Donazione a figli e successiva rivendita: normale pianificazione del patrimonio familiare

Esclusa la natura elusiva della complessiva operazione di donazione dell'immobile da genitore a figli e successiva alienazione del bene a terzi, trattandosi di una normale operazione di pianificazione del patrimonio familiare ciò a maggior ragione ove, con la successiva vendita, sia stata comunque realizzata una plusvalenza.

Lo ha chiarito la Cassazione con sentenza 26947/20 del 26 novembre con cui ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle entrate, annullando definitivamente l’avviso di accertamento impugnato. Redditi diversi plusvalenza da cessione di immobili. Sul punto si ricorda che nel caso in cui una persona fisica non esercente attività d'impresa, titolare di un'area edificabile, intendesse evitare l'insorgere di una rilevante plusvalenza tassabile in seguito all'alienazione del bene, uno strumento illecito prima utilizzato era quello della sua donazione simulata e della successiva rivendita . Ai sensi dell'art. 68, comma 2, quarto periodo, TUIR, infatti, per i terreni acquistati per effetto di successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente . Di conseguenza, nel caso il titolare del bene doni l'immobile a un familiare in rapporto di coniugio o di parentela fino al quarto grado, la successiva alienazione di quest'ultimo a un soggetto terzo vedrà emergere una plusvalenza pari alla differenza tra il prezzo di vendita e il valore dichiarato nell'atto di donazione soggetto a registrazione entro venti o sessanta giorni dalla stipula, a seconda che sia stato formato in Italia o all'estero . L'alienazione diretta di un terreno a un acquirente interessato all'edificazione renderebbe invece tassabile la differenza tra il prezzo d'acquisto originario e quello di vendita, che, come si può immaginare in tema di terreni divenuti edificabili, può risultare notevole. Il caso concreto. Con l’atto impugnato l’Agenzia, presumendo un’ interposizione fittizia , ha imputato i maggiori redditi derivanti dalla plusvalenza, ai genitori donanti piuttosto che ai figli donatari che avevano formalmente venduto i terreni donati. Sia la CTP che la CTR rigettavano le argomentazioni dell’Agenzia delle entrate in particolare, secondo la CTR l’accertamento andava annullato in quanto l’art. 37- bis d.P.R. n. 600/1973, vigente ratione temporis , non prevedeva tra le operazioni elusive , quella posta in essere tra le parti scandita dalla sequenza donazione e successiva vendita dei terreni donati. I Giudici di legittimità hanno rigettato nel merito il ricorso delle Entrate che hanno denunciato insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato alcuni elementi, in particolare, - che le donazioni erano state effettuate dai contribuenti in favore dei loro figli - tra le donazioni e le vendite sono decorsi meno di cinque mesi - il valore dichiarato nelle compravendite non è dissimile a quello delle due donazioni - a seguito delle donazioni i terreni hanno riacquistato la loro unitarietà in capo al singolo acquirente - vi è stato un risparmio di imposta , in quanto se i donanti avessero inteso vendere i beni direttamente agli acquirenti, avrebbero pagato un’imposta relativa alla plusvalenza realizzata sensibilmente superiore a quella versata dai rispettivi figli, che grazie al valore indicato nell’atto di donazione, avevano abbattuto di molto la base imponibile. Nel rigettare il ricorso dell’Agenzia delle entrate la Cassazione ricorda che la disciplina antielusiva dell'interposizione, prevista dall’art. 37, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 in base al quale l’imputazione dei redditi avviene in base all’effettivo possessore degli stessi, anche per interposta persona , non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio , ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d'imposta ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell'ambito della quale può ricomprendersi l'interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali cfr. Cass. 33221/2018 e 5408/2017 più datate Cass. 449/2013 e 13089/2012 . Se ciò è vero, la Cassazione evidenzia come tale profilo vada contemperato con la libertà di pianificazione della successione da parte dei genitori e col carattere genuino della donazione ai figli cfr. Cass. 12316/2017 e 17128/2018 . In altre pronunce favorevoli al Fisco erano stati evidenziati altri elementi presuntivi quali - il fatto che i beni donati siano stati venduti lo stesso giorno della vendita a terze e per il medesimo valore indicato nella donazione cfr. Cass. 10561/2020 - o ancora il fatto che il terreno era stato venduto dal figlio-donatario dopo tre mesi, per un corrispettivo pari al valore dichiarato nell'atto di donazione, ed una limitata somma era stata percepita dal donante al fine del pagamento dell'imposta di donazione cfr. Cass. 16158/2016 - o ancora il versamento di acconti al donante o la partecipazione di questi alle trattative per la vendita cfr. Cass. 6276/2018 e 17128/2018 . Nulla di tutto questo era avvenuto nel caso di specie ove la CTR ha valorizzato come finalità della operazione una pianificazione familiare razionalizzazione fiscale del loro patrimonio , e dall'altro, valorizzato quale elemento di fatto decisivo la plusvalenza comunque realizzatasi seppur in misura inferiore con la successiva vendita.

