Possibile opporre un controcredito in compensazione al contribuente che domanda un rimborso fiscale

Qualora il contribuente agisca in giudizio per ottenere il rimborso di un proprio credito di imposta, l'Amministrazione finanziaria, ferma restando la facoltà di esercitare discrezionalmente i poteri autoritativi di sospensione del pagamento delle somme pretese dal creditore e di pronuncia di compensazione nel caso sia a propria volta titolare di controcrediti tributari nei confronti del contribuente, è comunque legittimata, nel corso del giudizio instaurato dal contribuente creditore, ad opporre in compensazione ai sensi dell'articolo 1243 c.c., i propri crediti certi, liquidi ed esigibili, spettando conseguentemente al giudice la verifica della ricorrenza dei requisiti richiesti per la pronuncia della compensazione legale.

Lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza 21082 del 7 agosto 2019 con cui ha accolto i motivi di ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate. Sospensione rimborsi chiesti dai contribuenti e compensazione in ambito tributario. Sul punto si ricorda che la possibilità di estinguere l’obbligazione tributaria per compensazione è espressamente prevista dall’art. 8 della legge 212/2000 che però, secondo la tesi dell’Agenzia delle entrate, non può considerarsi operativo sino a quando non verrà emanato il regolamento di attuazione previsto dal comma 6. Secondo gran parte della giurisprudenza di merito, invece, la norma ha carattere immediatamente precettivo, a dispetto della mancata emanazione del Dm attuativo. Ciò in quanto la norma definisce in modo completo le fattispecie che intende regolare cfr. Ctp Milano 1184/19/19 . Quanto alla sospensione di un rimborso, si ricorda che l’art. 38-bis, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972 prevede la sospensione dei rimborsi IVA in caso di contestazioni penali in capo al contribuente, riguardanti i reati di emissione o di utilizzo di fatture o altri documenti relativi ad operazioni in tutto o in parte inesistenti. Il meccanismo di sospensione ha natura obbligatoria, così come si evince dal tenore letterale della disposizione, laddove stabilisce che l’esecuzione dei rimborsi è sospesa”. Sul punto è chiara la circolare n. 32/E del 30 dicembre 2014 secondo cui quando l’ufficio viene a conoscenza delle fattispecie richiamate, l’esecuzione del rimborso è sospesa, senza possibilità per gli uffici di porre in essere alcuna valutazione discrezionale”. L'obbligo di sospensione gravante sull'Ufficio trae la sua ratio dalla sussistenza di dubbi in ordine alla effettiva spettanza del credito richiesto a rimborso. L’art. 23 del d.lgs. 472/1997 prevede la facoltà per l’amministrazione finanziaria di sospendere il pagamento di un credito vantato da un contribuente in caso di notifica di un atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo. Il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 ha ampliato l’ambito applicativo del potere di sospensione estendendolo anche alle somme risultanti dai provvedimenti con cui vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. Non è necessario che l’atto notificato all’autore della violazione finanziaria sia definitivo. Qualora lo sia, il secondo comma dell’art. 23 stabilisce che l’Ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito. La cautela di cui all’art. 23 va mantenuta nei limiti degli importi risultanti dalla decisione della commissione tributaria, ancorché non definitiva. Caso concreto. La vicenda parte dalla richiesta di un rimborso IRES presentata da una Banca in qualità di cessionaria del credito. Su tale richiesta si formava il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle entrate impugnato dalla contribuente. Sia in primo grado che in appello venivano rigettate le doglianze del Fisco con conseguente ordine di rimborso del credito. In particolare, secondo la Ctr, l’Ufficio non poteva opporre propri controcrediti in compensazione in quanto i ruoli opposti costituiscono mero atto interno non capace di paralizzare la richiesta del contribuente. In Cassazione il verdetto è stato ribaltato. L’Agenzia delle entrate chiedeva in sostanza di procedere alla compensazione del credito chiesto a rimborso col proprio controcredito la cui esistenza era incontestata , derivante da iscrizioni a ruolo a titolo definitivo sia nei confronti delle banche incorporate che nei confronti della incorporante oltre a crediti non ancora definitivi relativi a controversie in corso. Secondo la contribuente invece, per sospendere il rimborso, era necessaria l’adozione di un provvedimento autoritativo di tipo formale, ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 472/1997 o dell'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923 fermo amministrativo dei crediti . Sul punto si ricorda che il provvedimento di sospensione del pagamento c.d. fermo amministrativo , previsto dall'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, è espressione del potere di autotutela della P.A. a salvaguardia dell'eventuale compensazione legale dell'altrui credito con quello, anche se attualmente illiquido, che l'amministrazione abbia o pretenda di avere nei confronti del suo creditore e, avendo portata generale, in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche attive e passive , può essere legittimamente applicato anche ai rimborsi IVA, fino al sopraggiungere dell'eventuale giudicato negativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall'erario cfr. da ultimo Cass. 4038/2018 . Secondo la Cassazione invece, l’Amministrazione finanziaria ma evidentemente anche il contribuente pena la violazione del principio di uguaglianza può ricorrere anche all’istituto civilistico della compensazione ai sensi dell’art. 1243 c.c. che opera al di fuori di ogni potere eccezionale di autotutela riconosciuto alla pubblica Amministrazione, poiché consente a qualunque soggetto non esclusa l'Amministrazione finanziaria chiamato in giudizio per il pagamento di un credito, di opporre a propria volta in compensazione l'esistenza di un proprio controcredito anch'esso certo, liquido ed esigibile, con la conseguenza che il giudice, verificata la sussistenza dei requisiti del controcredito opposto, dichiara l'estinzione totale o parziale del credito principale per compensazione legale.

