Appello e nuovi parametri: i destini si incroceranno sempre di più

La sentenza emessa dal giudice del Tribunale di Termini Imerese il 17 settembre 2012 merita particolare attenzione per almeno due profili di interesse che, in questi giorni, rappresentano il cuore pulsante della vita forense la sorte del giudizio di appello a seguito delle ultime modifiche apportate dal decreto sviluppo e, soprattutto, l’applicazione dei nuovi parametri per la liquidazione delle spese di giudizio da parte dei giudici.

Due temi sempre più connessi dal momento che, da un lato, aumentano le ipotesi di inammissibilità dell’appello art. 339, comma 3, c.p.c. e nuovi artt. 342 e 348- bis c.p.c. con una nuova fisionomia del secondo grado di giudizio e, dall’altro lato, per effetto anche del d.m. 140/2012 aumentano le sanzioni dal momento che le inammissibilità potranno avere effetto sulla determinazione del compenso del professionista. Attenzione all’atto di appello vincolato . Sebbene la sentenza in esame si riferisca ad un appello proposto prima dell’entrata in vigore del decreto sviluppo, la circostanza, però, che quell’appello fosse diretto avverso una sentenza del giudice di pace resa secondo equità consente di svolgere qualche considerazione anche sulla tecnica di redazione degli atti di appello sempre più vicini ad un ricorso per cassazione. Ed infatti, il Tribunale di Termini Imerese ci ricorda che il giudizio di appello aveva già subito una modifica legislativa importante sistematicamente nel senso di un avvicinamento del gravame ad un’impugnazione in senso stretto. Un’impugnazione, cioè, molto più vicina, come ricordato, a un ricorso per cassazione che ad un appello in cui ormai una volta era possibile sollecitare una nuova decisione sulla causa già decisa in primo grado nei limiti soltanto del c.d. devolutum lamentandosi semplicemente della sola ingiustizia della sentenza nonostante, però, la dizione dei motivi specifici soltanto recentemente valorizzata . Nel caso di specie, la domanda proposta in primo grado aveva ad oggetto il risarcimento del danno subito per effetto di una buca presente sulla strada limitata nel quantum a una somma pari ad € 1.000 che, quindi, richiedeva la decisione secondo equità ai sensi del secondo comma dell’art. 113 c.p.c Senonché, nel caso di decisione secondo equità il giudice ricorda che l’appello è a critica vincolata dal momento che il terzo comma dell’art. 339 c.p.c. prevede che quella sentenze siano appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia . Principi informatori della materia . Quid juris nel nostro caso? Orbene, l’appellante non è certamente incorso in una inammissibilità che, peraltro, avrebbe potuto avere effetti anche sulla quantificazione del suo onorario ex art. 10, d.m. 140/2012 dal momento che ha avuto cura, secondo il Tribunale, di indicare quale era stato il principio informatore della materia responsabilità civile asseritamente violato dal giudice di pace. Ed infatti, secondo il giudice, il principio informatore della materia del risarcimento del danno causato dall’omessa o non corretta manutenzione della sede stradale, era stato ravvisato nel fatto che il giudice di pace avrebbe erroneamente ravvisato la sussistenza di una situazione di negligenza nel danneggiato, consistente nel non aver optato per un percorso alternativo, senza correttamente valutare che la via teatro dell’incidente era l’unico percorso praticabile dall’appellante per accedere alla propria abitazione . La vicinanza dell’appello al ricorso per cassazione può essere, poi, valorizzata alla luce anche della tecnica motivazionale con la quale il Tribunale respinge nel merito l’appello consistita in ciò che il giudice di prime cure ha escluso, seguendo un ragionamento lineare, condivisibile e non smentito da risultanze istruttorie di se-gno contrario, sia la oggettiva invisibilità del pericolo, sia la sua soggettiva im-prevedibilità, accertando che esso era ben conoscibile da parte del danneggiato . Probabilmente oggi, però, quell’appello sarebbe stato inammissibile perché, già alla prima lettura dell’appello forse il giudice avrebbe potuto trarre una ragionevole probabilità di non accoglimento stante la correttezza dell’iter motivazione seguito dal giudice di primo grado. Liquidazione delle spese processuali di parte . Ed eccoci, quindi, alla parte della liquidazione delle spese processuali che il Tribunale ritiene doverosamente e correttamente di dover porre a carico della parte soccombente. Il punto centrale, però, è determinato dal come liquidare i compensi dovuti all’avvocato di parte vittoriosa. Seguiamo il ragionamento del