L’iscrizione a ruolo non ha effetto interruttivo della prescrizione della riscossione

Non è sufficiente l'iscrizione a ruolo in quanto atto meramente interno a interrompere il termine decennale per la riscossione dell'imposta definitivamente accertata ma è necessario un atto, con carattere recettizio, che metta in mora il debitore.

Lo stabilisce la Cassazione che, con l'ordinanza n. 11605/21 del 4 maggio, ha accolto alcuni motivi del ricorso di una contribuente contro una cartella di pagamento notificata dall'agente di riscossione per somme dovute a titolo di imposta di registro su un lodo arbitrale. Diritto alla riscossione atti interruttivi della prescrizione. Sul punto si ricorda in senso conforme anche Cass. 2014/2019 secondo cui in tema di riscossione della tassa automobilistica, ai fini del rispetto del termine triennale previsto per la riscossione di cui all’art. 5 d.l. n. 953/1982 conv. l. n. 53/1983, non è sufficiente che l’ente impositore la Regione abbia provveduto, nei termini, all’iscrizione a ruolo del tributo. In altri termini, è nullo l’atto di intimazione di pagamento o qualsiasi atti della fase riscossiva notificato oltre il termine di prescrizione decennale . La sola formazione del ruolo non vale ad interrompere la prescrizione. Secondo la Corte di Cassazione, ord. n. 6245/20, il decorso del termine prescrizionale per la riscossione dell’imposta definitivamente accertata non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell’Amministrazione finanziaria. In effetti, la prescrizione dei diritti è interrotta solo da un atto recettizio, che valga a costituire in mora il debitore. Il ruolo al contrario costituisce un atto interno dell’amministrazione, di per sé privo di rilevanza esterna. Con gli accertamenti esecutivi non c’è più il ruolo, per questo diventa importante o procedere con le misure cautelare o effettuare l’intimazione di pagamento ai sensi dell’art. 50 del dpr 602/1973. Il caso concreto. La CTR Campania che rigettava l’appello della contribuente, riteneva che il termine prescrizionale per riscuotere l'imposta accertata era stato interrotto prima dalla notifica dell'avviso di liquidazione 15 ottobre 2003 e poi nuovamente dall'iscrizione a ruolo dell'Ufficio 17 ottobre 2013 . Col proprio ricorso la contribuente denunciava violazione dell’art. 2943 c.c. e dell’art. 78 d.P.R. n. 131/1986, per non avere la CTR considerato che al momento della notifica della cartella di pagamento in data 4 febbraio 2014 , il termine di prescrizione decennale di cui al predetto art. 78 pacificamente applicabile secondo consolidata giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. 27698/2020 e 11555/2018 era già spirato. Nell’accogliere il ricorso la Cassazione ricorda che in tema di imposta di registro il decorso del termine prescrizionale decennale per la riscossione dell'imposta definitivamente accertata, previsto dall'art. 78 d.P.R. n. 131/86, non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell'Amministrazione finanziaria, atteso che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2943 Cc la prescrizione dei diritti è interrotta solo da un atto che valga a costituire in mora il debitore e, quindi, avente carattere recettizio, mentre l'iscrizione a ruolo di un tributo resta un atto interno dell'amministrazione cfr. Cass. 23261/2020 e 14301/2009 . In questo caso, la prescrizione, già interrotta dalla notifica dell'avviso di liquidazione, decorre dalla data in cui l'avviso è stato notificato. Il nuovo atto interruttivo da considerare non è certamente l'iscrizione a ruolo, bensì la consegna della cartella all'ufficiale postale per la notifica , data che né dal ricorso né dalla sentenza impugnata è dato evincere. La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso della contribuente e cassa con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, ordinanza 21 gennaio – 4 maggio 2021, n. 11605 Presidente Chindemi – Relatore Balsamo Ritenuto in fatto 1. Con il decreto impugnato, la Corte di appello di Bari rigettava gli appelli proposti da P.F. e L.R. e confermava il decreto del Tribunale di Bari che aveva disposto la confisca di prevenzione di un fondo rustico sito in