L’avvocato vince la causa: parcella maggiorata perché il valore è indeterminabile

Lavoratore reintegrato e risarcito, ma la parcella dell’avvocato non tiene conto della somma risarcita e viene calcolata su un risultato indeterminabile. Per la Cassazione è giusto così.

Con la sentenza n. 8 del 2 gennaio 2012, la Corte di Cassazione afferma l’indeterminabilità del valore della causa di demansionamento. Il caso. Si fa difendere da un avvocato in tre cause di lavoro contro il proprio datore, ottenendo la reintegra nelle mansioni precedentemente occupate e un risarcimento danni pari a € 4.981,00. Al momento di pagare il legale, però, si apre un’altra controversia che culmina con la presentazione del ricorso per cassazione, dopo che il tribunale aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso a suo carico. Oltre 16mila euro di parcella. Nel ricorso, la lavoratrice afferma che il Tribunale ha erroneamente ritenuto corretto il calcolo degli onorari effettuato dall’avvocato. In pratica, il legale ha applicato le voci di tariffa relative alle cause di valore indeterminabile anziché quelle relative alle cause di valore inferiore a 5.200 euro. Causa non facilmente monetizzabile? La Corte Suprema sottolinea che i risultati positivi ottenuti dalla ricorrente vanno al di là del mero conseguimento della somma di denaro attribuita in risarcimento del danno per l’illecito demansionamento subito in passato, e correttamente il Tribunale ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo . si applica il criterio del valore indeterminabile . In conclusione, gli Ermellini ritengono, l’ottenimento della reintegra nelle mansioni, una causa di valore indeterminabile, a prescindere dalla somma ottenuta come risarcimento danni, pertanto rigettano il ricorso della donna, condannandola al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 15 dicembre 2011 – 2 gennaio 2012, n. 8 Presidente Finocchiaro – Relatore Lanzillo Premesso in fatto - Il 7 novembre 2011 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. 1 - Con ordinanza 25-28 gennaio 2010, emessa ai sensi degli art. 29 e 30 della legge 13 giugno 1942 n. 794, il Tribunale di Roma ha respinto l'opposizione proposta da al decreto ingiuntivo emesso a suo carico su ricorso dell'avv. recante condanna al pagamento di Euro 16.161,00, dovuti a compenso dell'attività di difesa della in tre cause di lavoro. La propone ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., a cui resiste il con controricorso. 2.- Con l'unico motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 6 della tariffa professionale forense approvata con D.M. 8 aprile 2004 n. 127, sul rilievo che il Tribunale ha erroneamente ritenuto corretto il calcolo degli onorari effettuato dall'avvocato, sebbene questo abbia applicato le voci di tariffa relative alle cause di valore indeterminabile, anziché quelle relative alle cause di valore non superiore ad Euro 5.200,00, che avrebbero dovuto essere applicate, in considerazione del fatto che, a conclusione delle vertenze, essa ha conseguito solo Euro 4.981,00 in risarcimento dei danni. 3.- Deve essere respinta la prima eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dai resistente sul rilievo che la ricorrente non avrebbe eccepito in sede di merito la violazione dell'art. 6 della tariffa professionale. La ricorrente ha dimostrato di avere contestato fin dall'atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, con larghezza di argomentazioni, la correttezza del valore attribuito alla controversia. L'asserito, mancato richiamo in quella sede della violazione dell'art. 6 riguarderebbe, se esistente, una mera argomentazione difensiva, diretta a confutare la motivazione dell'ordinanza impugnata. 4.- È parimenti infondata la seconda eccezione di inammissibilità, con cui il resistente assume che le censure proposte non denunciano violazioni di legge, ma gli accertamenti in fatto e le considerazioni di merito in base ai quali il Tribunale ha determinato il valore della controversia. La ricorrente denuncia, in linea di principio, la violazione dei principi di legge in base ai quali deve essere determinato il valore della controversia, in ordine alla quantificazione degli onorari professionali. L'erronea applicazione di tali principi ai caso concreto indubbiamente configura errore di diritto, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., ed anche ai sensi dell'art. 111 Cost 5.- Nel merito il ricorso è manifestamente infondato. La stessa ricorrente dichiara che l'avv. ha prestato la sua attività di difesa in relazione a tre distinti procedimenti, a conclusione dei quali sono state accolte le sue domande. L'ordinanza impugnata specifica che tali procedimenti avevano per oggetto la domanda proposta dalla contro la società sua datrice di lavoro per ottenere la reintegrazione nelle mansioni precedentemente occupate il procedimento cautelare relativo a tale domanda ed il reclamo contro il provvedimento cautelare che la reintegrazione nelle mansioni è stata chiesta ed ottenuta non solo in funzione della domanda risarcitoria e quale premessa per il relativo accoglimento, ma autonomamente e per il suo risultato utile, e che trattasi di domanda che di per sé riveste valore indeterminabile cosi come ha valore indeterminabile il relativo procedimento cautelare ed il reclamo contro lo stesso. I risultati positivi ottenuti dalla ricorrente all'esito delle controversie vanno quindi al di là del mero conseguimento della somma di denaro attribuita in risarcimento del danno per l'illecito demansionamento subito in passato, e correttamente il Tribunale ha rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo. Del resto, la ricorrente denuncia violazione del principio per cui il valore della controversia va determinato con riguardo all'esito della causa, anziché all'entità delle domande proposte, ma non precisa in quali parti ed in che misura i risultati da essa ottenuti con il patrocinio dell'avv. si sarebbero discostati da quelli auspicati quali domande sarebbero state disattese, a parte quella di risarcimento dei danni. Irrilevanti sono le censure attinenti all'asserita, erronea interpretazione dell'art. 6 della Tariffa professionale da parte del Tribunale, considerato che la motivazione sul punto non ha avuto alcuna incidenza sul dispositivo, che risulta conforme alle disposizioni di legge. 6.- Propongo che il ricorso sia rigettato, con procedimento in Camera di consiglio . - La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti. - Il P.M. non ha depositato conclusioni scritte. - La ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto Il Collegio, all'esito dell'esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti prospettati dal relatore, che lo argomentazioni difensive contenute nella memoria non valgono a disattendere. Il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.