Revoca della procura per telefono, modalità straordinaria. Ma lealtà e correttezza impongono lo stop

La comunicazione, per quanto irrituale, deve comunque spingere l’avvocato a bloccare tutte le azioni. E a rispettare i principi imposti dal Codice deontologico. Illegittima l’azione di incasso delle competenze trattenendo somme di spettanza dell’assistito.

‘Una telefonata allunga la vita’, raccontava una vecchia pubblicità ma una telefonata può anche renderla complicata, la vita. Come testimonia la vicenda vissuta da un avvocato, punito con la sanzione disciplinare della sospensione dall’attività professionale. L’accusa? Avere agito sebbene gli fosse stata revocata la procura generale già conferitagli dal cliente . Lo strumento per la revoca? Una telefonata, ricevuta dalla moglie del cliente. E ritenuta – come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 25763, sezioni Unite civili, depositata oggi – più che sufficiente Sanzione a metà. Prima la decisione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, poi quella del Consiglio nazionale forense. Per l’avvocato finito sotto accusa non c’è scampo decisa e confermata la sanzione disciplinare della sospensione dall’attività professionale. Unico aspetto positivo, la riduzione della sanzione, dai 4 mesi decisi dal Consiglio dell’Ordine ai 2 mesi decisi dal Consiglio nazionale forense. Resta, però, acclarata la contestazione. L’avvocato, difatti, è stato ritenuto colpevole di avere agito sebbene gli fosse stata revocata la procura generale, già conferitagli dal cliente, e di aver trattenuto parte della somma riscossa nell’esecuzione del mandato revocato . Modus operandi. Sotto i riflettori, però, finisce soprattutto la ‘strana’ modalità con cui è stata effettuata la revoca, ovvero una telefonata. Per il Consiglio nazionale forense, comunque, ciò che conta è la volontà del cliente di ottenere la restituzione dei documenti e di revocare la procura generale, per la cui manifestazione non occorre atto scritto , e, quindi, a prescindere dalla forma e dalla legittimazione alla revoca, il comportamento del professionista e il successivo trattenimento della somma avevano violato i principi deontologici di lealtà e correttezza nei confronti del cliente . Proprio su questo argomento, ovvero la revoca della procura generale alle liti , si sofferma il legale – nel ricorso presentato in Cassazione –, negando che la telefonata ‘incriminata’, effettuata dalla moglie del cliente, riguardasse anche la richiesta, per conto del marito, di restituzione di tutta la documentazione e, quindi, la revoca dell’incarico . Non a caso, viene richiamata, dal legale, la inconfigurabilità della revoca telefonica della procura . Lealtà prima di tutto. Ma la valutazione compiuta dal Consiglio nazionale forense viene ritenuta legittima dalla Cassazione. Perché ciò che conta non è la forma ma la sostanza, ovvero il comportamento del professionista, che deve essere improntato a lealtà e correttezza nei confronti del cliente . E questo discorso vale, a maggior ragione, anche in tema di parcelle il punto nodale, secondo i giudici, non è il dato contrattuale ma il comportamento del professionista, ritenuto non improntato alla lealtà e alla correttezza pretesi dal Codice deontologico . Di conseguenza, la decisione del Consiglio nazionale forense, legata anche alle iniziative, collegate tra loro, finalizzate all’incasso delle proprie competenze, trattenendo somme di spettanza del cliente messe in atto dall’avvocato, deve essere riconfermata, legittimando ulteriormente la sanzione disciplinare della sospensione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 15 novembre – 2 dicembre 2011, n. 25763 Presidente Vittoria – Relatore Massera Svolgimento del processo 1. – Con decisione del 13 aprile 2005 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce inflisse all'iscritto F. C. la sanzione disciplinare della sospensione dall'attività professionale per la durata di mesi quattro, avendolo ritenuto colpevole di avere agito sebbene gli fosse stata revocata la procura generale già conferitagli dal cliente e di avere trattenuto parte della somma riscossa nell'esecuzione del mandato revocato. 2. – Con decisione in data 30 marzo – 27 dicembre 2010, notificata il 18 aprile 2011, il Consiglio Nazionale Forense, in parziale accoglimento del gravame, ridusse a mesi due la sospensione dall’esercizio della professione. 