoci o differenti interpretazioni dalla lettera dell’art. 9 co. I-II, ove si afferma perentoriamente che sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico” e nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante”. Anche il co. V indirizza nella stessa direzione, affermando che sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe”. Ora l’applicazione retroattiva dell’abrogazione delle tariffe deve ritenersi in contrasto con gli articoli 3, 24 e 117 della Costituzione, quest’ultimo nella parte in cui impone di legiferare nel rispetto degli impegni internazionali assunti dall’Italia, nella specie l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo cui ha aderito anche l’Unione ex art. 6 Trattato Ue e il principio di proporzionalità all’art. 5 co. IV e all’art. 296 trattato Ue, oltre che nel rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione firmata a Nizza nel 2000, pure richiamata dall’art. 6 Trattato Ue, che annovera lo stato di diritto tra i principi comuni alle tradizioni costituzionali degli stati membri dell’Ue. Sebbene infatti la nostra Costituzione non preveda, se non in campo penale e, secondo un’interpretazione più moderna, in tutto il settore sanzionatorio, il divieto assoluto di norme retroattive, il principio di irretroattività riceve comunque copertura costituzionale, come anche recentemente la Consulta ha avuto modo di affermare nella sentenza n. 78/2012. L’art. 3 della Costituzione infatti, nello stabilire il principio di uguaglianza e, quindi, di ragionevolezza delle scelte del legislatore, impone di salvaguardare la certezza dell’ordinamento, in funzione dell’affidamento dei cittadini, che devono poter orientare le proprie condotte, confidando che esse non saranno sindacate ex post, in base a norme non vigenti e, dunque, non conoscibili al momento in cui la fattispecie produttiva di effetti giuridici era ancora in fieri. Ugualmente l’art. 117 della Costituzione, nell’imporre al legislatore di legiferare in conformità al diritto internazionale pattizio, rinvia, tra l’altro, alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ratificata dall’Italia con L. 848/55, nonché alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha pure avuto modo di precisare come, ex art. 6 CEDU, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo ostano a che il potere legislativo interferisca con l’amministrazione della giustizia o pregiudichi l’affidamento dei cittadini cfr Corte EDU 07.06.2011 Agrati c/ Italia . Analoghi principi si rinvengono in ambito comunitario, per effetto del richiamo effettuato dall’art. 6 Trattato Ue alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e alla Carta dei Diritti dell’Unione di Nizza. Dal compendio normativo richiamato emerge come la retroattività di una legge non penale possa ammettersi solamente laddove, all’esito di un prudente bilanciamento, sussistano preminenti motivi imperativi di interesse generale a sostegno della scelta. Ora, con riferimento alla norma censurata, non risultano sussistere tali imperative ragioni di interesse generale, e la norma è irragionevole. Infatti lo scopo dichiarato del legislatore, col D.L. 1/2012 e norme derivate e conseguenti, è quello di liberalizzare il mercato delle professioni. Tuttavia, rispetto a tale obiettivo, la retroattività dell’abrogazione delle tariffe è del tutto inefficace e, quindi, il mezzo appare inadeguato e sproporzionato allo scopo con ciò concretizzando anche violazione del principio di proporzionalità, immanente al sistema dell’Unione ed esplicitato dall’5 co. IV Trattato sull’Unione e art. 296 del Trattato sul funzionamento dell’Unione . Infatti l’autonomia negoziale, cui la liberalizzazione vorrebbe fare da volano, risulta veramente spendibile solo nel momento – anteriore all’instaurazione del rapporto - delle trattative e, quindi, solamente con riguardo ai contratti ancora da stipulare, successivi alle nuove disposizioni, mentre, per quelli già conclusi in epoca precedente e tutt’ora in fase di esecuzione, il mutamento dei compensi in corso d’opera si traduce in un mutamento dell’equilibrio contrattuale a suo tempo concordato tra le parti con una di esse che inevitabilmente finisce per guadagnarci e un’altra per perderci , a dispetto delle valutazioni di convenienza dalle stesse condotte al momento della stipulazione, quando invece, in passato, era sempre stato pacifico che le nuove tariffe che via via entravano in vigore si sarebbero applicate solo ed esclusivamente agli adempimenti successivi. Ciò ha del resto la sua logica spiegazione giuridica nel fatto che il diritto e la misura del compenso del professionista sorgono e si determinano nel momento stesso del compimento delle singole attività. S’intende dire che la fattispecie giuridica, col compimento del singolo adempimento, si è già perfezionata e l’effetto il diritto e la misura del compenso si è già prodotto in favore del professionista, secondo il noto sillogismo fatto-norma-effetto. Intervenire retroattivamente su quell’effetto significa dunque non solo toccare un diritto quesito, ma anche alterare arbitrariamente gli effetti di una fattispecie esaurita, a danno necessariamente di una delle parti. Potrebbe quindi oggi quindi venirsi la disomogenea situazione per cui, pur avendo in ipotesi due avvocati posto in essere il medesimo adempimento in una stessa data, uno di essi, più solerte nel chiederne il pagamento, avrebbe conseguito il dovuto nella misura prevista dalle vecchie tariffe, mentre il secondo, che abbia come di consueto atteso la fine del giudizio, limitandosi a richiedere di volta in volta degli acconti, si vedrebbe liquidato un compenso differente e mediamente più basso. Né si dica che, per i contratti in corso, le parti potrebbero cautelarsi rinegoziando il rapporto e concludendo l’accordo caldeggiato dalla riforma v’è infatti da domandarsi quale forza negoziale possano spendere gli avvocati nei confronti di clienti che, nel caso non si dovesse raggiungere un accordo, sanno che il compenso verrà liquidato in base al nuovo D.M. 140/2012. Il quale prevede compensi mediamente assai più bassi di quelli a suo tempo liquidabili col D.M. 08.04.2004 stante anche il fatto che il valore della