Per l’apertura coattiva delle borse nel corso di una verifica fiscale è necessaria l’autorizzazione del PM

È nullo l’accertamento basato sui dati acquisiti dalla Guardia di Finanza che ha aperto una borsa chiusa in casa del contribuente, senza autorizzazione della Procura.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con la sentenza numero 10275/19 del 12 aprile, ha accolto il ricorso di un contribuente annullando l’atto impositivo. Verifiche fiscali e garanzia per il contribuente. Sul punto si ricorda che l’art. 52 del d.P.R. numero 633/1972 disciplina le attività degli organi verificatori presso i locali dei contribuenti al fine di reperire documenti e altri mezzi di prova per l’accertamento dell’imposta evasa. La disposizione è congegnata in modo da contemperare, anche in ossequio al principio di rango costituzionale di inviolabilità del domicilio art. 14 Cost. , l’interesse del Fisco alla repressione dei fenomeni evasivi con le garanzie previste a favore dei contribuenti. In particolare 1 per l’accesso effettuato in locali adibiti esclusivamente all’esercizio dell’attività commerciale o professionale, è sufficiente l’autorizzazione del capo dell’Ufficio da cui dipendono i verificatori che ne indichi lo scopo 2 per accedere ai locali ad uso promiscuo” è necessaria anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica 3 per l’accesso in locali diversi ovvero destinati esclusivamente ad abitazione l’autorizzazione del P.M. può essere richiesta e rilasciata soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme fiscali cfr. Cass. 9611/2008 . Negli ultimi due casi quindi la necessità dell’autorizzazione del P.M. rappresenta la garanzia per il contribuente del rispetto dell’inviolabilità del domicilio se però nel secondo caso l’autorizzazione rappresenta un mero adempimento procedimentale pur sempre previsto a pena di nullità delle acquisizioni probatorie e del conseguente atto impositivo , per l’opportunità che l’accesso trovi pur sempre l’avallo dell’autorità giudiziaria, la sussistenza di gravi indizi di violazione della norma tributaria rappresenta un quid pluris rispetto all’autorizzazione, che diventa provvedimento valutativo sindacabile da parte del giudice tributario cfr. Cass. sent. numero 6836/2009 e SS.UU. numero 8062/1990 della ricorrenza nella fattispecie specifica dei presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione del contribuente. Anche per l'apertura di cassetti e borse e quant'altro risulti protetto da chiusure, è necessaria l'autorizzazione del magistrato, in quanto tali beni sono attratti nella categoria concettuale del domicilio. L'eventuale assenso del contribuente – che fa venir meno la richiesta di autorizzazione al magistrato - legittima l'operato dei verificatori, consenso che dovrà essere trascritto sia nel processo verbale di accesso o giornaliero che nel p.v. di constatazione. Sul punto è emblematica la sentenza della Cassazione numero 9565 del 5 marzo 2007 secondo cui occorre l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica solo per procedere ad apertura coattiva di borse, non essendo, invece, necessaria l'autorizzazione ove l'acquisizione di documenti contenuti in borse sia avvenuta con la collaborazione ed in continua presenza del figlio e della moglie del contribuente e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà cfr. in senso conforme Cass. 24306/2018, Cass. 3204/2015, 9565/2007 e nell’ambito della giurisprudenza di merito Ctr Marche 564/1/16 . Si segnala infine un orientamento giurisprudenziale in base al quale, nel caso di accesso domiciliare già autorizzato dall’Autorità giudiziaria, non è necessaria una ulteriore autorizzazione specifica all’apertura di cassetti e borse, per la forza attrattiva della prima autorizzazione. Una volta valutata la sussistenza degli indizi di cui all’art. 52 d.P.R. numero 633/72, l’autorizzazione si estende all’intero domicilio e quindi anche a cassetti, borse, plichi ecc, in virtù della forza attrattiva di cui sopra . Sul punto, la Corte di Cassazione, con sentenza numero 14056/06, in maniera netta e chiara, ha operato una distinzione l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l'apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e simili, prevista dall'art. 52, comma 3, d.P.R. numero 633/1972, richiamato dall'art. 33 d.P.R. numero 600/1973, è richiesta solamente nel caso di accesso disposto dagli uffici [] nei locali dell’impresa, ma non anche nel caso di perquisizione domiciliare già autorizzata dall'Autorità giudiziaria, essendo evidente che l'autorizzazione alla perquisizione domiciliare è comprensiva di ogni attività strumentale necessaria per l'acquisizione delle prove Cass. numero 20824/05 . Il caso concreto. La Ctr aveva respinto le doglianze del contribuente riguardanti l’acquisizione della documentazione in assenza della preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria sul presupposto che gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti di cui siano venuti in possesso. La tesi è stata ovviamente smentita dalla Cassazione secondo cui l'art. 52 d.