3 Il CNF osservò per quanto interessa il termine di quindici giorni previsto per la decisione del COA non ha natura perentoria e la sua violazione non determina la nullità del procedimento per validità della decisione sono necessarie solo le sottoscrizioni di presidente e segretario le argomentazioni della difesa miravano a segmentare gli accadimenti, in relazione ai quali occorreva, invece, mantenere uno sguardo d’insieme il ricorrente aveva posto in essere una serie di iniziative, collegate tra loro, finalizzate all'incasso delle proprie competenze trattenendo somme di spettanza del cliente la volontà di costui di ottenere la restituzione dei documenti e di revocargli la procura generale, per la cui manifestazione non occorre atto scritto, era giunta a sua conoscenza sin dal 23 ottobre 2002 a prescindere dalla forma e della legittimazione alla revoca, il comportamento del professionista e il successivo trattenimento della somma avevano violato i principi deontologici di lealtà e correttezza nei confronti del cliente risultavano dunque, violati gli articolo 41 e 44 C D. tuttavia egli aveva svolta attività professionale da ricompensare, per cui l’entità della sanzione, trattandosi di incensurato, andava ridotta. 4. - Avverso la suddetta decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattordici motivi. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1.1 – Il primo motivo denuncia violazione e/o erronea applicazione dell’art. 40 R.D. 27 novembre 1933, n. 1578 nullità di entrambi i provvedimenti disciplinari questione di legittimità costituzionale dell’art. 50 suddetto in relazione agli articolo 1,2,3,4,24,25 e 111 Cost. Il tema trattato è la natura, che si asserisce perentoria, del termine relativo alla notifica della decisione del COA. 1.2 – La censura trova anticipata risposta nella giurisprudenza della Corte, secondo cui Cass. Sez. Un. 26 maggio 2011, n. 11564 il procedimento disciplinare che si svolge davanti ai Consigli territoriali dell’ordine degli avvocati ha, a differenza di quello davanti al Consiglio nazionale forense, natura amministrativa e non giurisdizionale, sicchè alle relative decisioni non sono applicabili le norme del codice di procedura civile relative all’impugnabilità delle sentenze. Peraltro, questa Corte ha già accertato la natura ordinatoria del termine previsto anche per il deposito delle decisioni del CNF. Infatti Cass. Sez. Un. 23 dicembre 2004, n. 23832 ha stabilito che, in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati il termine di trenta giorni previsto dall'art. 56 del R. D. L. 27 novembre 1933, n. 1578 per la notifica all’interessato della decisione dei Consiglio nazionale forense, ha natura ordinatoria e non perentoria, e ciò in mancanza di un’espressa qualificazione nel senso della perentorietà da parte della legge, né detta qualificazione essendo desumibile dallo scopo di tale termine e dalla funzione cui esso assolve, atteso che il termine in questione ha la funzione di consentire agli interessati ed al PM di proporre il ricorso per cassazione previsto dal terzo comma dello stesso art. 56, e quindi persegue uno scopo meramente sollecitatorio dello svolgimento del processo. E’ pertanto da escludere che il superamento del detto termine determini la nullità della decisione notificata. Sotto diverso profilo, il ricorrente non ha addotto argomenti idonei a dimostrare che la irregolarità lamentata abbia comportato violazione dei principi regolatori del giusto processo art. 360 bis n. 2 cod proc civ . I rilievi che precedono valgono a dimostrare anche la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, del resto poggiata su generiche argomentazioni che non spiegano la ragione delle numerose violazioni di norme costituzionali ipotizzate. 2.1 – Il secondo motivo adduce violazione e/o erronea applicazione degli articolo 47,50 e 51 R.D. 22 gennaio 1934, n. 37. Si assume che né dalla decisione del COA, né dai verbali delle sedute disciplinari si evince chi sia stato nominato relatore, con conseguente impossibilità di accertare che egli abbia steso la motivazione. 2.2 – Le argomentazioni addotte a sostegno della censura non superano le ragioni addotte dalla decisione impugnata. Inoltre la Corte ha già ritenuto Cass. Sez. Un. 10 dicembre 2001, n. 15607 che anche le norme che regolano il procedimento giurisdizionale dinanzi al Consiglio Nazionale Forense non prescrivano alcuna speciale forma per l’adozione del provvedimento di sostituzione del relatore da parte del presidente del collegio. A maggior ragione siffatto principio è applicabile al procedimento avanti al COA, di cui si è posta in evidenza la natura amministrativa. 3.1 – Il terzo motivo lamenta violazione e/o erronea applicazione dell’art. 85 c.p.c. irrazionalità, illogicità manifesta, erronea e inadeguata motivazione violazione dell’art. 11 Cost. per motivazione carente apparente e contraddittoria. Il tema trattato è la revoca della procura generale alle liti. Si nega che la telefonata ricevuta in data 23 ottobre 2002 da parte di M.G.M riguardasse anche la richiesta per conto del marito Q.C. di restituzione di tutta la documentazione e, quindi, la revoca dell’incarico. 3.2 - La decisione impugnata ha congruamente spiegato le ragioni che l’hanno indotta all’affermazione censurata. Gli argomenti spesi dal ricorrente non dimostrano nessuno dei vizi motivazionali ipotizzati. La questione ha implicazioni esclusivamente fattuali e, quindi, non può formare oggetto del sindacato di legittimità. 4.1 - Il quarto motivo adduce violazione e/o erronea applicazione degli articolo 1334 e 1335 cod. civ. irrazionalità, illogicità manifesta, erronea e inadeguata motivazione violazione dell’art. 111 Cost. per motivazione carente, apparente e contraddittoria. La questione agitata è ancora la revoca della procura generale alle liti, che si assume essere pervenuta all’indirizzo del C. solo il 14 novembre 2002. Il quinto motivo ipotizza violazione e/o erronea applicazione degli articolo 1176 e 1710 cod. civ. irrazionalità, illogicità manifesta, erronea e inadeguata motivazione violazione dell’art. 111 Cost. per motivazione carente, apparente e contraddittoria per vizi risultanti dal testo del provvedimento impugnato. La censura attiene all’inconfigurabilità, nella specie, della revoca telefonica della procura. 4.2 - I due motivi consentono la trattazione congiunta poiché trattano questioni connesse. In realtà essi non colgono la ratio decidendi della decisione impugnata, la quale ha esplicitamente affermato di poter prescindere dalla disamina funditus delle questioni da essi trattate, ritenendo che, in sede deontologica, rilevi il comportamento del professionista, che deve essere improntato a lealtà e correttezza nei confronti del cliente, doveri da cui ha motivatamente ritenuto essersi il C. discostato. Il testo della decisione non presenta contraddizioni intrinseche, mentre il contenuto decisorio – che ovviamente il ricorrente non condivide – è assistito da argomentazioni congrue e razionali. Per contro il ricorrente compie ampi riferimenti di carattere fattuale. 5.1 - Il sesto motivo prefigura violazione e/o erronea applicazione dell’art. 41 C.D. in relazione al precedente art. 6 irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà della motivazione per vizi risultanti dal testo del provvedimento impugnato. Il settimo motivo assume che vi sono state violazione e/o erronea applicazione dell’art. 6 C.D. sotto altro profilo motivazione irrazionale e illogica per vizi risultanti dal testo del provvedimento impugnato. L’ottavo motivo assume che vi è stata violazione e/o erronea applicazione degli articolo 41 e 42 C.D. violazione dell’art. 1326 cod. civ. motivazione irrazionale e illogica per vizi risultanti dal provvedimento. 5.2 – Anche queste censure presentano profili comuni. Le argomentazioni generiche addotte non dimostrano né la violazione delle norme deontologiche, né i plurimi vizi motivazionali e, anziché dimostrare le denunciate violazioni di norme di diritto e gli asseriti vizi motivazionali, si limitano ad offrire la personale ricostruzione dei fatti e la rispettiva valutazione e a contestare il merito della decisione, sulla base di ripetuti riferimenti di carattere fattuale. 6.1 – Il nono motivo sostiene violazione e/o erronea applicazione degli articolo 2234 e 1326 cod. civ. nonché dei principi generali in tema di contratto. L’accettazione delle parcelle. Anche questa censura non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata per le medesime ragioni indicate con riferimento al quarto e quinto motivo. Il punto nodale della decisione del CNF non è il dato contrattuale ma il comportamento, prescindendo da esso, del professionista, ritenuto non improntato alla lealtà e alla correttezza pretesi dal codice deontologico. Anche questa censura si basa su ampi riferimenti al merito della vicenda. 6.2 – Il decimo motivo denuncia violazione e/o erronea applicazione dell’art. 38 della legge n. 36 del 1934, insussistenza dell’elemento psicologico motivazione irrazionale, erronea e inadeguata. L’undicesimo motivo è connesso poiché concerne ancora l’asserita insussistenza dell’elemento psicologico e si duole per violazione e/o erronea applicazione dell’art. 14 della Legge n. 36 motivazione irrazionale, erronea e inadeguata per vizio risultante dal testo della decisione impugnata. Sul tema dei vizi motivazionali non occorre spendere argomentazioni diverse da quelle adottate con riferimento alle precedenti censure. Anche i motivi in esame contengono un corposo excursus fattuale ritenuto idoneo a comprovare la buona fede del ricorrente. Ma – inevitabilmente – il tema viene trattato con argomenti che attengono non allo scrutinio di legittimità, ma ad apprezzamenti di merito. 7.1 – Il ricorso presenta ancora il punto dodici, attinente ad alcune emergenze delle sedute disciplinari, indicate secondo la titolazione contenuta nel ricorso nella inattendibilità della teste R. S., nel momento in cui il C. seppe del mandato M., nei rapporti prevalenti con T.B. e A. C., nelle percentuali fra le spese onorarie rispetto alla liquidazione nel cliente, il punto tredici, attinente alla sanzione il punto quattordici, che attiene all’omessa istruttoria. 7.2 – I punti sopra indicati sono privi dei necessari riferimenti all’art. 360 c.p.c. e non sono formulati in modo da essere interpretati come motivi di ricorso per cassazione. 8. – Pertanto il ricorso va rigettato. Nulla spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla spese.