omissis intestato a P. nonché di una polizza assicurativa intestata alla L Il decreto appellato era fondato sulla notevole pericolosità sociale di P.F., ritenuto partecipe dell'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata M. - T. e resosi responsabile di numerosi delitti di rapina, estorsione, ricettazione, partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 nonché sul valore dei beni, sproporzionato al modesto reddito del nucleo familiare l'assenza di redditi propri della L. giustificava la convinzione della fittizia intestazione della polizza. La difesa di P. aveva sostenuto che i due acquisti, di valore modesto, erano compatibili con le sue capacità reddituali, dovendosi tenere conto anche di una vincita al gioco e dei versamenti effettuati dal padre della L. per l'acquisto della polizza assicurativa. Il Tribunale aveva dichiarato inammissibile la costituzione in giudizio di L.R., in quanto il difensore era privo di procura speciale, necessaria trattandosi di terza interessata aveva ritenuto non contestati i presupposti soggettivi della misura di prevenzione aveva osservato che entrambi i beni erano nella disponibilità di P., atteso che, nel periodo 2012 - 2016, la L. era totalmente priva di redditi, cosicché , pur non potendosi applicare la presunzione di legge alla luce dell'epoca dell'acquisto, poteva ritenersi fittizia l'intestazione e sussistente la disponibilità della polizza in capo al P. aveva ritenuto inutilizzabile, ai fini della prova del reddito, la somma relativa alla vincita al gioco, atteso che il tagliando vincente era anonimo, cosicché non si poteva ritenere con certezza che quella vincita sia stata effettivamente dal P., non potendosi escludere che egli potesse avere indotto il reale titolare della vincita a consegnargliela, magari previo pagamento della stessa con i proventi di attività illecite e, comunque, dimostrando la vincita l'impiego di non modesti importi di denaro per il gioco non aveva ritenuto credibili le dichiarazioni di C.F., che aveva sostenuto di avere versato delle somme tramite bollettini postali per alimentare la polizza assicurativa intestata alla L Il Tribunale, in definitiva, aveva ritenuto che la disponibilità di entrambi i beni in sequestro fosse di P.F. e che gli stessi fossero stati acquisiti con i proventi delle attività illecite cui lo stesso era stato dedito dal 2003 al 2015. L'atto di appello aveva contestato le argomentazioni del decreto impugnato con riferimento alla vincita al gioco e al versamento da parte della C. delle somme che avevano alimentato la polizza assicurativa, sostenendo di avere superato la presunzione di illecita provenienza dei beni mediante le allegazioni fatte e lamentando una svalutazione aprioristica di tutte le deduzioni difensive. Secondo la Corte territoriale, l'appello non forniva alcun elemento specifico idoneo a contrastare efficacemente il percorso argomentativo del decreto impugnato. P., in realtà, non contestava affatto la sproporzione tra guadagni e patrimonio, ma insisteva sul tema della vincita al gioco la Corte richiamava diverse sentenze di questa Corte che ritengono la produzione di attestati di riscossione delle somme vinte al gioco non nominative non utili a superare la presunzione di provenienza illecita delle somme. Anche le censure concernenti la posizione della L. non erano specifiche e, quindi, non erano idonee a dimostrare la lecita provenienza della provvista necessaria per l'apertura e l'alimentazione della polizza assicurativa, a fronte della congrua ed esaustiva motivazione del decreto impugnato. 2. Ricorre per cassazione il difensore di P.F., deducendo il vizio di motivazione apparente. In effetti, la motivazione del decreto impugnato non si é confrontata con le censure svolte nei motivi di impugnazione relative alla vincita al gioco e ai versamenti effettuati da C.F. che avevano alimentato la polizza assicurativa. I precedenti di legittimità richiamati riguardavano circostanze del tutto differenti in questo caso, si era di fronte ad una vincita unica e non seriale e di ridotto importo, mentre il contributo della madre C.F. alla polizza assicurativa era di importo ridotto e corrispondeva ad un'usanza diffusa nel meridione d'Italia. 3. Il Procuratore generale, Dr. Elisabetta Ceniccola, nella requisitoria scritta, conclude per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso é inammissibile. 1. La motivazione del decreto impugnato, benché sintetica - ma ciò é giustificato dalla modalità di esposizione, con il richiamo integrale a tutti gli atti precedenti, che permette alla Corte territoriale di concentrare l'argomentazione sui temi in contestazione - fornisce una risposta alle deduzioni dell'appellante e non può ritenersi apparente. Ciò vale, in primo luogo, per la questione dell'inutilizzabilità della vincita al gioco al fine di valutare il rapporto di proporzione tra redditi e acquisti. In verità, il ricorrente non contesta che la prova della vincita riposasse su una copia di un tagliando di gioco anonimo relativo alla riscossione della vincita, che non permetteva di verificare che P. avesse anche versato le somme per giocare ciò ha constatato la Corte territoriale, applicando, di conseguenza, la costante giurisprudenza di legittimità che ammette la prova della vincita al gioco al fine di dimostrare la percezione di redditi leciti solo se le provviste sono lecite e tracciabili. D'altro canto, il decreto impugnato evidenzia la caratura criminale di P., non contestata e addirittura rivendicata , che rende verosimile quanto ipotizzato dal Tribunale, della cessione della ricevuta da parte del giocatore vincente dietro corresponsione di denaro del resto, il fatto che le sentenze di legittimità affrontino espressamente il tema della rilevanza delle vincite al gioco in relazione al giudizio di sproporzione deriva dalla frequenza con cui tali vincite sono utilizzate da soggetti vicini alla criminalità organizzata e, comunque, passibili di misure di prevenzione personale frequenza che rafforza la convinzione di manovre dirette a far apparire lecite entrate che non lo sono. 2. Anche la motivazione in punto di inutilizzabilità dei presunti versamenti effettuati dalla teste C. a favore della L. é esistente e concreta si deve tenere conto che la motivazione del decreto del Tribunale, interamente richiamato a pagg. 9 e ss. da quello della Corte territoriale, esaminava in dettaglio le dichiarazioni della testimone, ritenendole non credibili sulla base di diverse considerazioni trattavasi di soggetto totalmente privo di redditi fiscalmente dichiarati e che, tuttavia, aveva effettuato versamenti per somme non indifferenti oltre a quelli che si assumeva fossero stati effettuati a favore della L. inoltre la donna aveva quattro nipoti ma aveva sostenuto di avere effettuato versamenti solo a favore di una di essi era inverosimile la spiegazione offerta relativamente alla intestazione alla L. e, inoltre, la teste aveva fatto riferimento alla compilazione dei bollettini postali da parte sua non prodotti , mentre il Tribunale aveva accertato che si trattava di bollettini precompilati. Nell'atto di appello si osservava, quanto alle due ulteriori polizze contestualmente alimentate, che non risultava il soggetto che le alimentava come si vede, censura generica, tenuto conto che le polizze erano intestate alla C. e che la stessa non aveva affatto riferito che fosse un'altra persona ad alimentarle giustificava l'errore in punto di compilazione dei bollettini con l'età della testimone in verità, non particolarmente elevata e glissava sulla questione della mancanza di redditi e sul numero dei nipoti da beneficiare . Alla luce di quanto sopra - ricavabile, si ribadisce, dallo stesso provvedimento impugnato - appare sufficiente la motivazione secondo cui le doglianze contenute nell'atto impugnatorio non sono affatto specifiche e idonee a indicare la lecita provenienza della provvista necessaria per l'accensione e alimentazione della polizza assicurativa . In definitiva, le considerazioni svolte dal ricorrente non dimostrano alcuna violazione di legge da parte della Corte territoriale, né la motivazione del provvedimento può ritenersi assente o apparente. 3. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, emergendo profili di colpa nella presentazione del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.