causa non si determinerebbe più, come avveniva in precedenza, in base alle norme del codice di procedura civile, bensì in base alla somma finale concretamente attribuita alla parte vincitrice . Il caso di specie è emblematico posto un valore della controversia di euro 5.000,00 circa, in base al D.M. 08.04.2004 le parti hanno presentato parcelle che oscillano tra euro 4.664,00 ed euro 10.000,00 circa, oltre a spese e accessori, mentre, adottando il D.M. 140/2012, il compenso del legale ammonterebbe, in media, ad euro 2.100,00 circa, aumentabile fino ad un massimo di euro 3.855,00. Invece i calcoli funzionali alla conclusione degli accordi sui compensi si debbono fare all’inizio e a bocce ferme, non in corso di causa. In realtà l’obiettivo del legislatore sembra essere un altro dare forza contrattuale al cliente, tramite l’abbassamento delle tariffe, ma non già per favorire il portafogli del cliente stesso, bensì per spingere gli avvocati a non accettare incarichi non remunerativi e, così, bloccare l’alluvionale afflusso di processi che intasano le aule di giustizia, afflusso che non ha pari in nessun altro paese d’Europa. In pratica, dietro l’apparente schermo della liberalizzazione, si tenta di risolvere il problema della giustizia, facendo leva sul solito versante delle spese fino ad oggi lo si era fatto calcando la mano sulla soccombenza oggi lo si fa svilendo il lavoro degli avvocati. Ed ecco allora che, nell’ottica del legislatore, anche la retroattività dell’abrogazione delle tariffe acquisterebbe un senso quello di spingere gli avvocati a definire in fretta cause per le quali si rischia di aver lavorato per anni in perdita. Così però si usa in maniera distorta lo schermo della liberalizzazione e lo strumento della retroattività, per creare un filtro indiretto all’accesso dei cittadini alla giustizia. Ma ciò è contrario all’art. 24 della Costituzione, che deve quindi anch’esso ritenersi violato dalla normativa censurata. Si è tutti d’accordo che, tra le cause della lentezza dei processi, vi sia l’eccessiva mole di contenzioso. Bisogna però allora avere il coraggio di fare una scelta fondamentale o garantire un accesso alla giustizia indiscriminato, come avviene oggi, strada che appare però sempre più difficilmente percorribile, a fronte della scarsità di risorse oppure creare i giusti filtri e limiti – il filtro in Cassazione e il filtro in appello ad esempio, recentemente introdotto -, che però non possono passare per lo svilimento del lavoro già svolto di un’intera categoria di professionisti. P.Q.M. Ritenuto che le questioni sollevate siano pregiudiziali, non potendosi decidere sulla liquidazione delle spese senza la risposta della Consulta ritenuto altresì che la questione non sia manifestamente infondata, per tutti i motivi addotti ritenuto che la lettera della legge non consenta interpretazioni alternative, compatibili col dettato costituzionale, che autorizzino il Giudice a non applicare retroattivamente le nuove tariffe IL TRIBUNALE DI CREMONA in persona del giudice monocratico Dott. Giulio Borella, solleva eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dall’art. 1 della L. 27/2012, e del collegato D.M. 140/2012, nella parte in cui dispongono l’applicazione retroattiva delle nuove tariffe forensi anche ai processi in corso e all’attività già svolta ed esaurita prima della sua entrata in vigore, in relazione all’art. 3, 24 e 117 Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 Cedu, all’art. 5 trattato Ue e all’art. 296 Trattato sul Funzionamento dell’Ue e all’art. 6 Trattato Ue e per esso ai principi dello Stato di Diritto richiamati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta di Nizza. Dispone la sospensione del processo in corso e ordina la trasmissione dell’ordinanza e degli atti alla Corte Costituzionale, unitamente alla prova delle notificazioni eseguite. Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica ex art. 23 ult. co. L. 87/1953.

Tribunale di Siena, sez. Unica, sentenza 26 - 27 agosto 2012, n. 291 Giudice Stefano Caramellino Ragioni di fatto e di diritto I. Con citazione pervenuta al convenuto il 15 aprile 2002 a seguito di notifica richiesta il 10 aprile 2002 spedita dall'ufficiale giudiziario per posta il 12 aprile 2002, l'assicurata attrice chiedeva la corresponsione dell'indennizzo a suo dire dovuto a seguito dell'incidente stradale occorsole il 3 febbraio 1999, in virtù di polizza assicurativa decennale per infortuni del conducente di autoveicoli ad uso privato, da lei conclusa il 12 aprile 1994. Allegava che dal sinistro sia derivata l'invalidità permanente del 12-13%, temporanea totale per 40 giorni, temporanea parziale per 60 giorni, nonchè la necessità di spese mediche per euro 441,57. Sosteneva che la visita medico-legale del perito dell'assicuratore abbia interrotto la prescrizione e abbia concretato implicita rinunzia alla stessa. Tempestivamente costituitosi, l'assicuratore convenuto eccepiva la prescrizione, eccepiva la perdita del diritto all'indennizzo ex articolo 1915 c.c. per ritardo nella denuncia di sinistro, contestava l'efficacia interruttiva della prescrizione dei fatti ex adverso allegati, eccepiva in subordine la deroga pattizia alla giurisdizione statale per clausola compromissoria, contestava la quantificazione del danno derivato dal sinistro. Con tempestiva memoria ex artt. 170 e 180 cpc, parte attrice contestava che la presente controversia sull'an debeatur potesse rientrare nell'ambito della clausola 8.6 della polizza, di cui comunque eccepiva l'inefficacia per vessatorietà. La causa è stata istruita con l'assunzione di testimonianze, sostanziatasi nella conferma de relato ex parte dei primi tre capi attorei o in dichiarazioni neutre. All'udienza fissata per l'interrogatorio formale di parte convenuta, non è comparsa alcuna persona munita di poteri rappresentativi della stessa il liquidatore dell'assicuratore, in tale sede privo dì procura speciale, è stato assunto invece come testimone in successiva udienza. II. Due questioni sono state sollevate da eccezioni proprie tempestivamente formulate da parte convenuta l'efficacia e operatività nel caso concreto della clausola compromissoria sub art. 8.6 