Pace fiscale, dovuto il 90% in caso di annullamento con rinvio

La sentenza non è considerata pendente in Cassazione bensì in primo grado. A fare luce sul corretto funzionamento della definizione agevolata è una nuova risposta delle Entrate.

Ai fini della cd. pace fiscale, chi non riassume il processo a seguito di una sentenza di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione potrà definire la controversia con il pagamento del 90% del valore, come previsto per i ricorsi pendenti in primo grado, e non del solo 5%, previsto per le controversie tributarie pendenti in terzo grado. A fornire l'importante chiarimento è la risposta n. 84 pubblicata il 26 marzo 2019 dall'Agenzia delle Entrate. Le norme di riferimento. La questione riguarda la definizione delle liti pendenti in cui è parte l’Agenzia delle entrate con il versamento di un importo commisurato al valore della controversia, prevista dall'art. 6, d.l. n. 119/2018. Detta norma stabilisce che in caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90% del valore della controversia. Nel caso in cui l’Agenzia sia stata dichiarata soccombente, le liti pendenti possono essere definite con il pagamento - del 40% del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado - del 15% del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado. Mentre, infine, le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione per le quali l’Agenzia delle entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, possono essere definite con il versamento di una somma pari al 5% del suo valore. Il caso. La vicenda riguarda l'annullamento in primo grado, confermato in secondo grado, di un avviso di accertamento cui ha fatto seguito l'annullamento con rinvio della sentenza di appello da parte della Corte di Cassazione. Nelle more dei termini per la riassunzione del giudizio, è stata introdotta la possibilità di definire le controversie tributarie pendenti. Da qui il dubbio dell'istante in merito a quale somma debba pagare per definire la controversia in via agevolata. Le indicazioni delle Entrate. Per l'Agenzia la lite del contribuente è da considerarsi pendente in primo grado e non innanzi alla Cassazione. Nella Risposta si legge Nel presupposto che in caso di mancata riassunzione - in esito al rinvio operato dalla Corte di Cassazione - si consoliderebbe l’originario atto impositivo, ai fini della definizione della controversia in parola risulta dovuto un importo commisurato al 90 per cento del relativo valore, analogamente a quanto previsto per i ricorsi pendenti dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado . Fonte fiscopiu.it

Agenzia_delle_Entrate_Risposta_26_marzo_2019_n._84