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 1 ottobre – 26 novembre 2020, n. 26947 Presidente Cirillo – Relatore D’Orazio Fatti di causa 1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Varese n. 4/2010, che aveva accolto i ricorsi riuniti presentati dai contribuenti A.I. e L.D. contro gli avvisi di accertamento emessi nei loro confronti per l’anno 2001, per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 37, comma 3, per avere donato, in data 19-10-2000, ai propri figli L.A. e L.R. , la metà per ciascuno, di due terreni del valore complessivo di lire 700.000.000, poi da donatari venduti a distanza pochi mesi le prime due vendite il 12-1-2001, la terza il 13-3-2001 , con tre distinti atti a diversi acquirenti, per la somma complessiva di lire 853.000.000 250 milioni + 202 milioni + 401 milioni . La Commissione regionale, dopo aver premesso l’applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, che elencava le operazioni dirette a favorire vantaggi tributari, tra cui non era ricompresa la donazione collegata ad una vendita, riteneva sussistere una condotta volta alla razionalizzazione fiscale del patrimonio dei donanti, con pagamento peraltro delle imposte da parte dei donatari per la plusvalenza di circa Euro 50.000,00 lire 102.246.000 per ciascuno, quale differenza tra il valore dei beni donati e quello dei beni successivamente venduti a terzi, con una imposta quindi di lire 31.813.000. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate. 3. Resistono con controricorso i contribuenti, depositando memoria scritta. 4. La Procura Generale deposita memoria contenente le conclusioni scritte. Ragioni della decisione 1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37 e 37-bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 , in quanto il giudice di appello ha ritenuto erroneamente che la fattispecie in esame donazione ai figli di metà di due terreni e successiva vendita degli stessi a terzi diversi dopo pochi mesi per un valore di poco superiore a quello delle donazioni fosse disciplinata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, ma non rientrasse tra le operazioni elencate da tale norma. In realtà, la norma in concreto applicabile è il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3. 1.1. Tale motivo è fondato. 1.2. Invero, è errata l’affermazione del giudice di appello, nella parte in cui ritiene che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis contenga una elencazione tassativa delle fattispecie abusive, sì da non poterne ricomprendere altre, diverse da quelle indicate. In realtà, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, ora sostituito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, ricomprende tutta una serie di condotte del contribuente anche non specificamente indicate nella norma in esame. 1.3. Invero, per questa Corte Cass.n. 5155/2016, in motivazione, poi richiamata dalle recenti Cass., sez. 5, 5 dicembre 2019, n. 31772 Cass., sez. 5, 2 marzo 2020, n. 5644 Cass., sez. 5, 23 novembre 2018, n. 30404 integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, sia del contesto fattuale e giuridico - ponga quale elemento predominante e assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale se quelle operazioni possono spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta Cass., 10 dicembre 2014, n. 25972, in motivazione, paragrafo 9.1. . Pertanto, per questa Corte, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo - rinvenibile negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano oltre che nei principi comunitari Cass., 19 febbraio 2014, n. 3938 Cass., 5155/2016 e rilevabile d’ufficio Cass., 25 novembre 2015, n. 24024 -che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente Cass., 5 dicembre 2019, n. 31772 Cass., 6 giugno 2019, n. 15321 Cass., 23 novembre 2018, n. 30404 Cass., 7 novembre 2012, n. 19234 . 1.4. Incombe, dunque, sulla amministrazione l’onere di dimostrare sia l’esistenza del disegno elusivo, sia le modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire ad un determinato risultato fiscale Cass., sez. 5, 26 fe,bbraio 2014, n. 4603 Cass., n. 1465/2009 . 1.5. Grava, invece, sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in tal modo strutturate Cass., 5 dicembre 2019, n. 31772, cit. Cass., 5090/2017 Cass. 3938/2014 Cass., 19234/2012 Cass., 20029/2010 . In tal senso, si è affermato che, al fine di escludere il contestato carattere elusivo di un’operazione, il contribuente deve dimostrare che la stessa è giustificata da valide ragioni economiche , aventi carattere non meramente marginale o teorico, sebbene dette ragioni non debbano assumere una rilevanza predominante per il compimento dell’operazione nè dovendosi, per altro verso, provare che l’obiettivo non sarebbe stato altrimenti perseguibile, ma soltanto che la strada prescelta è più conveniente rispetto ad altre soluzioni Cass., sez. 5, 30 gennaio 2018, n. 2240 . 