contratto e la prescrizione dell'azione esperita. Entrambe le questioni hanno natura preliminare di merito in tal senso Cass. 14.07.2011, n. 15474, Cass. 21.10.2009, n. 22236, Cass. 30.05.2007. n. 12684, intervenute su convenzioni di arbitrato stipulate anteriormente all'entrata in vigore della legge 40/2006 e in procedure instaurate anteriormente alla data stessa coincidente con l'introduzione dell'art. 819 ter cpc, che invece qualifica l'eccezione di lite compromessa come introduttiva di questione di competenza. La graduazione in concreto data da parte convenuta a tali eccezioni di natura omogenea, la prima subordinata all'esame della seconda, non può superare il dato logico per cui la devoluzione della controversia agli arbitri si configura come rinuncia all'esperimento dell'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, attraverso la scelta di una soluzione della controversia con uno strumento di natura privatistica Cass. 14/07/2011, n. 15474 . E’ pertanto logicamente prioritaria la trattazione della questione inerente all'efficacia e operatività della clausola compromissoria, poichè l'esame di altro aspetto del merito della lite, segnatamente l'intervenuta prescrizione dell'azione esperita, è ontologicamente condizionato al mancato accoglimento dell'eccezione di [lite compromessa], essendo la fondatezza di quest'ultima incompatibile con l'esame della prima cfr. in tali termini Cass. 30/05/2007, n. 12684, Cass. 12/12/2011, n. 26635, riferite al rapporto tra eccezione di lite compromessa ed esame della domanda riconvenzionale . III. Nel merito dell'eccezione di lite compromessa, deve in primo luogo rilevarsi che le il contratto di assicurazione dedotto in giudizio costituisce contratto per adesione a mente dell'articolo 1341 c.c., ma non emerge dagli atti che la clausola compromissoria sia stata specificamente approvata per iscritto dal contraente aderente, vale a dire dall'assicurato, pertanto essa è inefficace ai sensi dell'articolo 1341, secondo comma c.c In ogni caso, a titolo di ratio decidenti concorrente, la clausola compromissoria non opera con riferimento alla presente lite, in cui si pone questione circa l'an debeatur sotto il profilo dell'intervenuta prescrizione, poichè il suo ristretto ambito si esaurisce alle divergenze sul grado di invalidità permanente o sulla liquidabilità della diaria, nonchè sull'applicazione di quanto previsto all'articolo 8.2, criteri di indennizzabilità , coerentemente con la composizione esclusivamente medica del collegio arbitrale prevista nella clausola in esame. Ritenuta pertanto la devoluzione della presente lite alla giurisdizione statale e, in difetto d'eccezione sotto altro profilo, la propria competenza, deve vagliarsi la questione preliminare di merito di prescrizione ex art. 2952, secondo comma c.c., che viene in considerazione nel suo testo vigente al tempo tanto del fatto costitutivo dedotto quanto della domanda giudiziale, entrambi anteriori al d.l. 134/2008 non dotato di efficacia retroattiva, in assenza di deroghe all'art. 11 preleggi . IV. Quanto alla contro-eccezione di rinuncia alla prescrizione ex art. 2937 c.c., tempestivamente formulata da parte attrice e dotata di priorità logica, giova ricordare che tale rinuncia può conseguire anche da una proposta transattiva, qualora questa, anzichè presupporre la contestazione del diritto della controparte, venga formulata in circostanze e con modalità tali da implicare ammissione del diritto stesso, e sia rivolta solo ad ottenere un componimento sulla liquidazione del quantum Cass. 14.07.2009, n. 16379 . Invece non costituisce atto interruttivo della prescrizione, ai sensi dell'art. 2944 cod. civ., l'invito, rivolto dalla compagnia assicuratrice al soggetto danneggiato, a sottoporsi a visita medica presso un sanitario indicato dalla compagnia stessa, atteso che detta visita, essendo finalizzata non necessariamente alla valutazione delle lesioni ma anche alla verifica della compatibilità eziologica tra queste ultime e l'incidente, non si traduce in un riconoscimento univoco del diritto del danneggiato nè esclude la possibilità di negarlo successivamente al suo espletamento Cass. 21.12.2011, n. 27928 . Infatti, in termini più astratti, le trattative per comporre bonariamente la vertenza, le proposte, le concessioni e le rinunce fatte dalle parti a scopo transattivo, se non raggiungono l'effetto desiderato, non avendo come proprio presupposto l'ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e non rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui, ai sensi dell’art. 2944 cod. civ., non hanno efficacia interruttiva della prescrizione, nè possono importare rinuncia tacita a far valere la prescrizione stessa, perchè non costituiscono fatti incompatibili in maniera assoluta con la volontà di avvalersi della causa estintiva del diritto altrui, come richiesto dal disposto dell'art. 2937, terzo comma, cod. civ. Cass. 06.03.2008, n. 6034 . Non può pertanto condividersi la tesi attorea, secondo cui la visita medica costituirebbe riconoscimento di debito o rinuncia alla prescrizione, per il solo fatto di essere intervenuta dopo la richiesta risarcitoria. La formula adottata in tale occasione dall'assicuratore, salvi e impregiudicati i reciproci diritti , se è vero che costituisce formula di stile, è del pari vero che non consente in alcun modo di essere interpretata come ricognitiva o rinunciativa. Neppure dalla testimonianza di R. D. da ultimo assunta sono emersi fatti cui possa attribuirsi il valore di rinuncia della prescrizione. V. Per quanto attiene invece alla contro-eccezione di interruzione della prescrizione, posto che il fatto costitutivo allegato dall'attrice data pacificamente 03.02.1999, deve accertarsi se il termine annuale di prescrizione sia spirato anteriormente al 15.04.2002, data di perfezionamento della notificazione della citazione che è l’unica a rilevare secondo Cass. 14/06/1994, n. 5760, Cass. 14/05/1985, n. 3003, Cass. 1440/1984, Cass. 3004/1980, coerentemente con gli artt. 1219,1334 e 1335 c.c. , o se sia medio tempore intervenuta una successione di fatti interruttivi a distanza infrannuale. Il primo atto scritto inequivocabilmente concretante costituzione