È riferibile al professionista il conto corrente intestato ai genitori?

È legittimo l'accertamento fondato sulle indagini bancarie dei conti correnti dei genitori del contribuente a maggior ragione se sullo stesso contribuente esiste una delega a operare e per alcuni movimenti è stata confermata la riconducibilità alla propria attività di libero professionista.

Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 22089 del 11 settembre 2018. Il caso. A seguito di verifica fiscale ad un professionista da parte della Guardia di Finanza, sono stati contestati al contribuente, con apposito PVC, maggiori ricavi non dichiarati, sulla base della documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso e delle movimentazioni bancarie sul c/c del verificato cointestato col coniuge e dei suoi genitori. Pertanto, il Fisco ha notificato a un professionista un avviso di accertamento fondato, oltre che sulle risultanze di documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso, anche sulle movimentazioni bancarie. In particolare, il Fisco ha verificato i conti correnti intestati al contribuente e quelli intestati ai genitori, sul quale il contribuente stesso disponeva di delega ad operare. Il Giudice di prima istanza ha annullato la pretesa in toto. Il Giudice del gravame ha accolto l’appello del Fisco limitatamente ad alcuni movimenti su uno dei conti intestati ai genitori i quali erano stati espressamente riconosciuti dal contribuente come riconducibili all'attività professionale. Il Fisco ha proposto ricorso in Cassazione lamentando, tra i diversi motivi, un'errata applicazione della norma in tema di indagini bancarie. L’Amministrazione ha impugnato la sentenza di secondo grado, lamentando l’omessa valutazione da parte di Giudici degli elementi raccolti in sede di verifica e della presunzione prevista in favore dell’Ufficio per i versamenti sui c/c. Necessaria la prova analitica della riferibilità o dell’estraneità di ogni singola movimentazione rispetto ai redditi dichiarati. Gli Ermellini, in accoglimento del ricorso in Cassazione, hanno precisato che per superare la presunzione posta a carico del contribuente non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell'affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che sia fornita prova analitica della riferibilità ovvero estraneità di ogni singola movimentazione rispetto ai redditi dichiarati. Il rapporto di stretta contiguità familiare consente, peraltro, di applicare la presunzione anche per le movimentazioni intestate a parenti per le quali il contribuente non fornisca specifiche giustificazioni. La ratio di tale estensione è radicata nella circostanza che è particolarmente elevata la probabilità che sui conti bancari di soci o di familiari si possano versare somme del soggetto sottoposto a verifica. Nel caso in esame, gli Ermellini hanno statuito che il Giudice del gravame ha immotivatamente escluso la riferibilità al contribuente per le somme rinvenute sui conti dei genitori. L'esclusione risultava ingiustificata anche alla luce del fatto che il contribuente aveva la delega ad operare su tali conti e che egli stesso aveva confermato l'utilizzo professionale, relativamente a quattro operazioni. Tali elementi erano sintomatici della riconducibilità delle movimentazioni al contribuente non intestatario del conto e pertanto su di esso si spostava l’onere della prova contraria liberatoria, da fornirsi su ogni specifico versamento, dimostrando cioè la riferibilità di essi al formale titolare del conto ovvero in ogni caso la loro estraneità alla propria attività professionale e non dichiarata. Con l’ordinanza n. 22089, depositata l’11 settembre 2018, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Ufficio, cassando con rinvio la sentenza della CTR. La Suprema Corte ha precisato che il Giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente per ogni singola operazione. Conclusioni. La riferibilità ad un contribuente delle movimentazioni rinvenute su un conto corrente intestato a terzi è possibile se tra i soggetti c’è un legame di parentela stretto, se il contribuente abbia la delega ad operare su tale conto e se in esso siano confluite operazioni relative all’attività professionale del soggetto verificato. A fronte della sussistenza di tali elementi, si configura una presunzione legale in favore dell’Ufficio e spetta al contribuente dimostrare, in maniera precisa ed analitica, la non imponibilità di ogni singola operazione, ovvero la riferibilità delle stesse a soggetti terzi. Sussiste una presunzione legale iuris tantum in favore dell’Ufficio, con necessità per il contribuente di fornire prova analitica