Presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento in caso di reato

Il raddoppio dei termini di accertamento, nella disciplina vigente ratione temporis, non costituivano una proroga di quelli ordinari, ma operavano automaticamente in presenza della sussistenza dell'obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74/2000. Laddove la denuncia sia intervenuta a termine ordinario di accertamento già scaduto, non può, pertanto, parlarsi di riapertura o proroga di termini scaduti, poichè i termini brevi e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse.

Il raddoppio dei termini, del resto, presuppone unicamente l'obbligo di denuncia penale, ai sensi dell'art. 331 c.p.p. e non anche la sua effettiva presentazione, né ha alcuna rilevanza l’eventuale prescrizione del reato o l’esito del procedimento penale, dato che, considerato il regime di doppio binario tra giudizio penale e procedimento tributario, ciò che interessa è solo l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato. Il caso. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31639/18, depositata il 6 dicembre, ha chiarito quali sono i presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento in caso di notizia di reato. Nel caso di specie, il contribuente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la quale era stato rigettato l'appello contro la decisione di primo grado, che aveva rigettato il ricorso del contribuente, avendo i giudici ritenuto che l'Ufficio non era decaduto dal potere accertativo, in assenza di tempestiva comunicazione di reato, dovendosi valutare unicamente la sussistenza astratta dell'illecito penale. Il ricorrente prospettava, con il primo motivo, la violazione dell'art. 43 d.P.R. n. 600/73 e del d.lgs. n. 74/2000, deducendo che il raddoppio dei termini non poteva operare quando il termine ordinario per la notifica dell'accertamento era già maturato al momento della presentazione della denuncia penale. La censura, secondo la Suprema Corte era infondata. Raddoppio del termine. Evidenziano infatti i Giudici di legittimità che, come già più volte ricordato in precedenti pronunzie, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247/2011, ha precisato che i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una proroga di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell'amministrazione finanziaria procedente, in presenza di eventi peculiari ed eccezionali . Al contrario, i termini raddoppiati sono anch'essi termini fissati direttamente dalla legge, operando automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, rappresentata dalla sussistenza dell'obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74/2000, senza che all'Amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. Ne consegue quindi che i termini raddoppiati non si innestano su quelli brevi , di cui ai primi due commi dell'art. 57 d.P.R. n. 633/1972, in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano autonomamente, allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale. Non può, pertanto, parlarsi di riapertura o proroga di termini scaduti , nè di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti , poichè i termini brevi e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento cfr. Cass. n. 1117/17, Cass. n. 7805/16 . Denuncia penale. Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente deduceva poi la violazione dell'art. 43 d.P.R. n. 600/73 e del d.lgs. n. 74/2000, affermando che il raddoppio dei termini non potrebbe operare se al momento della presentazione della denuncia il presunto reato sia prescritto e, comunque, in caso di mancata produzione in giudizio della denuncia penale. Anche queste censure, secondo la Cassazione, erano infondate. I Giudici ricordano infatti che, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto nei testi applicabili ratione temporis , presupponeva unicamente l'obbligo di denuncia penale, ai sensi dell'art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74/2000 e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011. Essendo stato altresì precisato che il raddoppio opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficiale, gli elementi richiesti dall'art. 331 c.p.p Per l'insorgenza dell'obbligo di denuncia penale, tale obbligo sussistendo quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare. E, con specifico riferimento all'incidenza della prescrizione ai fini del raddoppio, la Corte evidenzia che, ai fini di specie, rileva unicamente la sussistenza dell'obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall'esito del relativo procedimento e nonostante l'eventuale prescrizione del reato, poiché ciò che interessa è solo l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato, atteso il regime di doppio binario tra giudizio penale e procedimento tributario cfr. Cass. n. 9322/17 . Presupposti di operatività del raddoppio dei termini di accertamento e tempus regit actum. La valutazione operata dagli uffici tributari, ai fini della sussistenza delle condizioni per il raddoppio dei termini, è soggetta a controllo di congruenza da parte del giudice tributario, che dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora c.d. prognosi postuma circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Vero è però che, secondo il prevalente indirizzo della Corte di Cassazione, ai fini del raddoppio dei termini, per come disposto dalla normativa applicabile ratione temporis, non è in realtà neppure necessaria l'effettiva presentazione della denuncia. Come statuito dalla Consulta richiamata anche nella sentenza in commento , l'unica condizione per il raddoppio è infatti costituita dalla sussistenza dell'obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia. Così si è espressa, per esempio, anche la Cassazione con l’ordinanza n. 11171/16, con cui, in sostanza, i giudici hanno respinto la tesi, raggiunta da varie sentenze di merito, secondo cui la l. n. 208/15 avrebbe implicitamente abrogato la normativa transitoria già prevista dal d.lgs. n. 128/15, essendo quindi necessario che, affinchè operi il raddoppio dei termini, la denuncia sia presentata entro i termini decadenziali di accertamento. La Corte, richiamando espressamente la disciplina applicabile ratione temporis ”, sposa invece la tesi dell’operatività del principio tempus regit actum” . La natura procedimentale delle norme in esame comporta infatti che si applica il principio che impone di tener presente la situazione di fatto e di diritto vigente al momento dell’emissione del provvedimento, determinando l’indifferenza dell’atto, emanato in base a norme procedimentali in quel momento vigenti, alle successive modifiche normative. Vero è che con il d.lgs. n. 128/15, art. 2, tale regime era stato già modificato, stabilendosi che il raddoppio dei termini di accertamento non operava qualora la denuncia fosse stata presentata oltre la scadenza ordinaria dei termini di