Onere della prova ai fini della detrazione ICI per abitazione principale

Ai fini della spettanza della detrazione ICI, si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo prova contraria con cui il contribuente dimostri che, in caso di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, possa essere riservata alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per l'abitazione principale. Tale prova deve comunque riguardare l'effettivo utilizzo dell'unità immobiliare quale dimora abituale dell’intero nucleo familiare del contribuente.

Il caso. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6634 del 07/03/2019, ha chiarito il concetto di onere della prova ai fini della dimostrazione del presupposto per usufruire della detrazione ICI per abitazione principale. Nel caso di specie il Comune affermava il diritto alla imposta integrale sulla base del fatto che mancava il presupposto per l'agevolazione, consistente nella residenza anagrafica, ovvero nella circostanza che il contribuente, che possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale l'abitazione, vi dimori abitualmente con i suoi familiari. Il contribuente ricorreva per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio, la quale ne aveva rigettato l'appello rilevando che, essendo la materia dell'agevolazione tributaria di stretta interpretazione, è quindi sempre onere del richiedente dimostrare la sussistenza dei presupposti per beneficiare dell'agevolazione stessa. E nel caso in esame tale prova era mancata. In particolare, i giudici di merito, richiamando il disposto dell'art. 8 del d.lgs. n. 504/1992, affermavano che il ricorrente non aveva dimostrato, per gli anni in esame, che l'immobile in questione era adibito ad abitazione principale sua e dei suoi familiari. Il ricorrente, nell’impugnare la sentenza, lamentava quindi, tra le altre, la violazione dell'art. 8 del d.lgs. 504/92, nonché dell'art. 4 del d.lgs. 437/96, oltre che degli artt. 43, 2727 e 2729 c.c., per avere i giudici territoriali a suo avviso erroneamente valutato le prove offerte a dimostrazione che l'immobile oggetto dell'atto impositivo era effettivamente destinato alla residenza del contribuente. Con un secondo motivo di impugnazione il contribuente deduceva poi la violazione dell'art. 54, comma 5, d.lgs. n. 504/92, nonché dell'art. 23 d.lgs. 546/92 e dell’art. 111 della Cost, per avere la CTR disatteso l'eccezione secondo la quale la tardiva costituzione della controparte determinava l'inammissibilità delle prove e dei documenti offerti dall’Ufficio e sostenendo la decadenza dell'amministrazione comunale dalle eccezioni di residenza, di dimora abituale, di effettiva utilizzazione dell'immobile . La decisione. Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato. Quanto alla seconda eccezione, i giudici di legittimità rilevano che, in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima, non trova applicazione la preclusione di cui all'art. 345, comma 3, c.p.c., essendo la materia regolata dall'art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado. Per altro verso, la Corte rileva del resto che le difese svolte dal Comune non integravano comunque eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, anche considerato che l'Amministrazione fonda sempre la sua pretesa su un atto preesistente al processo l’avviso di accertamento , nel quali, i fatti costitutivi sono stati già allegati ed individuati. E dunque non è possibile affermare l’esistenza, in capo all'Amministrazione, di un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell'atto impositivo. Il primo motivo di impugnazione, con cui il ricorrente censurava la non corretta valutazione delle prove offerte nel giudizio di merito per dimostrare che l'immobile costituiva residenza effettiva del contribuente, in quanto acquistato nel luogo di lavoro, secondo la Cassazione, era invece inammissibile. I giudici di legittimità rilevano peraltro che la censura non coglieva la ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata, che aveva escluso l'agevolazione sul presupposto che il beneficio spetta solo se nell'abitazione dimorano abitualmente sia il contribuente che i suoi familiari, non essendo sufficiente, per il diritto alla detrazione, che il contribuente dimori abitualmente nell'unità immobiliare, se i suoi familiari vivono altrove. La sentenza della CTR si era dunque conformata al principio di diritto già affermato dalla Cassazione e ribadito con la sentenza n. 26947/2017, in base al quale In tema d'imposta comunale sugli immobili ICI , ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica , dall'art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 come modificato dall'art., comma 173, lett. b , della L. n. 296 del 2006, con decorrenza dall'1 gennaio 2007 , occorre che il contribuente provi che l'abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo v. in senso conforme anche Cassazione, ordinanze nn. 15444/17, 12299/17, 13062/17, 12050/10 . La Corte rileva poi che la detrazione di cui all'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504/1992, il quale dispone che per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente , non è indissolubilmente legata alla residenza anagrafica, e ciò non è affatto contraddetto, ma semmai reso più evidente dalla modifica normativa apportata dall'art. 1, comma 173, l. n. 296 del 2006, a tenore del quale, al comma 2 dell'articolo 8, dopo le parole adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica”, limitandosi la norma ad introdurre una presunzione relativa e non superando quindi il concetto di abitazione principale fondato sul criterio della dimora abituale. La modifica legislativa del 2006, evidenzia ancora la Corte, deve pertanto essere letta nel senso che - con effetto dall'annualità d'imposta 2007 - si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria, che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per l'abitazione principale . E tale prova, sottolinea la Suprema Corte, deve comunque riguardare l'effettivo utilizzo dell'unità immobiliare quale dimora abituale dell’intero nucleo familiare del contribuente cfr., Cass. n. 13062/2017 Cass. n. 14398/2010 . Conclusioni. Le agevolazioni fiscali sono notoriamente di stretta interpretazione e richiedono, per essere riconosciute, la sussistenza dei presupposti previsti tassativamente dalla normativa di riferimento. E dunque, nei casi come quello in esame, se non viene dimostrato, da parte del contribuente, che l'abitazione oggetto dell'atto impositivo costituiva, nell'anno in contestazione, dimora abituale non solo propria, ma anche del proprio nucleo familiare, la detrazione non potrà spettare. In via più generale, si evidenzia del resto , come indicato in Circolari e Risoluzioni del Mef vedi innanzitutto Circomma 3/DF del 18.05.2012 , per abitazione principale si deve intendere l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente, avendo voluto il legislatore collegare i benefici dell’abitazione principale e delle sue pertinenze al possessore e al suo nucleo familiare, unificando il concetto di residenza anagrafica e di dimora abituale. Ai fini del riconoscimento dell'agevolazione prevista dall'art. 8 del d.lgs. n. 504/1992 per l'immobile adibito ad abitazione principale, le risultanze anagrafiche rivestono peraltro un valore solo presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono dunque essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito. La questione, in sostanza, si sposta, in questi casi, sul piano della prova.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 24 gennaio – 7 marzo 2019, numero 6634 Presidente De Masi - Relatore Balsamo Rilevato che 1. Gi. Fa. ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza numero 4156/04/2014 della CTR del Lazio che ha rigettato l'appello del contribuente, disattendendo le eccezioni preliminari sollevate in merito alla tardiva costituzione del Comune in primo grado e alla conseguente inammissibilità della produzione documentale nel giudizio di gravame, e respingendo le tesi del ricorrente, sulla base del principio che la materia dell'agevolazione tributaria è di stretta interpretazione, ragion per cui è onere del richiedente dimostrare la sussistenza dei presupposti per beneficiare dell'agevolazione. 2. In particolare, i giudici regionali, nel citare il disposto dell'articolo 8 D.Lgs. numero 5904/1992, affermavano che il ricorrente non aveva dimostrato per gli anni di imposta 2005 e 2006 che l'immobile in Roma era adibito ad abitazione principale sua e dei suoi familiari. 3. Il Comune resiste con controricorso. 4. Con il primo motivo si lamenta violazione dell'articolo 8 del D.Lgs. 504/92 nonché dell'articolo 4 del D.Lgs. 437/96 in relazione all'articolo 1 comma 2 del D.Lgs. 546/92 nonché dell'articolo 116 c.p.c. e degli artt. 43,2727 e 2729 c.c., per avere i giudici territoriali erroneamente valutato le prove offerte a dimostrazione che l'immobile oggetto dell'atto impositivo era effettivamente destinato alla residenza effettiva del contribuente. 5. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell'articolo 54 comma 5 D.Lgs. numero 504 /92, nonché dell'articolo 23 D.Lgs. 546/92 in relazione all'articolo 1 comma 2 D.Lgs. 546/92, artt. 116 c.p.c. e articolo 111 della Cost, per avere i giudici territoriali disatteso l'eccezione secondo la quale la tardiva costituzione della controparte determinava l'inammissibilità delle prove e dei documenti offerti a dimostrazione dell'eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio, sostenendo la decadenza dell'amministrazione comunale dalle eccezioni di residenza, di dimora abituale, di effettiva utilizzazione dell'immobile . 