e non generica della riferibilità delle movimentazioni contestate ad operazioni già riportate nella dichiarazione dei redditi, ovvero estranee alla propria attività lavorativa. Detta presunzione si applica anche con riferimento ai conti formalmente intestati a parenti essendo elevata la possibilità che le movimentazioni sugli stessi possano essere riferibili al soggetto verificato in sintesi, lo stretto rapporto familiare giustifica, salvo prova contraria, la presunzione di cui sopra a favore dell’Amministrazione. È possibile sottoporre ad indagine i conti bancari intestati esclusivamente a terzi o familiari es. coniuge in presenza di presunzioni idonee a ritenere che tali conti siano stati utilizzati nell'attività commerciale dell'impresa del contribuente indagato. Una volta acclarate tali presunzioni - anche semplici, purché dotate di gravità, precisione e concordanza - prende vigore l'inversione dell’onere della prova per cui sarà il contribuente a dover provare l'estraneità delle operazioni all'attività commerciale Cass., sez. T, n. 17390/2010 . In presenza di un conto bancario non intestato al contribuente, ma ad un suo familiare, i verbalizzanti prima, e l’Ufficio in seguito, possono sottoporre ad indagine i conti bancari intestati esclusivamente a terzi o familiari nella specie, al coniuge in presenza di presunzioni idonee a ritenere che tali conti siano stati utilizzati nella attività commerciale della impresa del contribuente indagato. Una volta acclarate tali presunzioni anche semplici, purché dotate di gravità, precisione e concordanza prende vigore la inversione dell’onere della prova ai sensi dell'art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600/1973. Pertanto, è il contribuente che deve provare la estraneità delle operazioni alla attività commerciale, e non l’Ufficio il contrario. Onere del Fisco del carattere di intestazione fittizia del conto. Per completezza di informazione giova osservare che l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dagli artt. 32, comma 1 nn. 2 e 7, d.P.R. n. 600/1973 e 51, comma 2 nn. 2 e 7, d.P.R. n. 633/1972, le movimentazioni dei conti correnti bancari intestati ai soci, tenuto conto del fatto che, le peculiari caratteristiche della compagine sociale sono idonee a far presumere, salva la facoltà di provare la diversa origine delle entrate, la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari nonché ad identificare in concreto gli interessi economici perseguiti dalla società con quelli stessi dei soci mentre l’utilizzazione delle risultanze dei conti correnti bancari intestati esclusivamente a soggetti diversi, ancorché legati ai soci da vincoli familiari è illegittimo, salvo che l’Ufficio alleghi e comprovi, in relazione alle circostanze del caso concreto, il carattere fittizio dell’intestazione del conto o, comunque, la sostanziale riferibilità alla società o ai soci delle posizioni creditorie e debitorie annotate sul conto medesimo Cass., n. 1464/2016 .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 18 luglio – 11 settembre 2018, n. 22089 Presidente Cirillo – Relatore Luciotti Rilevato che 1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRAP ed IRPEF emesso a carico di A.N., libero professionista, sulla scorta delle risultanze di una verifica fiscale condotta nei confronti del medesimo dalla G.d.F. e compendiata in apposito p.v.c., da cui emergevano maggiori ricavi conseguiti dal predetto contribuente con riferimento al periodo d’imposta 2008 sulla base della documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso n. 48 schede clienti e delle movimentazioni verificate sia sul conto corrente bancario cointestato al medesimo ed alla coniuge, che a quello intestato ai genitori, sul quale aveva delega ad operare, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, riteneva fondata la pretesa fiscale limitatamente all’importo di Euro 1.500,00 di cui a quattro operazioni effettuate sul secondo dei predetti conti correnti in quanto espressamente riconosciute dal contribuente. 2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo, cui replica l’intimato con controricorso. 3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costinuto il contraddittorio, all’esito del quale il controricorrente ha depositato memorie. Considerato che 1. Va preliminarmente esaminata e rigettata, perché infondata, l’eccezione di giudicato interno proposta dal controricorrente con riferimento agli esiti degli accertamenti condotti sul conto corrente personale del contribuente invero, dallo stesso contenuto della sentenza impugnata pag. 4 , in cui si dà atto che con l’appello l’Agenzia delle entrate aveva censurato la sentenza di prime cure - totalmente sfavorevole all'amministrazione finanziaria - lamentando che nella stessa non venivano] spiegati quali sarebbero stati gli elementi probatori forniti dal contribuente che contraddicono i rilievi emessi in sede di indagine finanziaria , si evince che l’impugnazione riguardava tutti i capi di quella statuizione, compresi i movimenti verificati sul conto corrente cointestato al contribuente e al coniuge. 