in mora è la richiesta di risarcimento, rectius indennizzo, pervenuta all'assicuratore il 15.12.2000, seguita da ulteriori solleciti trasmessi il 10.04.2001 via fax, il 28.05.2001 per lettera raccomandata a.r. e il 09.08.2001 per fax. Parte convenuta ha inoltre riconosciuto come veritiera la data, di per sè sprovvista di certezza, del 26.11.1999 che compare sull'avviso di sinistro prodotto dall'attrice, suscettibile di costituire costituzione in mora interruttiva della prescrizione Cass. 14.02.2000, n. 1642 . Si pone pertanto la questione di fatto, se tra il 26.11.1999 e il 15.12.2000 l'assicuratore sia stato costituito in mora ex artt. 2943, terzo comma e 1219 c.c. in tempo utile a impedire il decorso continuativo di un anno. I capi di prova per testi formulati da parte attrice hanno ad oggetto trattative, colloqui, incontri e scambi di documenti tra le parti il capo 3 non descrive un riconoscimento di debito neppure verbale, poichè altro è preannunciare la liquidazione del sinistro entro un termine di legge, altro sarebbe stato promettere o prospettare l'almeno parziale accoglimento della richiesta di indennizzo, nel merito dell'utilitas pecuniaria perseguita dall'assicurata odierna attrice. Assorbita ogni questione circa l'attendibilità nella specie della testimonianza de retato ex parte, le allegazioni attoree non colgono nel segno per l'assorbente ragione di diritto che l’art. 1219 c.c. prevede la sola - indefettibile - forma scritta per la costituzione in mora mediante inequivocabile intimazione di pagamento mora ex persona così Cass. 09.09.2011, n. 18557, conforme tra le molte, con Cass. 12.02.2010, n. 3371, a Cass. 28.01.1966, n. 324 . È quindi bensì vero che l'uso della lettera raccomandata a.r. costituisce modalità di trasmissione non indefettibile se non prescritta contrattualmente lo ricorda parte attrice invocando a contrario Cass. 26.03.2001, n. 4350 , ma sono del pari insuperabili la necessità della forma scritta dell'intimazione di pagamento nonchè, in punto di fatto, il pacifico dato della mera oralità di tutte le richieste di corresponsione dell'indennizzo comprese tra il 26.11.1999 e il 15.12.2000. L'annualità del termine prescrizionale vigente ratione temporis è quindi ragione di accoglimento dell'eccezione di parte convenuta e consequenziale reiezione di ogni domanda attorea. VI. Le spese processuali seguono la soccombenza, in difetto di giusti motivi per la loro compensazione. In data 23 agosto 2012 è entrato in vigore a mente del suo art. 42 il Decreto del Ministero della Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 agosto 2012, n. 195, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della Giustizia, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Ai sensi dell'art. 41 del predetto DM 140/2012, le sue disposizioni si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore . Dall'impiego del termine liquidazione sia nell'art. 9, secondo comma d.l. 1/2012, sia negli artt. 1,4,11,3 e 6 DM Giustizia 140/2012, questi ultimi due relativi a compensi forensi differenti da spese processuali, sia inoltre nelle ulteriori disposizioni regolamentari che, come l'art. 17 stesso DM si riferiscono a professioni non forensi, si evince che nel contesto normativo in esame il termine liquidazione indica ogni determinazione da parte di un organo giurisdizionale di un compenso professionale. Ne discende a maggior ragione, in via letterale ancor prima che logica e sistematica, che in tale nozione rientra anche la taxatio delle spese processuali a carico del soccombente, sicchè i vigenti parametri si applicano alla liquidazione ex art. 91 cpc cui deve farsi luogo nella presente sede. In chiave teleologica tale esito esegetico risulta altresì più coerente, rispetto al criterio tempus regit actum, con il proposito semplificatorio perseguito dall'Esecutivo nell'attuazione della norma sostitutiva delle tariffe del sistema ordinistico di cui al decreto legge 1/2012 recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività . Tale mens legis è esplicitata nella Relazione illustrativa del DM nell'ultimo capoverso inerente alla professione di Avvocato Conclusivamente va rimarcato poi che la ben maggiore semplificazione del sistema dei compensi così delineato determinerà un esponenziale incremento dell'agilità decisionale, per gli organi giurisdizionali, anche in sede di liquidazione delle spese all'esito del contenzioso. . L'unitarietà della fonte normativa dei criteri di liquidazione meglio si adatta altresì all'intento di trasparenza e massima intelligibilità da parte del soggetto non tecnico quale è, nell'id quod plerumque accidit, il cliente del professionista che ha indotto a ritenere che ogni parcellizzazione liquidatoria fosse contraria allo spirito della riforma, così come palesato dall'art. 9, quarto comma d.l. 1/2012 in tema di preventivo cfr. Relazione illustrativa, p.8, per tale rilievo . Nè è a dirsi che l'abbandono della regola intertemporale tempus regit actum, che aveva improntato a sè la liquidazione dei diritti di procuratore al tempo dell'abrogazione del DM Giustizia 585/1994 ad opera del DM Giustizia 127/2004, possa comportare una discontinuità interpretativa lesiva di affidamenti intangibili da parte del legislatore o del governo in sede regolamentare. È infatti ius receptum che, con l'eccezione dei rapporti che hanno avuto esaustiva esecuzione prima dell'entrata in vigore della modifica normativa, tale norma intertemporale non è indistintamente compatibile con qualsiasi componente del compenso professionale, ma soltanto con quelle computate in misura fissa in puntuale e immediata correlazione con attività istantaneamente individuabili nel tempo [i]l giudice, quando liquida le spese processuali e, in particolare, i diritti di procuratore e gli onorari dell'avvocato, deve tenere conto che i primi sono regolati dalla tariffa in vigore al momento del compimento dei singoli atti, mentre per i secondi vige la tariffa in vigore al momento in cui l'opera è portata a termine e, conseguentemente, nel caso di successione di tariffe, deve applicare quella sotto la cui vigenza la prestazione o l'attività difensiva si è esaurita Cass. 15/06/2001, n. 8160, Cass. 