L'assoluzione in sede penale non salva il contribuente dall'accertamento fiscale

Tenendo conto che nel processo tributario valgono le regole in materia di prova imposte dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546/1992, che consentono l’ingresso anche alle presunzioni semplici, l’imputato assolto in sede penale, seppur con formula piena, può essere comunque ritenuto responsabile fiscalmente nel caso in cui l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi.

Così si esprime la Suprema Corte nell’ordinanza n. 21121/20, depositata il 2 ottobre. Mediante atto impositivo, l’Amministrazione finanziaria contestava un maggior reddito di partecipazione ai soci di una società, tra i quali anche il contribuente, identificato quale socio di fatto . Quest’ultimo impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP, negando la sua qualità di socio di fatto. La Commissione accoglieva il suo ricorso basandosi sulla sentenza penale di proscioglimento dello stesso dai reati fiscali. L’Agenzia delle Entrate appellava la pronuncia dinanzi alla CTR della Campania, la quale confermava la sentenza del Giudice di prima istanza. A questo punto, l’Ufficio propone ricorso per cassazione, criticando il fatto che il Giudice si sia fondato ai fini della decisione sugli esiti assolutori del giudizio penale a carico del contribuente. I Giudici di legittimità dichiarano il ricorso fondato , osservando come la sentenza penale assolutoria non spieghi in modo automatico efficacia di giudicato nell’ambito del processo tributario, anche se i fatti accertati siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria abbia promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, potendo essi essere presi in considerazione solo quali fonti di prova nel giudizio tributario. A tal proposito, gli Ermellini rilevano altresì che la motivazione di una pronuncia può essere redatta per relationem rispetto a quella di altra decisione solo se ne riproduce i contenuti e li rende oggetto di autonoma valutazione critica. Infine, la Corte ribadisce che nel contenzioso tributario, non può essere attribuita alcuna autorità di cosa giudicata alla sentenza penale irrevocabile emessa in materia di reati fiscali, anche se i fatti esaminati siano i medesimi, visto che nel processo tributario valgono i limiti in materia di prova stabiliti dal comma 4 dell’art. 7, d.lgs. n. 546/1992, i quali consentono l’ingresso anche alle presunzioni semplici , le quali non sono idonee da sole a supportare una pronuncia penale di condanna. Di conseguenza, il contribuente assolto in sede penale per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste può comunque essere ritenuto responsabile ai fini fiscali quando l’atto impositivo si fondi su indizi validi , i quali sarebbero insufficienti ai fini di un giudizio di responsabilità penale ma idonei ai fini di quello tributario. Alla luce di tali argomentazioni, la Corte accoglie il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, ordinanza 27 febbraio – 2 ottobre 2020, n. 21121 Presidente Sorrentino – Relatore Federici Rilevato che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 339/32/12, depositata il 30.11.2012 dalla Commissione tributaria regionale della Campania, che, confermando la sentenza del giudice di primo grado, aveva rigettato l’appello dell’Ufficio avverso l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato a G.P. , con il quale era stato rideterminato il suo reddito di partecipazione nella società Panar Computers s.r.l., quale socio di fatto. Ha riferito che a seguito di verifiche condotte nei confronti della suddetta società da militari della GdF relativamente all’anno d’imposta 2001, ne era emersa la funzione di mera cartiera, con emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Con l’atto impositivo era stato pertanto accertato un maggior reddito d’impresa ai fini Irpeg ed Irap ed un maggior volume d’affari ai fini Iva. Conseguentemente l’Amministrazione finanziaria aveva contestato il maggior reddito di partecipazione ai soci, tra i quali aveva identificato anche il G. quale socio di fatto. Il contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento, negando il ruolo di socio di fatto ed eccependo preliminarmente la carenza di legittimazione passiva. Con la sentenza n. 750/05/2010 la Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso del G. , fondando il proprio convincimento sulla sentenza penale di proscioglimento del ricorrente dai reati fiscali, per mancanza di prova della sua partecipazione di fatto alla società. L’Agenzia aveva appellato la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, che con la sentenza ora al vaglio della Corte aveva confermato le statuizioni di primo grado, invocando la pregiudiziale penale. L’Ufficio censura la sentenza dolendosi della violazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché erroneamente il giudice d’appello avrebbe fondato la sua decisione sulla sentenza penale che aveva escluso la prova del coinvolgimento del G. nella compagine sociale. Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza. Il G. , cui risulta tempestivamente notificato il ricorso, non ha inteso costituirsi. Considerato che Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate critica la decisione per essere erroneamente fondata sugli esiti assolutori del giudizio penale. Al contrario, sostiene, quand’anche prosciolto in sede penale per ritenuta carenza di prova della partecipazione occulta alla società, il giudice tributario avrebbe dovuto decidere sul maggior debito fiscale del G. , valutando autonomamente le prove, per le diverse regole probatorie che in materia investono i due distinti settori del diritto. Il motivo è fondato. La sentenza, dopo aver riportato uno stralcio della motivazione della decisione di primo grado e aver avvertito che l’Ufficio critica l’appiattimento del giudice di primo grado sulla statuizione del giudice penale senza valutare tutti gli indizi emergenti dal processo verbale di constatazione, ha affermato che se è indubbio che la pregiudiziale penale vale solo per l’accertamento del fatto ma non se sia dovuto o no il tributo va rilevato che nella specie il fatto va individuato proprio nella partecipazione o no, in qualità di socio di fatto, del G.P. alla Pamar srl. Una volta esclusa con la sentenza penale la sua partecipazione alla srl Pamar Computers ne deriva quale logica conseguenza l’esclusione di ogni sua responsabilità in sede tributaria.” Il ragionamento è viziato. Questa Corte, già con espresso riferimento al fatto , ha affermato che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula perché il fatto non sussiste , non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare Cass. N. 5820/2007 n. 10578/2015 17258/2019 . D’altronde, in un’ipotesi in cui il giudice di merito aveva ricondotto la sua decisione solo genericamente ad una sentenza di assoluzione penale, senza richiamarne il contenuto, nè specificarne la rilevanza ai fini dell’accertamento tributario, la Corte ha affermato che la motivazione di una sentenza può essere redatta per relationem rispetto a quella di un’altra decisione, anche se non passata in giudicato, purché riproduca i contenuti mutuati e li renda oggetto di un’autonoma valutazione critica, così consentendo la verifica della compatibilità logico - giuridica del rinvio Cass., n. 5209/2018 . Ma più in generale, tenendo conto dei principi desumibili dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, dall’art. 654 c.p.p., nonché dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20, ed evidenziando proprio le diverse regole probatorie poste a governo del materiale istruttorio nel processo penale e in quello tributario, questa Corte ha avvertito come in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, consentendo invece l’ingresso anche alle presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario cfr. Cass., nn. 8129/2012 16262/2017 28174/2017 . I principi di diritto riportati, costituiscono un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, cui questo Collegio intende dare continuità. Ne consegue che nel caso di specie, riguardante l’accertamento della sussistenza o meno della relazione soggettiva tra la società cartiera ed il G. , quale socio di fatto, il giudice regionale ha erroneamente applicato le norme di diritto, non adeguandosi all’interpretazione ormai consolidata di questa Corte. La sentenza va pertanto cassata e il giudizio va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Campania, che in diversa composizione, oltre che sulle spese, deciderà la controversia tenendo conto dei principi di diritto somministrati. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.