2. Va altresì esaminata con priorità l’eccezione di inammissibilità del ricorso per avervi la ricorrente provveduto mediante la tecnica dell'assemblaggio degli atti processuali. 2.1. Al riguardo, giova ricordare il principio giurisprudenziale cfr. Cass. Sez. U., n. 5698 del 2012 secondo il quale In tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all'art. 366, n. 3, cod. proc. civ., la pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto anche quello di cui non occorre sia informata , la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso ne consegue che il ricorso redatto con la tecnica dell’assemblaggio di una serie di documenti è sanzionabile con l'inammissibilità a meno che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall'atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi Cass. n. 18363 del 2015 e n. 12641 del 2017 . 2.2. Partendo da tali premesse, osserva il Collegio che nel caso in esame la riproduzione degli atti processuali è limitata, quanto al primo motivo, a due prospetti contenuti nel p.v.c. redatto dalla G.d.F. ed ai fogli n. 6, 11, 12, 13, 14, 15 17, 23 e 33 del predetto p.v.c., e quanto al secondo motivo, ai fogli da n. 41 a n. 46 dello stesso p.v.c. 2.3. E’ quindi palesemente infondata e va rigettata l’eccezione in esame in quanto dall’analisi della struttura della parte del ricorso dedicata all’esposizione dei mezzi di cassazione emerge che la ricorrente ha riprodotto il contenuto del p.v.c. esclusivamente nelle parti essenziali a corroborare le ragioni dell’impugnazione e a soddisfare il requisito dell’autosufficienza richiesto dall’art. 366 cod. proc. civ. 3. Venendo, quindi, ai motivi di ricorso, con il primo la difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame da parte dei giudici di appello dei dati extracontabili emersi nel corso della verifica fiscale. 4. In relazione al predetto motivo va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità proposta dal controricorrente ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ. c.d. doppia conforme , che è infondata e va rigettata avendo la sentenza di appello confermato la decisione di primo grado limitatamente alle riprese fiscali derivanti dagli esiti degli accertamenti bancari, mentre nessuna statuizione risulta adottata, neppure dal giudice di primo grado la cui parte motivazionale è integralmente riprodotta nella sentenza qui vagliata in ordine ai ricavi non contabilizzati risultanti dalla documentazione extracontabile rinvenuta dalla G.d.F. in sede di verifica fiscale, tale da evidenziare la sussistenza sub specie di una doppia omissione di apparato argomentativo dei giudici di merito sul complessivo compendio probatorio che esclude, in quanto tale, l’operatività della citata disposizione processuale. 5. Ciò precisato, rileva il Collegio che il motivo sia fondato e vada accolto. La motivazione della sentenza impugnata rende palese che i giudici di appello si sono limitati ad elencare nella stessa gli clementi probatori comprovanti l’omessa contabilizzazione di ricavi da parte del contribuente, tra cui la documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica della G.d.F., ma ne hanno del tutto pretermesso l’esame e, quindi, la valutazione, confinati invece si soli dati risultanti dalle movimentazioni bancarie effettuate sul conto corrente intestato ai genitori del contribuente, come confermato anche dal fatto che la fondatezza della pretesa erariale è stata quasi del tutto esclusa per la mancanza al ricorso d’appello di un prospetto di quelle movimentazioni che l’amministrazione finanziaria sosteneva esservi, invece, allegato. 6. Con il secondo motivo la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, 2728, comma 1, e 2697 cod. civ., sostenendo che la CTR aveva errato nell’escludere la ripresa a tassazione, quali ricavi professionali del contribuente non contabilizzati, delle somme movimentate sul conto corrente intestato ai genitori del medesimo, il quale neppure li aveva in qualche modo giustificati, come era suo onere. 7. Il motivo è fondato e va accolto. 