6. Deve essere preliminarmente esaminata la seconda censura. Essa è priva di pregio. 7. In materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. numero 546 del 1992 - in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima - non trova applicazione la preclusione di cui all'articolo 345, comma 3, c.p.c. nel testo introdotto dalla L. numero 69 del 2009 , essendo la materia regolata dall'articolo 58, comma 2, del citato D.Lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado ex plurimus Cass. 2017/27774 . Per altro verso, le mere difese svolte dal Comune non integrano affatto eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio. Al riguardo, non può trascurarsi che l'amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quali, i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da guanto dal contribuente ritenuto. Donde l'onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dall'articolo 23 del D.Lgs. numero 546 del 1992, non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all'amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell'atto impositivo. A tal proposito, osserva la Corte che il processo era stato instaurato per affermare il diritto alla imposta integrale ICI sulla base del fatto che il presupposto per l'agevolazione è la residenza anagrafica ovvero che il contribuente che possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale l'abitazione vi dimori abitualmente con i suoi familiari. 8. Il primo motivo è inammissibile. Con esso, il ricorrente censura la non corretta valutazione delle prove offerte nel giudizio di merito per dimostrare che l'immobile in Roma costituiva residenza effettiva del contribuente, in quanto acquistato nel luogo di lavoro. La doglianza tuttavia non attinge la ratio decidend posta a fondamento della decisione impugnata, che ha escluso l'agevolazione sul presupposto che il beneficio spetta solo se nell'abitazione dimorano abitualmente sia il contribuente che i suoi familiari, non essendo sufficiente all'insorgere del diritto alla detrazione che il contribuente dimori abitualmente nell'unità immobiliare se i suoi familiari vivono altrove. La sentenza della CTR si è conformata al principio di diritto affermato da questa Corte e ribadito con la sentenza numero 26947/2017 In tema d'imposta comunale sugli immobili ICI , ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica , dall'articolo 8 del D.Lgs. numero 504 del 1992 come modificato dall'arti, comma 173, lett. b , della I. numero 296 del 2006, con decorrenza dall'i gennaio 2007 , occorre che il contribuente provi che l'abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo . In applicazione di questo principio, la Corte ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la detrazione sulla base dell'accertamento che l'immobile de quo costituisse dimora abituale del solo ricorrente e non della di lui moglie v. anche Cassazione, ordinanze nnumero 15444/17, 12299/17, 13062/17, 12050/10 . L' invocata detrazione di cui all'articolo 8, comma 2, D.Lgs. numero 504 del 1992, il quale, come noto, dispone che per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e / suoi familiari dimorano abitualmente , non è indissolubilmente legata alla residenza anagrafica, e ciò non è affatto contraddetto ma semmai reso più evidente dalla modifica normativa apportata dall'articolo 1, comma 173, L. numero 296 del 2006 Finanziaria 2007 , a tenore della quale al comma 2 dell'articolo 8, dopo le parole adibita ad abitazione principale del soggetto passivo sono inserite le seguenti , intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, che si limita ad introdurre una presunzione relativa e non supera il concetto di abitazione principale fondato sul criterio della dimora abituale di cui si è prima detto. La modifica legislativa del 2006 deve essere letta nel senso che - con effetto dall'annualità d'imposta 2007 - si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per l'abitazione principale , prova che deve comunque riguardare l'effettivo utilizzo dell'unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo famigliare del contribuente Cass. numero 13062/2017 Cass. numero 14398/2010 . In mancanza di detta prova, il ricorso deve essere respinto con aggravio di spese. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dal Comune resistente che liquida in Euro 600,00, oltre rimborso forfettario e accessori come per legge. - Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.