16.07.1997, n. 6482 . Ciò premesso in termini generali, tratto distintivo e peculiare dell'odierna sopravvenienza normativa è l'introduzione di un nuovo sistema fondato sulla sostituzione dì parametri elastici e discrezionalmente derogabili alle tariffe già vincolanti per l'organo giurisdizionale tale innovazione concettuale importa, tra l'altro, il principio di unitarietà del compenso, che nella Relazione illustrativa, p.8, ha indotto a definire l'abolizione della distinzione tra diritti ed onorari come un necessario precipitato sia in termini di rottura con il sistema tariffario sia in termini sistematici . Ai presenti fini mette conto rilevare che tanto l'unitarietà del riferimento all'opera prestata quanto la flessibilità erano caratteri distintivi dell'onorario, così come ora lo sono dei parametri, sicchè tali categorie presentano significativi profili di strutturale omogeneità reciproca prova ne sia che il riferimento principale per il computo del parametro di ciascuna fase per il c.d. scaglione di riferimento è stato proprio l'onorario per le attività solitamente rientranti nella fase stessa, mentre del valore di costo dei previgenti diritti il Ministero ha tenuto conto in via integrativa, comunque per contribuire alla quantificazione della componente attuativa piuttosto che propriamente valutativa dell'attività professionale . Per quanto qui di interesse, dunque, la più stretta analogia strutturale tra onorari e parametri - i quali disciplinano tanto le fasi cognitorie quanto quella esecutiva - ha per esito sistematico che per i secondi, così come si è sempre riconosciuto per i primi, la liquidazione non può che avvenire all'esito di una lettura complessiva e unitaria della prestazione professionale svolta, insuscettibile di frazionamenti tra diverse fasi processuali, tanto più sulla base del mero estrinseco dato della loro articolazione temporale in data in tutto o in parte anteriore o posteriore al 23 agosto 2012. La liquidazione di tutte le spese del presente primo grado di giudizio deve pertanto conformarsi ai parametri di nuovo conio. Il valore di lite deve essere individuato sulla base del criterio del dedectum o disputatum, poichè la domanda non è stata accolta neppure in parte ipotesi cui invece si riferisce l'art. 5, primo comma DM 140/2012, che recepisce l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite, Cass. 11.09.2007, n. 19014 e n. 19013, fatto proprio da Cass. 05.01.2011, n. 226, nello stesso ordine di idee Cass. 19.02.2010, n. 3996 pertanto lo scaglione di riferimento è quello fino a euro 25.000. Premesso che nel presente grado di giudizio, svoltosi nel contraddittorio di due sole parti, si e fatto luogo ad istruttoria, concretatasi nell’assunzione di testimonianze, non si ravvisano ragioni per discostarsi in concreto dal valore medio di liquidazione alla luce dei criteri dettati dall'art. 4, secondo, terzo e sesto comma e dall'art. 1, sesto comma DM 140/2012 valore, natura, complessità della controversia numero, importanza e complessità delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche a seguito di riunione delle cause eventuale urgenza della prestazione pregio dell'opera prestata, risultati del giudizio, vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente eventuale adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli esistenza di prova del preventivo di massima introdotto dall'art. 9, quarto comma d.l. 1/2012 , stante la sostanziale ordinarietà dell'andamento del presente processo, sotto tutti i profili citati e in tutte le sue fasi. L'incarico difensivo collegiale è stato conferito ad Avvocati che risultano appartenere a società tra professionisti, pertanto l'art. 1, quarto comma DM 140/2012 preclude ogni aumento. Segue la liquidazione di un compenso complessivamente pari a euro2.100,00. La parte vittoriosa, convenuta in giudizio, non ha sostenuto spese esenti. Quanto alle spese imponibili, l'art. 1, secondo comma DM 140/2012 chiarisce che trattasi di voce non compresa nei compensi tabellari e la Relazione illustrativa del DM è chiara nel dare atto di una consapevole presa di distanza, in sede di emanazione del regolamento stesso, dall'assunto del Consiglio di Stato in sede consultiva, secondo il quale si sarebbe dovuto ritenere che il compenso, unitario e onnicomprensivo, comprende[sse] anche le spese, ferma restando la possibilità di indicarle in modo distinto come componente del compenso stesso . Al contrario, l'esegesi dell'art. 9, quarto comma d.l. 1/2012 da cui ha dichiaratamente preso le mosse l'Esecutivo in sede normativa secondaria è quella secondo cui la locuzione 'spese' è utilizzata in senso lato all'evidente finalità di indurre a formulazioni chiare e compiute del preventivo, e non per snaturare il concetto di compenso che, come tale, sul piano logico prima che giuridico, è da sempre distinto da quelle. L'art. 9 comma 4 menzionato, infatti, riguarda il ben diverso caso del compenso pattuito. Caso in cui, logicamente, può ipotizzarsi e pretendersi che l'accordo si estenda al computo o meno delle spese, tipicamente forfettarie, ovvero alle modalità di quel computo. Il precetto mira cioè a contenere al massimo le asimmetrie informative ma, appunto, in una cornice negoziale e negoziata. È evidente che quando invece l'accordo e, ancor prima, la negoziazione non vi siano stati, l'organo giurisdizionale liquiderà le spese in base alle prove - e quindi, tipicamente, liquiderà quelle documentate - non esistendo alcun parametro che le possa surrogare . Da tanto la conclusione secondo cui [n]ei compensi - che pure ricomprendono l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, non escluse le attività accessorie alla stessa - non sono incluse le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, anche quella concordata in modo forfettario si pensi alla voce spese forfettarie propria dì molte precedenti tariffe . Non sono altresì compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo , quali CPA e IVA Relazione illustrativa, passim, pp. 3 e 4 . Orbene nel caso di specie la liquidazione ha ad oggetto attività difensive integralmente svolte nel presente primo grado di giudizio in tempo anteriore sia all'entrata in vigore