Tribunale. In primo luogo occorre vedere se si possono applicare già i parametri di cui al d.m. 140/2012 dal momento che l’attività svolta dall’avvocato è iniziata prima dell’entrata in vigore del nuovo regolamento. Per il giudice la risposta è affermativa dal momento che l’art. 41 prevede espressamente che le nuove disposizioni devono trovare applicazione alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Ma quand’è che il credito del professionista si matura e, quindi, può/deve essere liquidato? Anche qui il Tribunale ha modo di precisare, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità, che il referente temporale è rappresentato dal momento in cui l'opera complessiva è stata condotta a termine, con l'esaurimento o con la cessazione dell'incarico professionale e ciò in considerazione del carattere unitario dell'attività difensiva, che non è parcellizzabile nei singoli atti o nelle singole fasi pur pre-viste dalla tariffa professionale, ma rappresenta un’unica ininterrotta e conti-nuativa prestazione professionale . Ne deriva, quindi, che il credito vantato a titolo di corrispettivo per l’attività professionale svolta diviene concretamente esigibile, e pertanto liquidabile, unicamente al termine dell’esecuzione del mandato difensivo, con l'esaurimento o con la cessazione dell'incarico professionale con l’ulteriore conseguenza che sono le tariffe absit iniuria verbis i parametri vigenti a quel momento che devono presiedere l’attività di liquidazione del giudice. E ciò anche perché, secondo il giudice, le parti [] già all’atto della conclusione del contratto d’opera professionale, sono pienamente consapevoli del fatto del la determinazione concreta del compenso spettante al professionista, fatti salvi diversi accordi stretti all’atto della conclusione del contratto, e per i quali opportunamente l’art. 2233, terzo comma, c.c. impone la forma scritta a pena di nullità, potrà avvenire solo al termine dell’esecuzione della prestazione professionale ed in base ai parametri un tempo le tariffe, oggi gli usi o l’equità del giudice vigenti a tale data . Ma alla fine quanto è stato liquidato a favore della parte soccombente per il giudizio di secondo grado? Ebbene, rispetto ad una controversia di valore pari ad Euro 1.000 il compenso dell’avvocato è stato fissato in Euro 775,00 oltre all’IVA e alla Cassa professionale e così per un totale di Euro 975,25 che - con riflessione generale - è somma molto probabilmente in grado di scoraggiare azioni infondate essendo sostanzialmente pari al vantaggio sperato! .

Tribunale di Termini Imerese, sentenza 17 settembre 2012 Giudice Angelo Piraino Motivi della decisione in fatto ed in diritto Si impone, in via preliminare, l’esame dell’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalla difesa dell’ente locale convenuto, sulla base del rilievo della mancata produzione in giudizio, ad opera dell’appellante, di copia della sentenza impugnata, in violazione dell’art. 347, secondo comma, c.p.c Al riguardo questo Tribunale condivide integralmente l’orientamento interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il precetto normativo enunciato dall'art. 347, secondo comma, c.p.c., che impone all'appellante di inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata, mira a garantire soltanto la possibilità dell'esame della sentenza impugnata da parte del Giudice di Appello Cass. 29.1.2003 n. 1302 Cass. 14.4.2005 n. 7745 , di tal che l'improcedibilità dell'appello per mancato deposito di copia della sentenza impugnata non trova applicazione quando, al momento della decisione, se ne trovi comunque allegata agli atti una copia, e quindi il Giudice della impugnazione sia posto ugualmente in grado di avere piena conoscenza, sia pure con modalità diverse da quelle prescritte, del contenuto della sentenza impugnata così Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9254 del 20/04/2006 . Nel caso di specie, sebbene la sentenza impugnata non sia stata ritualmente prodotta dalla parte appellante, essa è stata trasmessa dall’ufficio del Giudice di Pace di Termini Imerese unitamente al fascicolo processuale d’ufficio, di tal che questo Tribunale è stato concretamente posto in condizione di avere piena conoscenza, sia pure con modalità diverse da quelle prescritte, del contenuto del provvedimento impugnato e la relativa eccezione non può, pertanto, trovare accoglimento. Ciò posto, in via gradata, va esaminata l’ulteriore eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per mancata specificazione dei principi regolatori della materia che sarebbero stati violati dal giudice di prime cure. In proposito va rilevato