Condannato e espulso dall’Italia, lo Stato non può pretendere il pagamento della TARI

In caso di condanna alla reclusione con espulsione dal territorio italiano, lo Stato non può pretendere il pagamento di tasse e tributi riferiti a servizi dei quali il contribuente non ha potuto usufruire.

Lo chiarisce la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso con sentenza n,. 173/18 depositata l’8 giugno. Il caso. Il contribuente ricorre contro l’Agenzia delle Entrate – Riscossione chiedendo l’annullamento dell’ingiunzione di pagamento relativa alle fatture emesse per la tassa sullo smaltimento dei rifiuti dal 2000 al 2010. In particolare, il ricorrente lamenta di non aver usufruito di tali servizi in forza di una condanna di 19 anni e 10 mesi con l’espulsione dall’Italia. Non usufruisce del servizio, lo Stato non chiedere il pagamento della tassa. La Commissione ritiene che sia pacifica la circostanza per cui il contribuente, in forza della condanna alla reclusione con l’espulsione dallo Stato Italiano, ha subito l’interdizione dai diritti e dai doveri verso la società. Inoltre, posto che egli fino al 2015, per causa di forza maggiore, non si è più trovato sul territorio nazionale, lo Stato non dovrebbe pretendere anche il pagamento di tasse e tributi riguardante servizi dei quali il ricorrente, interdetto da ogni qualsivoglia incarico, non ha potuto usufruire come persona fisica . Infine, non sussistendo neppure la prova della fruizione del servizio di smaltimento rifiuti da parte dei familiari a suo carico, i Giudici decidono per l’accoglimento del ricorso e annullano gli atti impugnati, compensando tuttavia le spese di giudizio in ordine alla mancata comunicazione da parte del contribuente del proprio stato detenzione in carcere all’Ente impositore per le svolgimento delle opportune verifiche.

Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, sez. I, sentenza 8 maggio 2018, n. 173 Presidente Chiarelli – Relatore Celotto Fatto Il sig. O.P.M. ricorre contro A. S.p.A. in punto declaratoria di nullità/Illegittimità e/o annullamento di avvio esecuzione forzata del credito n. 23106 del 5.05.2017 di complessivi Euro 1.944,36 conseguente ad ingiunzioni di pagamento notificate in data 30.03.2015 e 07.06.2016 a seguito del mancato pagamento delle fatture per tariffa rifiuti per gli anni 2011, 2012, 2013 emesse da C. S.p.A. per conto del Comune di Borso del Grappa. Con altro ricorso il sig. O. ricorre contro l'Agenzia delle Entrate Riscossione per la Provincia di Treviso in punto annullamento dell'intimazione di pagamento n. di Euro 4.108,94, notificata in data 06.06.2017, riferita alla cartella di pagamento n. , notificata il 04.09.2012, recante iscrizione a ruolo della C. S.p.A. sull'omesso pagamento di fatture per tariffa smaltimento rifiuti effettuato nel corso degli anni dal 2000 al 2010. IL sig. O. con separati ricorsi, sostiene di non aver usufruito dei servizi di cui alle fatture emesse tra il 28.08.1999 ed il mese di luglio del 2015 in forza di una condanna di 19 anni e 10 mesi con espulsione dall'Italia. Chiede l'accoglimento dei ricorsi. La A., nonché l'Agenzia delle Entrate Riscossioni sostengono la legittimità del proprio operato e per l'effetto chiedono il rigetto del ricorso con la vittoria delle spese di lite. Le stesse si limitano ad eseguire la riscossione del tributo, a suo tempo non versato dal ricorrente e, quindi, chiedono di essere estromesse dall'esame del merito della vicenda. Diritto La Commissione ritiene che non sussista alcuna violazione dell'art. 17 bis, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992 per l'improcedibilità del ricorso non avendo parte ricorrente instaurato, prima del decorso dei novanta giorni necessario, l'espletamento della procedura di mediazione, in considerazione, non solo della soggettività del ricorrente, ma anche dal fatto che l'eventuale instaurazione, si ha motivo di credere, non avrebbe raggiunto alcunché stante le posizioni assunte dalle parti resistenti Ente impositore ed Agenti della Riscossione . Piuttosto, giova qui evidenziare la pacifica circostanza che il ricorrente dal 1999 al 2015 era in carcere per scontare la pena inflittagli, con l'espulsione dall'Italia, il che significa certamente l'interdizione dello stesso dai diritti e doveri verso la società e, anche se non ci riguarda nel caso in esame, verso la fa miglia. Nel corso della detenzione in carcere, il sig. P.M. era anche soggetto alle spese per il mantenimento carcerario. Ebbene, posto che il ricorrente, fino alla seconda metà del 2015, non esisteva più in Italia per Legge, o almeno in termini di diritti e doveri in uno Stato di diritto, stante la causa di forza maggiore, lo Stato non dovrebbe pretendere anche il pagamento di tasse e tributi riguardante servizi dei quali il ricorrente, interdetto da ogni qualsivoglia incarico, non ha potuto usufruire come persona fisica tassa sui rifiuti . Né, agli atti, è dimostrata l'occupazione dei familiari nel luogo ove in precedenza al 1999 abitava il sig. P.M Ritiene dunque la Commissione che sicuramente il ricorrente negli anni considerati non possa aver usufruito del servizio di smaltimento rifiuti con riferimento all'immobile di cui trattasi, essendo egli in quel periodo detenuto in carcere. E' anche credibile e pressoché certo che nel caso nessuna prova vi sia che del detto servizio di smaltimento rifiuti abbiano usufruito familiari a carico del ricorrente il quale in ogni caso, in quanto detenuto in carcere, per motivi di forza maggiore era impossibilitato sia a venire a conoscenza di eventuali atti e fatti sia comunque a prendere decisioni conseguenti. La Commissione, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, accoglie i ricorsi riuniti ed aventi R.G.R. n. 223/2017 e 245/2017. Sussistono giusti motivi primo fra tutti la mancata comunicazione del contribuente del proprio stato di detenzione in carcere all'Ente impositore per le opportune verifiche per ritenere equa la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Commissione accoglie i ricorsi riuniti e per l'effetto annulla gli atti impugnati. Spese compensate.