del DM 140/2012, non riproduttivo della già consueta previsione di un rimborso forfettario delle spese vive, sia del 23 luglio 2012, data della cessazione dell'ultrattività ex art 9, terzo comma d.l. 1/2012 delle tariffe ex DM 127/2004. Liquidare le sole spese comprovatamente concordate con il cliente ex art. 9, quarto comma d.l. 1/2012 o, in difetto, comprovatamente inerenti alla procedura, avrebbe l'effetto di addossare a posteriori al professionista un onere probatorio non ragionevole, stante l'assoluta novità costituita, nel sistema normativo, dall'inversione del rapporto di regola ed eccezione tra compensi e rimborsi tabellari, da un lato, e compensi e rimborsi pattuiti, dall'altro. Tale approdo ermeneutico contrasterebbe, in ultima analisi, con il principio di affidamento che ha latamente improntato a sè i recenti orientamenti del Supremo Collegio in tema di innovazioni interpretative incidenti sui comportamenti processuali Cass. 17.05.2012, n. 7755, Cass. 21.11.2011, n. 24413, Cass. 26,10.2011, n. 22282, Cass. 11.07.2011, n. 15144 . Ai limitati fini delle spese vive, quindi, la mancanza di un parametro che possa surrogare il rimborso a forfait ex art. 14 DM Giustizia 127/2004 non osta a ritenere implicito, in difetto di contrarie emergenze, l'originario consenso del difensore e del cliente all'applicazione della previsione da ultimo citata, consenso che nella sostanza tiene luogo all'allora inconfigurabile accordo ex art, 9, quarto comma d.l. 1 /2012 ora vigente. Il 12,5% del compenso spettante al difensore è pari a euro 262,50. Il tribunale definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda istanza eccezione e deduzione reietta o assorbita, visti gli artt. 279 e 91 ss. Cpc P.Q.M. rigetta ogni domanda di parte attrice L. N. N. condanna parte attrice L. N. N. a rifondere le spese processuali di parte convenuta MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, che liquida in euro 2100,00 per compenso, euro 262,50 per spese imponibili, oltre CPA ed IVA ai sensi di legge Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza, ivi inclusa la rettifica dei dati di causa sul registro Sicid nei termini di cui in intestazione.

Tribunale di Verona, sez. IV Civile, sentenza 27 settembre 2012, numero 1252 Giudice Unico Massimo Vaccari Rileva L’attrice ha convenuto in giudizio avanti a questo Tribunale la S. As. S.r.l. esponendo che - quest’ultima, dopo aver ottenuto, in data 26 ottobre 2010, dal Tribunale di Verona decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei propri confronti per il pagamento della somma di euro 245.674,73, le aveva notificato atto di precetto - successivamente la convenuta, avendo nel frattempo ottenuto l’autorizzazione a procedere a pignoramento senza l’osservanza del termine di cui all’articolo 482 c.p.comma aveva notificato atto di pignoramento presso terzi per il pagamento di euro 336.716,89 e lo aveva notificato presso una serie di società meglio indicate in atto di citazione, tra le quali cinque istituti di credito e quattro clienti li aveva citate a comparire al fin di rendere la dichiarazione di cui all’articolo 547 c.p.c. - essa attrice aveva proposto opposizione avanti a questo Tribunale avverso il predetto atto di pignoramento deducendo, tra l’altro, l’incompetenza territoriale del Tribunale di Verona - nelle more del predetto giudizio si era tenuta l’udienza ex articolo 547 c.p.comma relativa all’espropriazione presso terzi promossa dalla convenuta e nel corso di tale udienza S. si era opposta fermamente all’eccezione di incompetenza territoriale e aveva chiesto anche la vendita di alcuni titoli custoditi presso Bnl inducendo essa attrice a chiedere la conversione del pignoramento - la convenuta si era costituita anche nel procedimento di opposizione contestando in parte l’eccezione di incompetenza per territorio sollevata da essa attrice - con ordinanza del 24 febbraio 2011 il Giudice dell’Esecuzione aveva sospeso l’esecuzione e aveva fissato ai sensi dell’articolo 616 c.p.comma termine per la proposizione del giudizio di cognizione. Sulla base di tale prospettazione l’attrice ha chiesto che venga dichiarata l’incompetenza per territorio di questo Tribunale con riguardo al pignoramento presso i terzi sopra citati, ad eccezione della Banca Popolare di Verona, a favore dei Tribunali ove gli stessi hanno sede, con conseguente declaratoria di inefficacia del pignoramento stesso. Inoltre l’attrice ha avanzato domanda di condanna della convenuta al risarcimento dei danni patiti, per effetto della condotta sopra descritta, anche ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., quantificati nella somma di euro 50.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.382,00, corrisposta da Mz. a titolo di spese legali relative alla procedura di espropriazione presso terzi, di quella di euro 36.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi, a titolo di penale, di quella di euro 2.578,00 oltre 12,50 % a titolo di rifusione del compenso per il proprio legale, in relazione alla medesima procedura esecutiva. La convenuta si è costituita in giudizio e ha resistito all’accoglimento dell’eccezione di incompetenza per territorio sollevata da controparte relativamente ai terzi pignorati che erano istituti di credito mentre ha aderito a tale eccezione con riguardo ai restanti terzi pignorati Manta società cooperativa edilizia, Mare Società Cooperativa Editrice, Ikea Italia Retail e Urano Società Cooperativa . La domanda di declaratoria di nullità ed inefficacia degli atti di pignoramento indicati da parte attrice merita di essere accolta, essendo fondato il rilievo addotto a sostegno di essa secondo cui i terzi pignorati sono stati citati a comparire presso questo Tribunale, sebbene ognuno di essi abbia la propria sede legale in comuni siti in circondari di altri tribunali e avrebbero pertanto dovuto essere citato avanti a quegli organi giudiziari. Parte convenuta invero ha aderito a tale eccezione solo con riguardo ai terzi che erano clienti della attrice sostenendo che la procedura di espropriazione nei confronti degli istituti di credito è stata correttamente instaurata nel circondario di questo Tribunale, ai sensi del combinato