che ai sensi dell’art. 339, terzo comma, c.p.c., nel testo modificato dal d.lg.vo 02/02/2006 n. 40, prevede che Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell'articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.” Secondo l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, cui questo Tribunale ritiene di aderire, per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all'art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i princìpi di cui agli artt. 10 e ss. cod. proc. civ., e senza tenere conto del valore indicato dall'attore ai fini del pagamento del contributo unificato così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9432 del 11/06/2012 . Nel caso di specie nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado la parte attrice non solo risulta aver espressamente richiesto un risarcimento del danno pari ad euro 1.000,00, ma risulta anche aver espressamente circoscritto la propria domanda entro il valore massimo di euro 1.032,00 cf. conclusioni dell’atto di citazione del giudizio di primo grado , di tal che non appaiono sussistere dubbi circa il fatto che la sentenza appellata rientri nell’ambito di quelle per le quali l’art. 113, comma secondo, c.p.c., impone la decisione secondo equità. La disposizione codicistica precedentemente citata introduce la previsione di un appello a critica vincolata, possibile solo per violazione della norme del procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie e dei principi regolatori della materia. Nel caso di specie, tuttavia, la parte appellante risulta aver correttamente eccepito la violazione dei principi regolatori della materia del risarcimento del danno causato dall’omessa o non corretta manutenzione della sede stradale, ravvisandola nel fatto che il giudice di pace avrebbe erroneamente ravvisato la sussistenza di una situazione di negligenza nel danneggiato, consistente nel non aver optato per un percorso alternativo, senza correttamente valutare che la via teatro dell’incidente era l’unico percorso praticabile dall’appellante per accedere alla propria abitazione. Le censure mosse, seppur tese primariamente a sollecitare un riesame del materiale probatorio, mirano, dunque, ad accertare se nel caso di specie il giudice di prime cure abbia o meno correttamente dato applicazione ai principi regolatori della materia, ed in particolare ai canoni interpretativi ormai più che consolidati nella giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, che richiedono le caratteristiche della imprevedibilità e della inevitabilità per la configurabilità della responsabilità da insidia o trabocchetto dalla quale deriva una responsabilità ex art. 2043 c.c. a carico della Pubblica Amministrazione. Anche la censura di inammissibilità del gravame sollevata non può, pertanto, trovare accoglimento, avendo correttamente la parte appellante prospettato la violazione di quelli che possono, a buon diritto, essere ritenuti integrare i principi regolatori della materia. Venendo all’esame del merito della controversia, va, preliminarmente, rilevato che, come correttamente dedotto dal giudice di prime cure, l’odierno appellante, nel proporre la domanda risarcitoria oggetto del presente giudizio ha basato la propria pretesa unicamente sui canoni previsti dall’art. 2043 c.c., senza in alcun modo far discendere la dedotta responsabilità dell’ente locale appellato dalla sussistenza di un rapporto di custodia con il bene la strada indicato come causa del danno. Conformemente a quanto evidenziato dalla Suprema Corte di Cassazione, quando l'attore abbia invocato in primo grado la responsabilità del convenuto ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., il divieto di introdurre domande nuove la cui violazione è rilevabile d'ufficio da parte del giudice non gli consente di chiedere successivamente la condanna del medesimo convenuto ai sensi dell’art. 2051 responsabilità per cose in custodia cod. civ., a meno che l'attore non abbia sin dall'atto introduttivo del giudizio enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata da detti articoli. A tal fine, tuttavia, non può ritenersi sufficiente un generico richiamo alle norme di legge che disciplinano le suddette responsabilità speciali, ove tale richiamo non sia inserito in una argomentazione difensiva chiara e compiuta così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18520 del 20/08/2009 , argomentazione che, nel caso di specie, non è rinvenibile nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Ciò posto, va evidenziato che la c.d. insidia o trabocchetto non è un concetto giuridico, ma un mero stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto. Nel caso oggetto di causa il giudice di prime cure è giunto, sulla scorta di un ragionamento lineare e pienamente condivisibile, ad escludere la sussistenza dei cennati presupposti, in virtù del fatto che 1 le buche che avrebbero causato il sinistro si presentavano ben visibili in considerazione delle condizioni di tempo e di luogo, dato che il sinistro si è verificato in pieno giorno, come attestato dall’orario di accettazione del danneggiato presso il locale Pronto Soccorso, ricavato dalla documentazione medica in atti, e come confermato dalla documentazione fotografica prodotta dalla parte danneggiata 2 l’appellante risulta risiedere nella stessa via in cui il sinistro si è verificato, ed essendo un utente abituale del tratto di strada ben poteva essere a conoscenza dello stato di dissesto del manto stradale. Per giurisprudenza pacifica, per aversi insidia o trabocchetto idonea a configurare la responsabilità della P.A. ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. in caso di verificazione di un incidente, occorrono sia l'oggettiva invisibilità che la soggettiva imprevedibilità del pericolo. Tali caratteristiche devono, infatti, ricorrere congiuntamente, di tal che, mancando anche solo una di esse, non può essere affermata la responsabilità dell’ente proprietario della strada cf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8823 del 11/08/1995, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 340 del 17/01/1996, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11763 del 24/11/1997 . Nel caso di specie il giudice di prime cure ha escluso, seguendo un ragionamento lineare, condivisibile e non smentito da risultanze istruttorie di segno contrario, sia la oggettiva invisibilità del pericolo, sia la sua soggettiva imprevedibilità, accertando che esso era ben conoscibile da parte del danneggiato. In merito alla dedotta inevitabilità del pericolo, poi, va evidenziato che l’esame della documentazione fotografica prodotta agli atti di causa evidenzia come le buche che avrebbero causato il sinistro si trovavano localizzate in uno specifico lato della sede stradale, e non la interessavano in tutta la sua larghezza, di tal che il danneggiato avrebbe potuto agevolmente percorrere la medesima sede stradale semplicemente cambiando il lato della strada. Le brevi considerazioni sin qui svolte inducono a ritenere insussistente nel caso di specie la lamentata violazione dei principi regolatori della materia e l’appello proposto va, pertanto, rigettato. Per la liquidazione delle spese va tenuto in debita considerazione il fatto che l’art. 9 del decreto–legge 24 gennaio 2012, n. 1, così come modificato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, sopravvenuto in corso di causa, ha determinato l'abrogazione delle tariffe professionali, stabilendone l’applicazione, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, unicamente fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali previsti dal comma 2 del medesimo articolo, e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Ai sensi del comma 5 della citato art. 9 del D.L. n. 1/2012, inoltre, sono state abrogate con effetto immediato tutte le disposizioni precedentemente vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviavano alle abrogate tariffe, il che porta a ritenere parzialmente abrogata anche la previsione dell’art. 2233 c.c., nella parte in cui consentiva la determinazione del compenso spettante al professionista a titolo di corrispettivo del contratto di prestazione d’opera svolto in base alle tariffe. Con il successivo decreto del ministro per la Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, entrato in vigore il 23 agosto 2012, sono stati determinati i parametri per la liquidazione da parte degli organi giurisdizionali dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ed ai sensi dell’art. 41 del medesimo decreto le nuove disposizioni devono trovare applicazione alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Ciò posto, va rilevato che la disciplina delle spese giudiziali dettata dal vigente ordinamento processuale appare improntata al principio per cui il costo del processo non può andare a danno o comunque essere sopportato dalla parte vittoriosa, altrimenti verificandosi un vulnus alla pienezza ed effettività del diritto di azione e di difesa tutelato dall'art. 24 Cost., il che presuppone che la liquidazione definitiva delle spese non possa che avvenire all’esito del giudizio, come evidenziato dalla espressa dizione dell’art. 91 c.p.c. che impone al giudice di pronunciare la statuizione sulle spese con la sentenza che chiude il processo davanti a lui.” Da tale principio deriva anche il corollario secondo cui la misura della condanna alle spese deve tendere quanto più possibile a garantire alla parte vittoriosa il pieno ristoro di tutti gli esborsi che ha sostenuto per far valere il proprio diritto, ivi compreso il compenso spettante al difensore che l’ordinamento processuale impone di incaricare, in virtù dell’obbligo della difesa tecnica, salvo che tali esborsi non siano manifestamente eccessivi e sproporzionati rispetto al valore della controversia. A ciò deve aggiungersi che già nella vigenza del precedente regime tariffario, la Corte Suprema di Cassazione, in occasione della successione nel tempo delle tariffe professionali, aveva stabilito che, in caso di successione di tariffe professionali forensi, gli onorari di avvocato dovessero essere liquidati in riferimento alla normativa vigente nel momento in cui l'opera complessiva è stata condotta a termine, con l'esaurimento o con la cessazione dell'incarico professionale così Cass. sez. 3, 19 dicembre 2008, n. 29880, Cass. sez. 3, 11 marzo 2005, n. 5426 , e ciò in considerazione del carattere unitario dell'attività difensiva, che non è parcellizzabile nei singoli atti o nelle singole fasi pur previste dalla tariffa professionale, ma rappresenta un’unica ininterrotta e continuativa prestazione professionale. Da quanto sin qui evidenziato si ricava la logica conseguenza che il credito vantato a titolo di corrispettivo per l’attività professionale svolta diviene concretamente esigibile, e pertanto liquidabile, unicamente al termine dell’esecuzione del mandato difensivo, con l'esaurimento o con la cessazione dell'incarico professionale, e che tale liquidazione non può che avvenire sulla base dei parametri e dei criteri legali vigenti nel momento in cui il mandato difensivo ha il suo termine, anche tenuto conto del venir meno della distinzione tra diritti ed onorari di avvocato, peraltro sempre più affievolitasi già a far data dalla eliminazione della distinzione dei ruoli di procuratore legale e di avvocato. Né appare ostare a questa conclusione la circostanza che il contratto di prestazione d’opera professionale sia stato concluso nella vigenza della precedente normativa. Ed infatti l’oggetto del contratto di prestazione d’opera professionale si presenta connaturato da una sua genetica, naturale, indeterminatezza, giacché l’esatta prestazione non può concretamente essere individuata dalle parti al momento della conclusione del contratto, a causa della compresenza di un numero rilevante di variabili incognite, destinate a svelarsi soltanto in corso d’opera, tanto più nell’ipotesi del mandato difensivo, il cui espletamento è correlato ad eventi oggettivamente imprevedibili e difficilmente preventivabili, quali sono la condotta processuale della controparte o l’esito dell’attività processuale. Le parti, dunque, già all’atto della conclusione del contratto d’opera professionale, sono pienamente consapevoli del fatto della determinazione concreta del compenso spettante al professionista, fatti salvi diversi accordi stretti all’atto della conclusione del contratto, e per i quali opportunamente l’art. 2233, terzo comma, c.c. impone la forma scritta a pena di nullità, potrà avvenire solo al termine dell’esecuzione della prestazione professionale ed in base ai parametri un tempo le tariffe, oggi gli usi o l’equità del giudice vigenti a tale data. Le considerazioni sin qui brevemente svolte inducono, dunque, a ritenere che anche nell’ambito del presente giudizio, seppur introdotto in epoca antecedente all’entrata in vigore del citato art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, così come modificato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, la liquidazione delle spese processuali debba avvenire integralmente sulla base dei nuovi parametri introdotti dal citato decreto del ministro per la Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto in corso di causa. Alla luce di quanto sopra, ed in considerazione del valore della causa, si liquidano le spese di lite, in favore dell’appellato Comune di Trabia in complessivi 775,00 euro, oltre oneri fiscali e contributivi nella misura legalmente dovuta. P.Q.M. Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa definitivamente pronunciando - rigetta l’appello proposto da M.C.S. avverso la sentenza del Giudice di Pace di Termini Imerese n. 472/2011 del 14-16.11.2011, che, per l’effetto, conferma integralmente - condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Trabia, che liquida in complessivi euro 775,00, oltre oneri fiscali e contributivi.