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633 prevede, al primo comma, l'accesso degli impiegati dell'amministrazione finanziaria presso i locali adibiti all'esercizio dell'attività commerciale, agricola, artistica o professionale, ovvero presso i locali adibiti ad uso promiscuo e, dunque, anche abitativo e, al secondo comma, l'accesso presso i locali adibiti ad uso diverso e, dunque, esclusivamente abitativo nel primo caso, è richiesta la semplice autorizzazione del capo dell'ufficio e del procuratore della Repubblica, senza l'indicazione di specifici presupposti, ponendosi tali autorizzazioni come meri adempimenti procedimentali, legati alla necessità che la perquisizione sia avallata da un'autorità gerarchicamente e funzionalmente sovraordinata nel secondo caso, invece, l'autorizzazione del procuratore della Repubblica presuppone la sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, trovando il suo fondamento nell'inviolabilità del domicilio di cui all'art. 14 Cost Nel caso di specie la Guardia di finanza aveva effettuato l’accesso in locali del contribuente diversi da quelli destinati ad uso commerciale ovvero adibiti ad uso promiscuo o abitativo in assenza di qualunque autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria. Si è inoltre provveduto, in mancanza di autorizzazione, all'apertura di una borsa chiusa e all'acquisizione di documenti rinvenuti in una scatola presso l'abitazione dell'attuale ricorrente. La documentazione acquisita con tali modalità è quindi inutilizzabile per cui l’avviso di accertamento che su di essa si è basato deve considerarsi a sua volta illegittimo.

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 26 ottobre 2018 – 12 aprile 2019, n. 10275 Presidente Perrino – Relatore Grasso Fatti di causa 1. - Ni. Bo. ha proposto impugnazione avverso l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle entrate aveva rettificato la dichiarazione Iva del contribuente per l'anno 1994, a seguito di verifica dalla Guardia di Finanza di Telese, nel corso della quale era stata rinvenuta documentazione extracontabile che aveva consentito di ricostruire l'attività effettivamente svolta e il reddito conseguito. La Commissione tributaria provinciale di Benevento, con sentenza 9/3/2001, ha accolto il ricorso ad eccezione del recupero a tassazione di costi indetraibili per Lire 3.380.000, negando il valore probatorio della documentazione acquisita. La Commissione tributaria regionale della Campania ha dichiarato inammissibile l'impugnazione dell'Agenzia delle entrate, ritenendo che la stessa non fosse stata firmata da persona alla quale poteva essere riconosciuta la legittimazione a proporre appello. La Corte di cassazione, con sentenza del 16 gennaio 2009, n. 874, ritenendo sussistente la capacità processuale attribuita all'Ufficio finanziario, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate e ha cassato la pronuncia impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania. 2. - A seguito della riassunzione del giudizio, la Commissione tributaria regionale, con sentenza 137/01/2012, depositata il 19 marzo 2012, ha accolto l'appello dell'amministrazione, confermando l'atto di accertamento. In particolare, i giudici del rinvio hanno sottolineato che la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente ribadito che l'accertamento in rettifica sia consentito pure in presenza di contabilità formalmente regolare, in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che facciano dubitare della completezza e della fedeltà della contabilità esaminata. Sono state inoltre respinte le eccezioni riguardanti l'acquisizione della documentazione senza la preventiva autorizzazione dell'autorità giudiziaria, sul presupposto che gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso, specificando che nel caso di specie le operazioni di inventario furono eseguite alla presenza e con la continua assistenza del Bo. o di persona di sua fiducia appositamente delegata. Nel merito, la Commissione tributaria regionale ha evidenziato che le differenze quantitative delle rimanenze, derivanti dal raffronto tra quantità rilevate e quantità contabilizzate, alla data dell'intervento, hanno dato luogo a presunzioni legali di cessioni o di acquisto dei beni in evasione d'imposta ex art. 53 D.P.R. n. 633 del 1972 e il valore attribuito alle differenze quantitative riscontrate rappresentava la base imponibile per la determinazione dell'imposta evasa. Riguardo alle annotazioni contenute nelle tre agende e nei fascicoli acquisiti nel corso della verifica, la Commissione tributaria regionale ha sottolineato che il contribuente si è limitato ad asserire genericamente che le annotazioni riguardassero operazioni contenute nella contabilità generale, senza, tuttavia, fornire il riscontro analitico delle singole operazioni. 3. - Ni. Bo. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. L'Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso. A seguito della trattazione orale in pubblica udienza, preceduta da memoria illustrativa del ricorrente, il collegio, con ordinanza interlocutoria del 10 gennaio 2017, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo per la trattazione unitaria con il ricorso iscritto al n. 74/2015 R.G., rilevando che l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 4437 del 12 maggio 2014 con cui la medesima Commissione tributaria regionale della Campania ha revocato la sentenza oggetto del presente giudizio per sussistenza di un precedente giudicato. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia su questioni pregiudiziali sollevate nei gradi di merito, in relazione all'articolo 360, comma 1, c.p.c. n. 4 e per violazione dell'articolo 36 d.lgs. 546/1992 in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3. Secondo quanto argomentato, la pronuncia sarebbe incorsa nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato art. 112 c.p.c , avendo il contribuente contestato nel ricorso la questione del giudicato che si era venuto a determinare sulla controversia relativa all'Irpef per la stessa annualità 1994 oggetto del presente giudizio, a seguito della sentenza n. 11/5/2003 della Commissione tributaria regionale della Campania, allegata in copia. In particolare, la sentenza di cui si invoca il giudicato avrebbe escluso la rilevanza probatoria della documentazione acquisita, in sede di accesso, all'interno della scatola rinvenuta nell'abitazione del ricorrente e della borsa ritrovata chiusa nel deposito, documentazione che è altresì alla base dell'accertamento ai fini Iva, oggetto del presente giudizio. La sentenza impugnata non si è pronunciata su detto motivo, incorrendo nel vizio di omessa pronuncia su una o più domande ed eccezioni del contribuente contenute nel ricorso introduttivo, reiterate nelle controdeduzioni proposte in appello e in sede di riassunzione, in violazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 36, comma 2, n. 4 D.Lgs. n. 546/92. 1.1. - Il motivo è infondato perché verte su una questione irrilevante. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario l'efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino tributi diversi, trattandosi di imposte strutturalmente differenti, ancorché la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto Cass. 6 giugno 2018, n. 14596 Cass. 9 gennaio 2014, n. 235 Cass. 30 novembre 2009, n. 25200 . Nella specie, il presente giudizio riguarda la rettifica della dichiarazione Iva, mentre quello di cui si invoca il giudicato verte sull'accertamento Irpef. Nel giudicato invocato, in base a quanto riportato il ricorso, vengono evocati accertamenti propri delle imposte dirette ed estranei all'Iva come in riferimento al rapporto tra movimenti in entrata e uscita dei debiti e crediti o dei ricavi e dei costi . Stante la diversità delle fattispecie non sussistono pertanto i presupposti per considerare l'efficacia espansiva del giudicato. 2. - Con il secondo motivo si prospetta l'illegittimità della sentenza per violazione dell'articolo 52, commi 1, 2, 3 e 6, del D.P.R. n. 633 del 1972 e dell'articolo 12 della legge n. 212 del 2000, in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Parte ricorrente, al riguardo, contesta le modalità con cui sarebbe avvenuta l'ispezione, effettuata in locali diversi da quelli destinati ad attività commerciale tra cui l'abitazione del contribuente e alcuni locali utilizzati per uso promiscuo senza le necessarie autorizzazioni dell'autorità giudiziaria. L'irrituale acquisizione degli elementi probatori, disposta in violazione delle norme richiamate apertura di una borsa chiusa senza la previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria e utilizzo di documenti rinvenuti in una scatola di cartone presso l'abitazione del contribuente , determinerebbe l'annullamento dell'avviso in quanto basato su dati inutilizzabili. 2.1. Il motivo è fondato. In tema di accertamento dell'Iva, l'art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede, al primo comma, l'accesso degli impiegati dell'Amministrazione finanziaria presso i locali adibiti all'esercizio dell'attività commerciale, agricola, artistica o professionale, ovvero presso i locali adibiti ad uso promiscuo e, dunque, anche abitativo e, al secondo comma, l'accesso presso i locali adibiti ad uso diverso e, dunque, esclusivamente abitativo nel primo caso, è richiesta la semplice autorizzazione del capo dell'ufficio e del procuratore della Repubblica, senza l'indicazione di specifici presupposti, ponendosi tali autorizzazioni come meri adempimenti procedimentali, legati alla necessità che la perquisizione sia avallata da un'autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata nel secondo caso, invece, l'autorizzazione del procuratore della Repubblica presuppone la sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, trovando il suo fondamento nell'inviolabilità del domicilio di cui all'art. 14 Cost. Ne consegue che, in tale ultima ipotesi, l'effettiva sussistenza dei gravi indizi di violazione tributaria è soggetta alla verifica della legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva, che coinvolge la legittimità del procedimento accertativo su cui la stessa si fonda Cass. 18 dicembre 2014, n. 26829 . L'autorizzazione del P.M. all'accesso domiciliare, prevista in presenza di gravi indizi di violazione delle norme tributarie, dall'art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972 in materia di Iva costituisce pertanto un provvedimento necessario per la legittimità dell'accertamento e il giudice tributario, davanti al quale sia in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell'accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare l'esistenza del decreto del P.M. e la presenza in esso dei requisiti indispensabili atti a fondare l'accesso Cass. 11 ottobre 2017, n. 23824 . L'illegittimità o la mancanza del provvedimento di autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ai sensi dell'art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972, comporta l'inutilizzabilità delle prove acquisite in seguito a un accesso domiciliare, anche nel caso in cui il contribuente abbia consegnato spontaneamente la documentazione Cass. 15 gennaio 2019, n. 673 . Nel caso di specie, si è proceduto all'accesso in locali del contribuente diversi da quelli destinati a uso commerciale - adibiti a uso promiscuo o abitativo - in assenza di qualunque autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria. Si è inoltre provveduto, in mancanza di autorizzazione, all'apertura di una borsa chiusa e all'acquisizione di documenti rinvenuti in una scatola presso l'abitazione dell'attuale ricorrente. La documentazione acquisita con queste modalità illegittime è quindi inutilizzabile, per cui l'avviso di accertamento che si è basato su tali elementi probatori è a sua volta affetto da illegittimità. 3. - A seguito dell'accoglimento del secondo motivo, risultano assorbiti gli ulteriori motivi di doglianza riguardanti l'illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'articolo 54 D.P.R. n. 633 del 1972 e delle disposizioni degli articoli 2727 e 2729 c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c. terzo motivo con cui si contesta l'errata applicazione dei principi che regolano il procedimento di accertamento analitico-sintetico di cui all'articolo 54, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, avendo l'ufficio effettuato la rettifica basandosi unicamente sul dato indiziario rappresentato dal ritrovamento della documentazione acquisita, in violazione della disciplina vigente, in sede di accesso da parte dalla Guardia di Finanza e l'omessa, insufficiente, o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'articolo 360, comma 1, c.p.c. n. 5 quarto motivo, riguardo alla specificazione degli elementi di diritto e di fatto che avrebbero potuto legittimare l'Ufficio a rettificare i corrispettivi dichiarati dal ricorrente utilizzando esclusivamente le risultanze della documentazione extracontabile reperita senza alcun riscontro con altri elementi gravi, precisi e concordanti idonei ad assegnare al dato indiziario di partenza, rappresentato dal rinvenimento di taluna documentazione extracontabile, valore di presunzione semplice . 4. - Stante l'illegittimità dell'accesso della Guardia di Finanza, non essendo necessari altri accertamenti, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c. con l'accoglimento del ricorso introduttivo. 5. - Le spese dei gradi di merito vanno integralmente compensate tra le parti, sussistendo giusti motivi in ragione dello svolgimento della complessa vicenda processuale, mentre quelle di legittimità vanno poste a carico dell'Agenzia delle entrate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo. Compensa le spese di merito e condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di legittimità che liquida in Euro 7000,00 per onorari, oltre 15% per spese generali.