Corte di Cassazione, sez. V Civile, ordinanza 10 aprile – 7 agosto 2019, n. 21082 Presidente Cirillo – Relatore Locatelli Ritenuto in fatto In sede di presentazione della dichiarazione dei redditi Modello Unico 2010, per l’anno di imposta 2009, la società FIN. SER srl chiedeva il rimborso della somma di Euro 1.300.000 relativa ad un credito di imposta Ires risultante dalla dichiarazione Modello Unico 2003 e riportato di anno in anno, sino a quando la società ne chiedeva la restituzione. Con atto pubblico del 27.11.2011 la società FIN. SER cedeva il credito di imposta chiesto in restituzione alla Banca Antonveneta e alla Cassa di Risparmio del Veneto. In data 30.11.2012 le banche cessionarie presentavano istanza di rimborso del credito acquistato. A seguito del silenzio - rifiuto della Agenzia delle Entrate, la Banca Antonveneta proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Padova in corso di causa, con atto del 23.4.2013, Banca Antonveneta veniva fusa mediante incorporazione nella Banca Monte dei Paschi di Siena che subentrava nel giudizio la Commissione tributaria provinciale di Padova con sentenza n. 94 del 2013 accoglieva il ricorso, condannando l’Amministrazione finanziaria al rimborso della somma richiesta in restituzione. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, rigettato dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con sentenza n. 310 del 5.2.2015. Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone tre motivi di ricorso per cassazione. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo si deduce Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 42 bis, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 , nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto l’applicabilità delle disposizioni sulla esecuzione dei rimborsi contenute nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 42 bis, in luogo di quelle previste dalla L. n. 342 del 2000, art. 75, integrate dal decreto ministeriale di attuazione 29.12.2000. Il motivo è inammissibile perché introduce una questione estranea alla ratio decidendi propria nella sentenza impugnata. Il giudice di appello, che ha richiamato entrambe le disposizioni relative ai rimborsi automatizzati, ha rigettato l’appello della Agenzia delle Entrate per la ragione sostanziale che l’esistenza del credito chiesto a rimborso era certa e riconosciuta dallo stesso Ufficio, il quale invece non aveva fornito prove sufficienti dell’esistenza di un controcredito da opporre in compensazione al contribuente. 2. Con il secondo motivo si deduce Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 1, 11 e 12, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 , nella parte in cui la C.T.R. ha rigettato l’eccezione dell’Ufficio circa la esistenza di crediti dell’amministrazione finanziaria, da opporre in compensazione al credito vantato dalla contribuente, sul rilievo che i ruoli evidenziati costituiscono mero atto interno non capace di paralizzare la richiesta del contribuente stesso . 3. Con il terzo motivo si deduce Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 , nella parte in cui la C.T.R. ha dato rilievo alla esistenza di una autorizzazione al rimborso emessa dalla stessa Agenzia delle Entrate, senza considerare che il provvedimento autorizzatorio prevedeva espressamente che, prima di effettuare il rimborso, occorreva operare la compensazione con gli importi che risultavano iscritti a ruolo a titolo definitivo a carico del contribuente, ovvero disporre la sospensione del rimborso in ragione di eventuali future iscrizioni a ruolo a seguito della definizione di controversie in corso con Banca Monte dei Paschi in senso favorevole alla Amministrazione finanziaria. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei seguenti termini. 3.1. Non è contestato dalle parti, e risulta dal testo della sentenza impugnata, che l’Amministrazione finanziaria vantava crediti erariali, iscritti a ruolo a titolo definitivo, sia nei confronti delle banche incorporate Cassa di Risparmio Euro 9.980 e Banca Antonveneta Euro 6.782 che nei confronti della incorporante Banca del Monte dei Paschi Euro 618.779 , oltre a crediti non ancora definitivi relativi a controversie in corso. La motivazione del giudice di primo grado, che rigetta l’eccezione di compensazione dei crediti formulata dalla Agenzia delle Entrate sull’assunto che i ruoli evidenziati costituiscono mero atto interno non capace di paralizzare la richiesta del contribuente stesso non è giuridicamente corretta. A norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 1, 12 e 49, l’iscrizione a ruolo definitivo attesta la titolarità da parte dell’Amministrazione finanziaria di un credito liquido ed esigibile nei confronti del contribuente e costituisce titolo esecutivo legittimante la riscossione della somma iscritta ruolo anche mediante esecuzione forzata. 