disposto degli articolo 26 secondo comma e 19 comma 1 c.p.c., dal momento che, a suo dire, la banca terzo-pignorato può essere legittimamente essere citata a rendere la dichiarazione anche davanti al giudice del luogo ove essa ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio. Tale principio però non è invocabile nel caso di specie atteso che, come già rilevato dal G.E., sia l’atto di precetto che l’atto di pignoramento sono stati notificati presso la sede di tali soggetti e non, come avrebbe dovuto essere presso le filiali aventi site nel circondario di questo Tribunale. Ciò detto con riguardo alla domanda di accertamento svolta dall’attrice occorre ora passare ad esaminare quelle di condanna dovendosi evidenziare come sussista senz’altro una responsabilità della convenuta, gravemente colposa, per aver attivato le procedure esecutive nell’evidente mancanza di uno dei presupposti processuali delle stesse. Si tratta pertanto di stabilire se i danni lamentati dall’attrice sussistano e siano causalmente ricollegabili alla condotta della convenuta. Orbene nulla può essere riconosciuto alla attrice a titolo di penale prevista nei contratti di subappalto conclusi con la convenuta perché il presupposto per l’operatività della clausola menzionata dalla prima era che la sub appaltatrice ossia S. As. rivelasse a terzi, in tutto o in parte, il contenuto dell’accordo o tenesse una attività concorrenziale ai danni della committente. sub appaltatrice. Non integra in nessun modo una di queste condotte l’iniziativa della S. As. di agire anche in fase esecutiva a tutela del proprio credito nei confronti dell’attrice. All’attrice spettano invece gli altri importi richiesti. Essa infatti ha dimostrato di aver effettivamente sostenuto sia la spesa di euro 3.382,00, trattandosi della somma versata a titolo di rifusione di spese di lite alla convenuta nella procedura esecutiva sopra citata, e quella di euro 3.600,92, quale corrispettivo del proprio difensore nella medesima procedura, poiché, con riguardo, alla prima ha prodotto documentazione rilevante docomma 14 e con riguardo alla seconda la circostanza è stata confermata dal teste escusso nella fase istruttoria. Entrambi gli esborsi poi sono direttamente riconducibili alla improvvida iniziativa della S. As Parimenti va riconosciuto alla Mz. l’importo di euro 50.000,00, pari all’ammontare degli interessi passivi applicatile dagli istituti di credito a seguito della indisponibilità delle somme pignorate, poiché la circostanza è stata confermata dalla teste sentita in fase istruttoria. Su tale importo, trattandosi di credito di valore, spettano gli interessi e la rivalutazione monetaria dalla data di esecuzione dei pignoramenti a quella della presente sentenza. Passando al profilo della determinazione delle spese di lite esse vanno poste a carico della convenuta in applicazione del criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dell’entità del credito risarcitorio riconosciuto all’attrice. Occorre peraltro chiedersi se tale liquidazione debba avvenire in base al regolamento 140/2012 entrato in vigore il 23 agosto 2012 oppure in base al regime tariffario, abrogato dall’articolo 9, del d.l. 1/2012. Sul punto va evidenziato come l’articolo 9 del d.l.numero 1/12 e il regolamento 140/2012 contengono sia norme di diritto sostanziale quelle che regolano il rapporto cliente-avvocato sia norme di diritto processuale quelle che indirizzano la condanna ex articolo 91 c.p.c. . L’articolo 9 non contiene norme di diritto transitorio, se non la proroga dell’applicazione delle tariffe fino al 24 luglio 2012 limitatamente alle liquidazioni giudiziali”, mentre l’articolo 41 del D.M. numero 140/12 prevede la propria applicabilità alle liquidazioni” successive al 23 agosto. Si noti che quest’ultima disposizione si riferisce all’applicazione, ai sensi dell’articolo 91 c.p.c., dei parametri, ma riguarda, in mancanza o in caso di invalidità dell’accordo sul compenso, anche il rapporto tra cliente ed avvocato. Si tratta allora di stabilire se il nuovo regime dei parametri si applichi anche ai processi pendenti alla data del 23 agosto 2012 e tale verifica va compiuta in virtù del criterio interpretativo di cui all’articolo 11 disp. prel. che impone di valutare se la norma, in questo caso di natura processuale, nella sua interpretazione retroattiva abbia una ragionevole giustificazione e non incontri limiti in particolari norme costituzionali. Non si può invece tener conto, ai fini della predetta indagine, del principio giurisprudenziale che regolava la fattispecie della successione di tariffe professionali forensi. Il nuovo sistema di determinazione del compenso dell’avvocato infatti non è una naturale evoluzione del precedente ma, oltre a seguire alla sua espressa abrogazione, muove da presupposti e criteri completamente diversi, primo tra tutti quello della possibilità di maggiorazioni e riduzioni del compenso. La prima opzione interpretativa possibile è quella che, muovendo dal riferimento al momento della liquidazione presente nell’articolo 41 del D.M. 140/2012, giunge ad affermare l’utilizzabilità dei nuovi criteri ai fini della determinazione del compenso da porre a carico del soccombente per tutte le attività difensive che siano condotte a termine dopo l’entrata in vigore del regolamento medesimo, vale a dire il 23 agosto 2012, con la precisazione che il momento ultimo da considerare a tali fini è quello dell’esaurimento della fase in cui si è svolta l’attività. Sul punto deve però innanzitutto evidenziarsi come il dato letterale della norma in esame non deponga univocamente in tal senso. Essa, infatti, si limita ad individuare il momento a partire dal quale vanno utilizzati i nuovi criteri ma non precisa quali siano le attività alle quali applicarli, ed in particolare se si tratti di attività difensive precedenti o successive al menzionato momento della liquidazione. Ancora non può sottacersi come l’interpretazione sopra citata non paia idonea a superare il vaglio di ragionevolezza di cui si è detto, ponendosi in contrasto con il parametro dell’articolo 3 Cost., con la conseguenza che sarebbe possibile disapplicare l’articolo 41 D.M. 140/2012. Essa darebbe luogo