decadenza e vero è che il comma 3 dello stesso articolo prevedeva una disciplina transitoria, in base alla quale erano fatti salvi gli effetti degli avvisi notificati alla data di entrata in vigore del decreto. Ma, sia allora, che ora, con la nuova disciplina che supera il sistema del raddoppio per allungare tutti gli ordinari termini di accertamento , non c’era in realtà bisogno di alcuna clausola di salvaguardia, dato che le norme procedimentali sono di per sè regolate dal principio del tempus regit actum . La nuova” disciplina sui termini di accertamento. Con la nuova normativa si è comunque proceduto ad una più generale e coerente risistemazione dei termini di accertamento tributario, laddove, in caso di infedele dichiarazione, si aumenta il termine per l’accertamento di un anno, portandolo da 5 a 6. La nuova previsione, relativa al caso di omessa presentazione di dichiarazione e, in aggiunta alla vigente versione, di presentazione di dichiarazione nulla, aumenta poi il termine per l’accertamento di tre anni, portandolo da 6 a 9. E’ stato così abrogato il raddoppio dei termini di accertamento in caso di denuncia penale per uno dei reati di cui al d.lgs. n. 74/2000, essendosi allungati, notevolmente nel caso della omessa dichiarazione, tutti gli ordinari termini di accertamento.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - T, ordinanza 25 ottobre – 6 dicembre 2018, n. 31639 Presidente Iacobellis – Relatore Conti Fatti e ragioni della decisione R.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell'Agenzia delle entrate che si è costituita con controricorso , avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia indicata in epigrafe, con la quale - in controversia concernente l'avviso di accertamento notificato per la ripresa a tassazione di IRES, IVA e IRAP per gli anni 2005/2007 - è stato rigettato l'appello contro la decisione di primo grado, che aveva rigettato il ricorso del contribuente, ritenendo che l'Ufficio non era decaduto dal potere accertativo, in assenza di comunicazione di reato, dovendosi valutare unicamente la sussistenza astratta dell'illecito penale. Il ricorrente ha depositato memoria. Il ricorrente prospetta, con il primo motivo, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 43 e del D.Lgs. n. 74 del 2000, deducendo che il raddoppio dei termini non potrebbe operare quando il termine ordinario per la notifica dell'accertamento era già maturato al momento della presentazione della denuncia penale. La censura è infondata. Ed invero, come già più volte ricordato in precedenti pronunzie la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247/2011 ha precisato che i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una proroga di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell'amministrazione finanziaria procedente, in presenza di eventi peculiari ed eccezionali . Al contrario, i termini raddoppiati sono anch'essi termini fissati direttamente dalla legge, operando automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva rappresentata dalla sussistenza dell'obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, senza che all'amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. Ne consegue che i termini raddoppiati non si innestano su quelli brevi di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 57, commi 1 e 2, in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorchè sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000. Non può, pertanto, parlarsi di riapertura o proroga di termini scaduti nè di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti , poichè i termini brevi e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento - cfr. Cass. n. 1117/2017, Cass. n. 7805/2016, ove si è ulteriormente chiarito che i termini brevi di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 57, commi 1 e 2, operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l'obbligo di denuncia penale di reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, mentre i termini raddoppiati di cui allo stesso articolo 57, comma 3, sono destinati ad applicarsi in presenza di violazioni tributarie per le quali v'è l'obbligo di denuncia . La sentenza impugnata si è dunque adeguata ai superiori principi e resiste ai rilievi censori prospettati dal ricorrente. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 43 e del D.Lgs. n. 74 del 2000. Si deduce che il raddoppio dei termini non potrebbe operare se al momento della presentazione della denuncia il presunto reato era prescritto. Con il terzo motivo si prospetta, altresì, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 43 e del D.Lgs. n. 74 del 2000, in relazione al fatto che il raddoppio dei termini per l'accertamento non potrebbe operare in caso di mancata produzione in giudizio della denunzia penale. Le censure meritano un esame congiunto e sono solo infondate. Occorre rammentare che in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 43, comma 3 e D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 57, comma 3, nei testi applicabili ratione temporis , presuppone unicamente l'obbligo di denuncia penale, ai sensi dell'articolo 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011 - cfr. Cass. n. 11117/2016, Cass. n. 30092/2017-. Si è inoltre precisato che il raddoppio opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficiale, gli elementi richiesti dall'articolo 331 c.p.p. per l'insorgenza dell'obbligo di denuncia penale, tale obbligo sussistendo quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare -cfr. Cass. n. 7805/2016, cit.-. Inoltre, con specifico riferimento all'incidenza della prescrizione ai fini del raddoppio, si è poi specificato ulteriormente che In tema di accertamento tributario, ai fini del raddoppio dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 43, nella versione applicabile ratione temporis , rileva unicamente la sussistenza dell'obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall'esito del relativo procedimento e nonostante l'eventuale prescrizione del reato, poichè ciò che interessa è solo l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato, atteso il regime di doppio binario tra giudizio penale e procedimento tributario -cfr. Cass. n. 9322/2017 Fermi i superiori principi, le due censure proposte dal ricorrente sono dunque palesemente infondate, non rilevando ai fini del raddoppio nè la presentazione in giudizio della denunzia, nè l'eventuale prescrizione del reato. Il ricorso va quindi rigettato, non potendosi esaminare la questione, introdotta soltanto in memoria, relativa alla non applicabilità del raddoppio dei termini per il tributo IRAP. Le spese seguono la soccombenza, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, commi 1 bis e 1 quater. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell'Agenzia delle entrate in Euro 5000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, commi 1 bis e 1 quater.