7.1. Con consolidata giurisprudenza alla quale si aderisce da ultimo, Cass., Sez. 5, n. 14556 del 2018 questa Corte ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell'esercizio dell'attività d'impresa , non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell'affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell'estraneità delle stesse alla sua attività di recente, Cass. n. 4829/2015 e che tale principio si applica, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l'amministratore o i soci ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica, anche alle movimentazioni effettuate su questi ultimi, poiché in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano - in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario - ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica Cass. civ. Sez. V, Ord., 15 novembre 2017, n. 27075. In senso analogo si espressa Cass. n. 1898 del 2016, secondo cui In tema di accertamento del reddito d'impresa, gli artt. 32, n. 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 autorizzano l'Ufficio finanziario a procedere all'accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente , nonché Cass. n. 26173 del 2011, n. 26829 del 2014, n. 12276 del 2015 e, con riferimento ad un caso analogo a quello in esame, Cass. n. 428 del 2015, secondo cui In tema di imposte sui redditi, lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all'attività economica della società sottoposta a verifica, sicché in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati, ed in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell'onere della prova contraria sul contribuente. Nella specie, la S.C. ha enunciato il principio con riferimento a conti bancari intestati ad amministratori, legati da evidenti rapporti di parentela, e nessuno degli intestatari svolgeva attività economica idonea a giustificare simili importi reddiduali . 8. La sentenza impugnata non si è attenuta ai suddetti principi escludendo, peraltro immotivatamente, la riferibilità a ricavi conseguiti dal contribuente nell’esercizio della propria attività professionale e non contabilizzati, delle somme rinvenute sul conto corrente intestato ai genitori del medesimo, sul quale costui aveva la delega ad operare e che dal medesimo veniva comunque utilizzato per uso professionale, come reso palese dall’espresso riconoscimento effettuato dal contribuente con riferimento a quattro operazioni contabili. 9. Pare altresì necessario ricordare, in tema di onere della prova e di verifica giudiziale in materia di accertamenti bancari, il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui la presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 dettata in materia di imposte sui redditi secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell'ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiano o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell'imponibile , omologa a quella stabilita dall’art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA, consentendo di riferire a redditi e, nel secondo caso, a ricavi imponibili, conseguiti nell'attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli accrediti e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli addebiti come ricavi. Trattasi di presunzione legale juris tantum che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo e a quello dei congiunti, in presenza di chiari elementi sintomatici come quelli sussistenti nella specie, e comportante l’inversione dell’onere della prova, spettando a quest’ultimo di superare detta presunzione offrendo la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti e gli addebiti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all'uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti arg. da Cass. 26111 del 2015 e n. 21800 del 2017 conf. Cass. n. 5152, n. 5153, n. 19807 e n. 19806 del 2017, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 16697, n. 11776, n. 6093 del 2016 Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016 . Con specifico riferimento al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente si è affermato che il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014 ed il giudice di merito e tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale Cass. 21800 del 2017 . 10. In definitiva, all’accoglimento del ricorso, cui si deve pervenire alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, non superabili da quelle sviluppate dal controricorrente nella memoria depositata ai sensi dell'art. 380-bis, secondo comma, ultima parte, c.p.c., la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR, che provvederà a rivalutare la vicenda alla stregua dei suesposti principi, fornendo adeguata e congrua motivazione, nonché a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.