infatti ad una applicazione retroattiva della nuova disciplina che è irragionevole perché inciderebbe sulle aspettative maturate da avvocati e parti del giudizio prima della instaurazione della causa, e in molti casi diversi anni prima dell’entrata in vigore della riforma, senza una adeguata giustificazione. Per cogliere appieno tale profilo occorre considerare che, avuto riguardo, in particolare, all’entità dei valori medi di liquidazione, al più restrittivo regime in tema di prova delle spese e alla presenza di una norma sanzionatoria come l’articolo 4, ultimo comma disposizione che si riferisce alle liquidazioni ai sensi dell’articolo 91 cpc e che riguarda i difensori di entrambe le parti , previsti dal D.M. 140/2012, il nuovo sistema è, nel suo complesso e in astratto, meno favorevole, rispetto a quello previgente, sia per la parte vittoriosa del giudizio che per il difensore di essa che per il soccombente. Resta ferma peraltro la possibilità che in concreto la liquidazione operata in base ai parametri risulti pari o anche superiore a quella effettuata in base alle tariffe, sebbene, nemmeno in tale ipotesi, si possa tener conto della più favorevole disciplina in tema di spese di cui al D.M. 127/2004. Si noti poi che a giustificare l’opzione interpretativa in esame non potrebbe valere nemmeno la valorizzazione della ratio, sottesa alla riforma di favorire il mercato e, indirettamente, anche l’accesso alla giustizia, attraverso la incentivazione di accordi sul compenso tra avvocati e clienti, perché tali obiettivi non possono che valere pro futuro. Una seconda soluzione porta ad attribuire rilievo, come discriminante, al momento del compimento di ciascun singolo atto difensivo, cosicché si dovrebbe ricorrere alle tariffe per le prestazioni difensive compiute sotto la loro vigenza e ai parametri per gli atti difensivi compiuti dopo il 23 agosto 2012, secondo una rigorosa applicazione del principio tempus regit actum. Una simile tesi presenta, però, un inconveniente di ordine sistematico. Essa infatti dà luogo ad un regime transitorio differente per le norme di diritto processuale e per quelle di diritto sostanziale, contenute nel d.l.1/2012 e nel D.M. 140/2012. Le disposizioni, anche in tema di liquidazione giudiziale del compenso, relative al rapporto tra professionista e cliente presenti nel nuovo sistema normativo non possono che riferirsi ai rapporti di mandato sorti successivamente al 25 gennaio 2012, data di entrata in vigore del d.l. 1/2012. Ciò si evince chiaramente dalla scelta di fondo della riforma di ridurre a due, rispetto agli originari quattro previsti dall’articolo 2233, primo comma, c.c., i criteri di determinazione del compenso del professionista accordo o, in caso di mancanza o di invalidità di esso, liquidazione giudiziale . Ancora l’articolo 9, comma 4, del D.M. 140/2012 ha posto a carico del professionista alcuni specifici obblighi informativi, primo fra tutti quello di rendere noto al cliente il preventivo di massima, che sono ipotizzabili solo nella fase precedente la conclusione del contratto e non certo rispetto a rapporti iniziati da tempo e tantomeno rispetto a quelli esauriti. Non va sottaciuto poi che, anche in questo, l’applicazione dei parametri ad accordi raggiunti prima del 25 gennaio 2012, e che proseguano dopo tale data, è irragionevole se si considera che tali contratti sono stati etero integrati nel momento genetico, quantomeno con riguardo ai diritti, e il diritto al pagamento del corrispettivo dell’avvocato è sorto al momento della stipulazione del contratto, sebbene diventi liquido ed esigibile al termine dell’incarico. Proprio gli inconvenienti delle tesi fin qui esaminate inducono questo Giudice a propendere per una diversa opzione interpretativa, ossia quella secondo cui il D.M. 140/2012 è applicabile solo ai giudizi e ai gradi di processo instaurati dopo il 23 agosto 2012, in conformità al principio tempus regit processum. Tale soluzione invero risulta conforme a quella che il legislatore ha adottato rispetto ad una norma processuale del tutto analoga a quelle introdotte dal D.M. 140/2012, ossia la modifica ad opera della L. 69/2009 dell’articolo 96 c.p.c., anch’essa trova applicazione al momento della liquidazione delle spese del giudizio e richiede, al pari dell’articolo 4, ultimo comma, del D.M. 140/2012, la valutazione del comportamento processuale sia pure della parte e non delll’avvocato . Infatti, in virtù del regime transitorio fissato dall’articolo 58, primo comma della L.69/2009, la norma succitata si applica ai giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della novella. E’ evidente poi come l’adesione alla regola del tempus regit processum consenta di uniformare il regime transitorio delle norme processuali e di quelle sostanziali contenute nel d.l. 1/2012 e nel D.M. 140/2012. In questa prospettiva allora le liquidazioni menzionate dall’articolo 41 del regolamento 140/2012 sono quelle delle attività difensive svolte nei giudizi iniziati dopo la sua entrata in vigore. P.Q.M. Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa, così decide - dichiara la nullità dei pignoramenti eseguiti presso i terzi meglio indicati in motivazione - condanna la convenuta a corrispondere all’attrice - la somma di euro 3.382,00 a titolo di ripetizione del corrispondente importo versata dalla prima nella procedura esecutiva di cui in motivazione - la somma di euro 3.600,92, a titolo di rimborso del corrispettivo versato dall’attrice al proprio difensore nella medesima procedura esecutiva - la somma di euro 50.000,00, oltre interessi al tasso legale e rivalutazione monetaria dalla data di esecuzione dei pignoramenti a quella di pubblicazione della presente sentenza e agli interessi sulla somma complessiva risultante dalla data di pubblicazione della presente sentenza a quella del saldo effettivo, a titolo di risarcimento danni - rigetta le residue domande dell’attrice - condanna la convenuta a rifondere all’attrice le spese di lite che liquida nella somma di euro 7.399,00, di cui 1.800,00 per diritti, 5.200,00 per onorari, ed il resto per spese, oltre rimborso forfetario spese generali nella misura del 12,5 % su diritti e onorari, e Cpa.