1.6.Non è, poi, configurabile l’abuso del diritto se non sia stato provato dall’ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato al contribuente accertato dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici Cass., n. 20029/2010 . Il carattere abusivo, ai fini fiscali, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale Cass., sez. un., 30055/08 e 30057/2008 Corte giustizia, nei casi 3M Italia, Halifax, Part. Service , presuppone quantomeno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dei contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito Cass., n. 21390/2012 in motivazione e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco Cass., n. 26 febbraio 2014, n. 4604 . 1.7. La Raccomandazione UE 2012/772 prevede che gli Stati membri debbano intervenire ogniqualvolta vi sia una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale montages articiels artificial arrengement mecanismo artificial nella varie versioni linguistiche . A tal fine precisa che una costruzione una serie di costruzioni e artificiosa se manca di sostanza commerciale p.4.4 , o più esattamente di sostanza economica p.4.2 , e consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali , mentre una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso Cass., n. 438/2015 Cass., n. 439/2015, p. 8.3 Cass., n. 5155/2016, paragrafi 7, 8, 9 e 10 . 1.8. il legislatore nazionale, con la L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5, ha raccolto la citata Raccomandazione dell’Ue, delegando al Governo l’attuazione della revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione Europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012 a definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio di imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione b garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine 1. considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva 2. escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extra fiscali non marginali stabilire che costituiscono ragioni extra fiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente c prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lett. a all’amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta d disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extra fiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti e prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso f prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario . 1.9. Si è anche osservato che le disposizioni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, pur non applicandosi ratione temporis D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 5 rilevano in chiave interpretativa nel definire una linea evolutiva già indiscutibilmente tracciata nell’ordinamento tributaria dalla giurisprudenza e dalle fonti nazionali e comunitarie Cass., n. 30404 del 23 novembre 2018, in motivazione . La L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, comma 1, prevede che configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti . Inoltre, ai sensi del comma 2, lett. a si considerano a operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali . Si aggiunge che sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato . Ai sensi del comma 2 lett. b si considerano vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario . Si chiarisce che, ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale comma 4 , non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono alla finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente comma 3 . 1.10. È evidente alla luce della giurisprudenza richiamata, anche unionale, che non può essere condivisa l’affermazione del giudice di appello, per cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis costituirebbe una fattispecie chiusa , con indicazione tassativa delle condotte cui potrebbe essere applicato il divieto dell’abuso del diritto. Al contrario, anche la L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, pur non applicabile ratione temporis, svolge una fondamentale opera di interpretazione del disposto della vecchia norma art. 37-bis cit. , che ha un perimetro che va ben al di là delle condotte ivi indicate, costituendo una sorta di principio generale che avvolge in sé tutte le condotte abusive, ove vengano riscontrata la sussistenza dei precisi parametri normativi. La L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, nuovo, dunque, è intervenuto a mettere ordine in quel vasto mondo dell’abuso atipico di derivazione costituzionale e comunitaria. 1.11. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, si pone, allora, come una fattispecie l’interposizione distinta dall’abuso atipico che in precedenza si è enunciato. Tale disposizione è stata conservata dopo la riforma, proprio quale indice rivelatore della illiceità fiscale delle variegate ipotesi di schermo elusivo. 