3.2. Non è fondata la tesi esposta dalla controricorrente secondo cui l’Amministrazione finanziaria, al fine di poter opporre in compensazione il proprio credito nel corso del giudizio per il rimborso del credito di imposta promosso dal contribuente, doveva emettere un autonomo provvedimento di sospensione a norma del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 23. Tale norma - come evidenziato dalla sedes materiae riguardava originariamente la facoltà della Amministrazione di disporre la sospensione del pagamento o la compensazione dei crediti vantati dal contribuente nei confronti della Amministrazione finanziaria qualora essa a propria volta vantasse ragioni creditorie derivanti specificamente dalla irrogazione di sanzioni tributarie, le quali, se prive del carattere della definitività, legittimavano la sospensione provvisoria del pagamento del credito del contribuente se contenute in provvedimenti divenuti definitivi, legittimavano l’Ufficio alla pronuncia della compensazione. A seguito delle modifiche al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, comma 1, introdotte dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 16, comma 1, lett. h , aventi efficacia a decorrere dal 1 gennaio 2016 , la facoltà della Amministrazione finanziaria di disporre con appositi provvedimenti la sospensione o la compensazione dei crediti vantati dal contribuente in presenza di propri controcrediti derivanti dall’obbligo di pagamento delle sanzioni, è stato esteso negli stessi termini all’ipotesi in cui la Amministrazione finanziaria sia titolare di controcrediti derivanti da maggiori tributi dovuti in via non definitiva o definitiva dal contribuente che fa valere il credito di imposta. In riferimento all’istituto del fermo di pagamento previsto dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, u.c., che consente ad un’Amministrazione dello Stato, che abbia ragioni di credito verso soggetti aventi diritto a somme di denaro dovute da altre Amministrazioni, di richiedere ed ottenere la sospensione del pagamento spettante al creditore della pubblica Amministrazione, questa Corte ha precisato che si tratta di uno strumento eccezionalmente attribuito all’amministrazione obbligata, atto a differire in via provvisoria il soddisfacimento di un credito liquido ed esigibile, comportante l’affievolimento sia pure temporaneo del diritto di credito del privato. Da tali caratteristiche dell’istituto discende che il fermo , cioè la sospensione del pagamento delle somme dovute dall’Amministrazione non può prescindere dalla adozione di un provvedimento formale, emesso nell’esercizio di un potere discrezionale dall’autorità competente e dotato dei requisiti prescritti dalla legge pag. 4 Sez. 5 n. 23601 del 2011 . Allo stesso modo i poteri di sospensione del pagamento e di compensazione del credito, previsti dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, sono finalizzati ad una tutela rafforzata del credito erariale, consentendo alla Amministrazione finanziaria di adottare discrezionalmente provvedimenti autoritativi comunque soggetti ad impugnazione e controllo giurisdizionale con i quali l’ente impositore dispone unilateralmente la sospensione del pagamento o pronuncia la compensazione nei confronti del contribuente titolare del credito principale, provvedimenti che normalmente non sono di spettanza delle parti ma competono alla autorità giudiziaria. L’istituto della compensazione legale e giudiziale disciplinato dall’art. 1243 c.c. opera al di fuori di ogni potere eccezionale di autotutela riconosciuto alla pubblica Amministrazione, poiché consente a qualunque soggetto non esclusa l’Amministrazione finanziaria chiamato in giudizio per il pagamento di un credito, di opporre a propria volta in compensazione l’esistenza di un proprio controcredito anch’esso certo, liquido ed esigibile, con la conseguenza che il giudice, verificata la sussistenza dei requisiti del controcredito opposto, dichiara l’estinzione totale o parziale del credito principale per compensazione legale in tal senso Sez. U. n. 23225 del 2016 . D’altra parte risulterebbe palesemente contrario alla ratio della norma ritenere che l’attribuzione alla Amministrazione finanziaria di poteri autoritativi di sospensione del pagamento del credito e di pronuncia unilaterale della compensazione, debba comportare, per l’Amministrazione finanziaria che intenda agire solo sul piano privatistico, la privazione della facoltà, riconosciuta in via generale dall’art. 1243 c.c., di opporre in compensazione, al contribuente che agisce in giudizio per il pagamento di un credito, l’esistenza di un proprio controcredito altrettanto certo, liquido ed esigibile. Deve pertanto affermarsi il seguente principio di diritto qualora il contribuente agisca in giudizio per ottenere il rimborso di un proprio credito di imposta, l’Amministrazione finanziaria, ferma restando la facoltà di esercitare discrezionalmente i poteri autoritativi di sospensione del pagamento delle somme pretese dal creditore e di pronuncia di compensazione nel caso sia a propria volta titolare di controcrediti tributari nei confronti del contribuente, è comunque legittimata, nel corso del giudizio instaurato dal contribuente creditore, ad opporre in compensazione ai sensi dell’art. 1243 c.c., i propri crediti certi, liquidi ed esigibili, spettando conseguentemente al giudice la verifica della ricorrenza dei requisiti richiesti per la pronuncia della compensazione legale. In accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso la sentenza deve essere annullata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione perché proceda a nuovo giudizio conformandosi al principio di diritto enunciato. Alla stessa C.T.R. è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo ed il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione.