Autotutela e spese processuali nell’ambito del giudizio tributario

In materia di compensazione delle spese processuali seguenti all'annullamento in autotutela dell'atto impositivo, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell'atto si correla necessariamente la condanna alle spese qualora tale annullamento consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione.

Il caso. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8990 del 29/03/2019, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di autotutela e condanna al pagamento delle spese processuali. Nel caso di specie, la società contribuente ricorreva per cassazione avverso la sentenza con cui la CTR del Molise, nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA, emesso con riferimento agli anni di imposta 2012 e 2013, preso atto dell'annullamento dell'atto impositivo effettuato dall'Amministrazione finanziaria, aveva dichiarato estinto il giudizio con compensazione delle spese processuali. La contribuente deduceva davanti alla Suprema Corte la violazione e falsa applicazione degli artt. 44 e 46 d.lgs. n. 546/1992 e secondo la Cassazione il ricorso era fondato. Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l'articolo 44 d.lgs. n. 546/92, al comma 1, prevede che il processo si estingue per rinuncia al ricorso, ed al comma 2 che il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. Il successivo articolo 46 contempla poi l'ipotesi dell'estinzione parziale o totale del giudizio nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere, precisando, al successivo comma 3, che le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diversa disposizione di legge. La Corte ricorda che la Consulta, con sentenza n. 274 del 2005, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del predetto comma nelle ipotesi in cui si riferiva alla cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge. Ciò precisato, in materia di compensazione delle spese processuali seguenti all'annullamento in autotutela dell'atto impositivo, le predette disposizioni sono state quindi interpretate costantemente dalla Cassazione nel senso che Nel processo tributario, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell'atto in sede di autotutela non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, stante, invece, l'obiettiva complessità della materia chiarita da apposita norma interpretativa, costituendo in tal caso detto annullamento un comportamento processuale conforme al principio di lealtà, ai sensi dell'articolo 88 cod. proc. civ., che può essere premiato con la compensazione delle spese Cass., Ordinanza n. 22231 del 26/10/2011 Cass. n. 7273 del 2016, nonché Cass., Ordinanza n. 3950 del 14/02/2017 . Nel caso in esame era indubbio che l'atto impositivo fosse ab origine illegittimo, come riconosciuto dalla stessa Amministrazione finanziaria. E dunque, non essendosi la CTR attenuta al suddetto principio giurisprudenziale, la sentenza pronunciata andava cassata, con rinvio alla competente CTR per la regolamentazione delle spese. Osservazioni. In caso di cessazione della materia del contendere non segue, necessariamente, la condanna alle spese, secondo la regola della soccombenza virtuale. Anche in caso di autotutela da parte dell’Ufficio in corso di giudizio, qualora il riconoscimento consegua ad un comportamento processuale conforme al principio di lealtà, può conseguire la compensazione delle spese di lite, soprattutto quando tale comportamento non consegua ad una manifesta illegittimità dell'atto impugnato sin dal momento della sua emanazione. Con l’articolo 9, comma 1, lett. f , d.lgs. 156/2015 è stato peraltro modificato l’articolo 15 del Dlgs. n. 546 del 1992, rafforzando il principio in base al quale le spese del giudizio tributario seguono il principio della soccombenza. L’articolo 10, comma 1, lettera b , n. 10 della legge di delega aveva del resto previsto un maggior rigore nell'applicazione del criterio della soccombenza ai fini della condanna alle spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca. La possibilità di compensare, in tutto o in parte, le spese di giudizio è dunque ora tassativamente condizionata alle seguenti ipotesi alternative - soccombenza reciproca - sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamente motivate dal giudice, laddove tra le gravi ed eccezionali ragioni non rientrano sicuramente i motivi di equità, non altrimenti specificati. La compensazione immotivata delle spese di giudizio, rendendo inoperante il principio generale di responsabilità, si tradurrebbe infatti in un ingiustificato privilegio per la parte soccombente. Come poi chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza 274/2005 citata anche nella pronuncia in commento , che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 46, comma 3, d.lgs. n. 546/92 nella parte in cui precludeva la condanna alle spese dell’Amministrazione in caso di cessazione della materia del contendere, la compensazione ope legis delle spese nel caso di cessazione della materia si traduceva in un ingiustificato privilegio per la parte pubblica. Perciò l’Amministrazione finanziaria può oggi essere condannata alle spese anche quando ritira l'atto impugnato in pendenza di giudizio a meno che il giudice non opti per la pronuncia di compensazione, dando comunque contezza dei motivi che nel singolo caso giustificano una tale scelta . E naturalmente potrà essere condannato anche il contribuente che rinuncia al ricorso. Quanto stabilito dalla Corte costituzionale non esclude, tuttavia, che l’ufficio, anche in ipotesi di cessazione della materia del contendere a seguito di annullamento in autotutela, in presenza di determinate circostanze gravi ed eccezionali ragioni” , possa richiedere la compensazione delle spese processuali. L’ufficio potrebbe per esempio giustificare la richiesta di compensazione delle spese, esponendo le ragioni che hanno consentito l’adozione del provvedimento di annullamento soltanto in corso di giudizio, ad esempio, qualora l’illegittimità dell’atto sia emersa solo a seguito dell’esame della documentazione esibita e/o delle argomentazioni esposte in sede contenziosa, o solo a seguito di modifiche normative, pronunce della Corte costituzionale o della Corte Comunitaria, che abbiano indotto l’ufficio a rivedere la propria posizione. Conclusioni. Le gravi ed eccezionali ragioni che possono giustificare la compensazione delle spese devono essere indicate esplicitamente nella motivazione, e devono comunque riguardare specifiche circostanze della controversia decisa cfr. Cass. n. 16037/2014 . Tra tali gravi ed eccezionali ragioni potrebbero quindi anche rientrare, come detto, la novità, peculiarità od oggettiva incertezza delle questioni di fatto o di diritto che rilevano nello specifico caso, o modifiche normative, pronunce della Corte costituzionale o della Corte Comunitaria. Il provvedimento di autotutela sopravvenuto, se elimina l'oggetto della controversia, facendo venire meno l'interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio, tuttavia non esclude la verifica della soccombenza virtuale della parte che ha dato luogo alla cessata materia del contendere. Il decreto legislativo n. 546 del 1992 contempla del resto tre diverse modalità di estinzione del processo tributario - rinuncia al ricorso articolo 44 - inattività delle parti articolo 45 - cessazione della materia del contendere articolo 46 . E la causa di estinzione che suscita più interesse sul piano interpretativo è sicuramente quella disciplinata dall’articolo 46 del decreto legislativo 546 del 1992, che contempla l’estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere. Nel tentativo di tipizzare le cause di estinzione previste dalla norma citata e senza pretesa di esaustività, esse potrebbero identificarsi con i seguenti eventi - adesione al c.d. condono fiscale - intervenuto annullamento in autotutela dell’atto impugnato, ovvero avvenuto riconoscimento del rimborso in corso di causa - conciliazione giudiziale o extragiudiziale. L’impropria collocazione sistematica del fenomeno della cessazione della materia del contendere tra le norme del processo tributario che disciplinano i casi di estinzione del giudizio articolo 46 d.lgs. n. 546/1992 è comunque fonte di evidenti equivoci. La cessazione della materia del contendere si ha infatti a causa della sopravvenuta carenza d'interesse della parte alla definizione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del processo fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto, senza che neppure debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza o infondatezza delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perché, altrimenti, il rapporto controverso riceverebbe una regolamentazione nel merito espressamente favorevole ad una delle parti, con conseguente soccombenza dell'altra, e non vi sarebbero neppure i presupposti per procedere all'accertamento di una soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese. Il fatto determinativo della cessazione della materia del contendere, quindi, non coincide con la condotta processuale con la quale si rinuncia alla pretesa, nè con la condotta processuale diretta alla rinuncia agli atti del giudizio, che deve peraltro essere accettata dalle parti che hanno interesse a proseguire il giudizio, e neppure con altre condotte processuali omissive inerzia delle parti nel proseguire o riassumere il giudizio od integrare il contraddittorio cui viene ricondotto l'effetto estintivo del giudizio articolo 45 Dlgs n. 546/1992 . Tanto premesso, il provvedimento di autotutela sopravvenuto, se elimina l'oggetto della controversia, facendo venire meno l'interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio, non esclude la verifica della soccombenza virtuale della parte che ha nella specie dato luogo alla cessata materia del contendere e su questo il giudice di merito deve espressamente pronunciarsi.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 29 gennaio – 29 marzo 2019, n. 8990 Presidente Greco – Relatore Luciotti Rilevato che 1. La società contribuente ricorre per cassazione con un unico motivo di diritto, cui non replica l'intimata, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la CTR del Molise, in controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA emesso con riferimento agli anni di imposta 2012 e 2013, preso atto dell'annullamento dell'atto impositivo effettuato dall'amministrazione finanziaria, dichiarava estinto il giudizio con compensazione delle spese processuali 2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio. Considerato che 1. Il motivo di ricorso, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 44 e 46, è fondato e va accolto. 2. Invero, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 44, comma 1 prevede che il processo si estingue per rinuncia al ricorso, ed al comma 2 che il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. Il successivo art. 46 contempla l'ipotesi dell'estinzione parziale o totale del giudizio nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere, precisando al successivo comma 3, che le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diversa disposizione di legge. Orbene, la Corte costituzionale con sentenza n. 274 del 2005 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del predetto comma nelle ipotesi in cui si riferisce alla cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge. La Corte delle leggi ha specificato che l'obbligo imposto da detto comma al giudice stesso di lasciare, in caso di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere , le spese processuali a carico della parte che le ha anticipate integrava una ipotesi di vera e propria compensazione ope legis di quelle spese. Siffatta sostanziale compensazione , quindi, siccome disposta peraltro solo per le ipotesi contemplate dal legislatore perciò ope legis , intuitivamente, è, ontologicamente, diversa dalla operazione logica, effetto di apposito giudizio, di compensazione delle medesime spese, consentita al giudice dalla seconda parte del medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, la commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell'art. 92 c.p.c., comma 2 , come deroga alla generale previsione della prima parte dello stesso art. 15, per la quale la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio da liquidare con la sentenza così in Cass. n. 19947 del 2010 . 4. Orbene, nel caso in esame è indubbio che l'atto impositivo fosse ab origine illegittimo, come riconosciuto dalla stessa amministrazione finanziaria nell'istanza - riprodotta per autosufficienza a pag. 3 del ricorso in esame -con cui ha chiesto ai giudici di appello di dichiarare l'estinzione del giudizio per cessata materia del contendere ritenendo inappropriato ed illegittimo il recupero credito IVA effettuato con l'atto OMISSIS , non rientrando il caso di specie nelle ipotesi di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421 . 5. Da quanto detto consegue che, non essendosi la CTR attenuta al suddetto principio giurisprudenziale, la sentenza dalla medesima pronunciata va cassata, in accoglimento del motivo di ricorso in esame, con rinvio alla competente CTR per la regolamentazione delle spese, trattandosi di attività che presuppone un accertamento in fatto devoluto al Giudice di merito. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Molise cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.