1.12. Non sono condivisibili, allora, quelle pronunce di questa Corte, in cui si è affermato che l’abuso del diritto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, all’epoca vigente L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, ora, inserito dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, comma 1 , si incentra sulla tipizzazione delle condotte elusive, sicché potrebbe configurarsi un abuso del diritto solo qualora ricorra una delle operazioni ivi indicate Cass., sez. 5., 15756/2020 Cass.,sez. 5, 25 ottobre 2018, n. 27886 . Neppure va condivisa l’altra affermazione per cui il legislatore ha voluto tipizzare la figura dell’abuso del diritto convogliandola su specifici elementi caratterizzanti e determinate operazioni negoziali, in assenza dei quali non sono configurabili altre ipotesi atipiche di pratiche abusive. La ratio legis, dunque, consisterebbe nell’esigenza di limitare il rischio di una indiscriminata applicazione della figura dell’abuso del diritto a qualsiasi fattispecie negoziale e di evitare l’insorgenza di controversie tributarie su accertamenti fiscali dall’esito aleatorio per l’Erario e, ancora, di impedire che i contribuenti siano sottoposti a inutili e complessi accertamenti fiscali, a discapito di altre attività di verifica e controllo. Come detto, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, poi sostituito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, rappresenta una norma aperta volta a ricomprendere tutte quelle fattispecie di abuso del diritto atipico di derivazione costituzionale ed unionale. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, invece, è stata conservata, con un ambito di applicazione limitato alla interposizione. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, trova applicazione, allora, alla fattispecie in esame, come prospettato dall’Agenzia delle entrate nel motivo di ricorso. 2. Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia si duole della motivazione insufficiente su fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 , in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto dei seguenti elementi le donazioni sono state effettuate dai coniugi L. -A. in favore dei loro figli tra le donazioni e le vendite sono decorsi meno di cinque mesi il valore dichiarato nelle compravendite non è dissimile a quello delle due donazioni a seguito delle donazioni i terreni hanno riacquistato la loro unitarietà in capo al singolo acquirente vi è stato un risparmio di imposta, in quanto se i donanti avessero inteso vendere i beni direttamente agli acquirenti, avrebbero pagato a titolo di imposta, quale plusvalenza, la somma di lire 172.997.000 plusvalenza di lire 532.260.784 il L. e di lire 45.426.000 la A. plusvalenza di lire 166.088.457 , a fronte di una imposta effettivamente pagata pari a lire 31.913.000. La motivazione del giudice di appello non avrebbe tenuto conto, quindi, degli elementi rilevanti sopra indicati. 2.1. Tale motivo è infondato. 2.2. Va premesso, anzitutto, che l’accoglimento del primo motivo non esime dall’esame del secondo, in quanto è ben possibile una riqualificazione dei fatti ad opera di questa Corte ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3. Deve, allora, valutarsi se la motivazione del giudice d’appello, una volta corretta con riferimento alla applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, sia comunque corretta, in relazione agli elementi di fatto da essa accertati. 2.3. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, prevede che in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona . 2.4. L’assunto della Agenzia delle entrate è che, attraverso il collegamento tra la donazione e la successiva vendita a terzi, i donanti, in realtà, non abbiano versato quanto da essi dovuto se avessero proceduto alla vendita dei terreni direttamente nei confronti dei terzi. Infatti, notevole era la differenza tra il valore dei terreni al costo di acquisto e quello al momento della vendita, con una plusvalenza per il L. di lire 532.266.784 e per la A. di lire 166.089.457, con imposte in astratto dovute rispettivamente per lire 172.897.000 e per lire 45.126.000. Utilizzando lo schema negoziale delle donazioni con vendite successive da parte dei donatari, la plusvalenza, ossia la differenza tra il valore dei beni ricevuti in donazione ed il valore degli stessi beni venduti a terzi era di lire 102.246.000, con una imposta pagata dai donatari di lire 31.813.000. Per l’Agenzia, quindi, la operazione complessiva aveva il fine esclusivo di evitare che i donanti dovessero dichiarare la plusvalenza che avrebbero realizzato vendendo direttamente i terreni. 2.5. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, in pronunce relative a fattispecie analoghe a quella oggetto di esame la possibilità di dichiarare inopponibili all’amministrazione finanziaria, in applicazione di un principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost., ma anche dai principi comunitari, i benefici fiscali derivanti dalla combinazione di operazioni a ciò volte Cass., 5408/2017 Cass., 14 dicembre 2018, n. 32421 . Si precisa che per questa Corte il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3 trova applicazione anche quando manca la prova della simulazione della donazione, quando vengono utilizzati strumenti giuridici idonei ad ottenere una agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economicamente apprezzabili poste a base dell’operazione. Si è, infatti, ritenuto che, in tema di accertamento di imposte sui redditi, la disciplina dell’interposizione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale costituente il presupposto d’imposta. Ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali Cass., sez. 5, 21 dicembre 2018, n. 33221 Cass., 5408/2017 Cass. Civ., 10 gennaio 2013, n. 449 . Il carattere reale, e non simulato della operazione di vendita e l’effettiva percezione del prezzo da parte dei venditori-donatari, non sono sufficienti ad escludere lo scopo elusivo dell’intera operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita Cass., 5408/2017 . 2.6. Si è precisato che, sebbene il fenomeno della simulazione relativa non esaurisca il campo di applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo dell’intera operazione negoziale posta in essere nella sequenza donazione-vendita, tuttavia, trattandosi di rapporti patrimoniali tra padre e figli, deve tenersi conto della libertà di pianificazione della successione da parte del genitore e del carattere genuino della donazione ai figli Cass. Civ., 26 ottobre 2016, n. 21572 da ultimo anche Cass. 17 maggio 2017, n. 12316 . Inoltre, nulla impone al contribuente di optare, nell’esercizio della propria attività negoziale, per la soluzione più onerosa sul piano fiscale Cass. Civ., 25 marzo 2015, n. 5937 . 2.7. In molteplici pronunce di questa Corte si è ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in presenza solo di alcuni elementi presuntivi. In particolare, si è recentemente affermato che non vi è la prova della interposizione nel caso in cui i beni donati siano stati venduti persino lo stesso giorno della vendita a terze e per il medesimo valore indicato nella donazione Cass., sez. 5, 4 giugno 2020, n. 10561 Cass., sez. 5, 23 luglio 2020, n. 15746 contra però Cass., 7 marzo 2018, n. 5420, ma in presenza anche di un preliminare di vendita del terreno da parte del donante al soggetto che successivamente lo aveva acquistato dalle figlie donatarie . L’avviso è stato ritenuto legittimo anche nel caso in cui il terreno era stato venduto dal figlio-donatario dopo tre mesi, per un corrispettivo pari al valore dichiarato nell’atto di donazione, ed una limitata somma era stata percepita dal donante al fine del pagamento dell’imposta di donazione Cass., 3 agosto 2016, n, 16158 . 2.8. La motivazione del giudice di appello si rivela congrua e sufficiente, in quanto, alla stregua dei principi stabiliti da questa Corte in materia, nell’ambito di una fattispecie in cui i genitori hanno donato i beni ai figli, che poi, dopo qualche mese hanno ceduto a società terze, ha, da un lato, indicato come finalità della operazione una pianificazione familiare razionalizzazione fiscale del loro patrimonio , e dall’altro, valorizzato quale elemento di fatto decisivo la plusvalenza comunque realizzatasi con la successiva vendita. Infatti, i figli-donatari non hanno ceduto i terreni per un corrispettivo identico al valore delle donazioni ricevute, ma ad un prezzo maggiorato. I terreni sono stati donati per il valore di lire 350.000.000 ciascuno lire 700.000.000 complessivi e sono stati venduti a tre società diverse per la somma complessiva di lire 853.000.000 250 milioni + 202 milioni + 401 milioni , con una plusvalenza di lire 102.246.000, in regione della detrazione delle spese di acquisto, su cui è stata pagata l’Irpef per lire 31.813.000. La Commissione regionale, sul punto, ha osservato che i donatari non sono stati esentati dalla tassazione, perché hanno assoggettato a tassazione la differenza tra il valore della donazione e i corrispettivi percepiti dalla vendita degli immobili , aggiungendo che i donatari hanno dichiarato e pagato una plusvalenza di Euro 50.000 , sicché non vi poteva essere da parte dei donanti conoscenza del prezzo che sarebbe stato realizzato con la vendita dopo la donazione . Tra l’altro, nel controricorso si evidenzia che negli acini 2000 e 2001 sono state effettuate dai coniugi L. anche quatto vendite, a dimostrazione della esigenza di sistemazione del patrimonio immobiliare familiare. Nè sono stati individuati altri indizi idonei a dimostrare l’imputazione del reddito, derivante dalla plusvalenza per la cessione dei terreni, in capo ai genitori donanti, quali il versamento di acconti al donante o la partecipazione di questi alle trattative per la vendita Cass. Civ., 6276/2018 Cass. Civ., 17128/2018, dove si afferma che pure le trattative condotte da soggetti diversi dai donatari o dallo stesso donante costituiscono elemento perfettamente compatibile con il negozio di donazione . 3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della Agenzia delle entrate e si liquidano come da dispositivo. 4. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato Cass., 890/2017 Cass., 5955/2014 . P.Q M. Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate a rimborsare in favore dei contribuenti le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre Iva e Cpa, e rimborso spese generali nella misura forfettaria del 12,5 %.