Ammissibilità delle dichiarazioni testimoniali nel processo tributario

Il divieto di prova testimoniale nel processo tributario si riferisce solo alla prova testimoniale processuale e non alle dichiarazioni che, sia l’Amministrazione che i contribuenti, possono assumere in sede extraprocessuale e produrre in giudizio. La valenza indiziaria di tali dichiarazioni, anche a favore del contribuente, è coerente con il principio del giusto processo, come anche affermato dall’art. 6 CEDU.

Il caso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6616/2018 del 16 marzo 2018, è tornata sul tema dell’ammissibilità delle dichiarazioni testimoniali nel processo tributario. Nel caso di specie, la CTR della Campania accoglieva l’appello del contribuente con sentenza poi impugnata dall’Agenzia delle Entrate davanti alla Corte di Cassazione. L’Amministrazione finanziaria deduceva, in particolare, violazione dell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546/92 e dell’art. 2697 c.c., assumendo che, in violazione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario, la CTR aveva invece conferito dirimente valore probatorio alle dichiarazioni di terzi, senza che le stesse, aventi, al più, solo valore indiziario, fossero corroborate da ulteriori elementi di riscontro. Prova testimoniale La censura, secondo i Giudici di legittimità, era infondata. Rileva infatti la Suprema Corte che il divieto di prova testimoniale, di cui all’art. 7 d.lgs. n. 546/92, si riferisce solo alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica pertanto l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione Finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano comunque come elementi indiziari che possono concorrere al convincimento del Giudice. E ciò, naturalmente, evidenzia la Corte, vale sia per l’Amministrazione che per il contribuente, il quale, infatti, nel caso di specie, nell’opporsi all’accordo raggiunto tra l’Agenzia ed il consorzio di cui il medesimo contribuente, svolgente l’attività di impresa di servizi funebri, faceva parte, e consistente nella stima induttiva di un prezzo medio ponderato a funerale di 2.500 euro, aveva prodotto ben 42 dichiarazioni di terzi, corrispondenti a più di 1/3 delle operazioni oggetto di contestazione , che confermavano la effettività dei costi inferiori fatturati dall’impresa. La Suprema Corte rileva poi come il riconoscimento della valenza indiziaria delle dichiarazioni testimoniali anche a favore del contribuente è peraltro funzionale e coerente con il principio del giusto processo, come affermato dall’art 6 della CEDU, anche per quanto attiene all’irrogazione nel processo tributario di sanzioni assimilabili a quelle penali Cass., n. 8606/15 . e giuramento sono espressamente esclusi? Il processo tributario è fondato quasi esclusivamente sulle risultanze documentali prodotte dalle parti e sono espressamente esclusi, quali mezzi di prova, sia il giuramento che la prova testimoniale. In linea con tale ultimo divieto, la giurisprudenza prevalente ha ritenuto i verbali di testimonianze acquisite in altri processi, così come le informative di terzi raccolti dall’Amministrazione Finanziaria nel corso di indagini amministrative, prive di efficacia di prova ciò in quanto sarebbe altrimenti eluso il diritto alla formazione in contraddittorio delle prove. Tuttavia, tali verbalizzazioni possono comunque essere valutate dal giudice quali argomenti indiziari di prova, in grado di contribuire al convincimento del giudice. La sentenza in commento si esprime, chiaramente, sulla sussistenza, ancorata anche ai principi CEDU, dello stesso valore anche per le dichiarazioni rese a favore del contribuente. La stessa Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 20954/2015, aveva comunque già affermato principi analoghi, evidenziando che l'inammissibilità della prova testimoniale non comporta l'inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi, eventualmente raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale, distinguendosi queste dalla tipica prova testimoniale per il loro valore probatorio, che è quello proprio degli elementi indiziari, senza che si determini nemmeno una violazione del principio di parità di armi, potendo il contribuente contestare la veridicità delle dichiarazioni in questione e introdurre a sua volta, nel giudizio di merito, altre dichiarazioni di terzi rese a discarico in sede extraprocessuale Corte Cost. n. 18/2000 Cass. nn. 20032/2011, 10785/2010, 9402/2007, 4423/2003 . Quanto poi alla circostanza che tali dichiarazioni debbano o meno trovare riscontro in ulteriori elementi, è opportuno evidenziare che, sebbene testualmente l'art. 2729 c.c., così come l’art. 38, d.P.R. n. 600/1973 e l’art. 54, d.P.R. n. 633/1972 si esprimano al plurale, gli elementi assunti a fonte di presunzione non devono essere necessariamente plurimi, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su un elemento unico, purché preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, nell'ambito del processo logico applicato in concreto, non è peraltro sindacabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria Cass. nn. 6947/2015, 656/2014, 9402/2007 . Conclusioni. Ai sensi dell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546/92, il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle Commissioni tributarie si riferisce dunque solo alla prova da assumere nel processo, che è necessariamente orale, di solito a iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento di testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio, e non implica, invece, l’inutilizzabilità ai fini della decisione, di dichiarazioni raccolte fuori dal processo e rese da terzi rispetto al rapporto tra contribuente ed Erario.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 11 gennaio – 16 marzo 2018, n. 6616 Presidente Cirillo – Relatore Napolitano Fatto e diritto Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e , dell’art. 1 - bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016 dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue con sentenza n. 3277/9/2015, depositata l’8 aprile 2015, non notificata, la CTR della Campania - sezione staccata di Salerno - accolse l’appello proposto dal sig. G.R. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza di primo grado della CTP di Avellino, che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento, per IRPEF, addizionali regionale e comunale all’IRPEF, ed IRAP, relativo all’anno 2007. Avverso la pronuncia della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, cui il contribuente resiste con controricorso. La ricorrente Agenzia delle Entrate denuncia, con l’unico motivo di ricorso, violazione dell’art. 7, comma 4, del d .lgs. n. 546/1992 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., assumendo che, in violazione del divieto di prova testimoniale nel giudizio tributario, la decisione impugnata avrebbe conferito rilievo probatorio a dichiarazioni di terzi, che possono assumere valenza indiziaria, senza che detti indizi fossero corroborati nella fattispecie in esame da ulteriori riscontri. Il motivo è manifestamente infondato. Questa Corte, in controversie similari, ha avuto modo di affermare il principio secondo il quale Nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall’art. 7 del d. lgs. n. 546 del 1992 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorre a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice cfr. Cass. sez. 5, 7 aprile 2017, n. 9080 Cass. sez. 5, 5 aprile 2013, n. 8639 . Ciò, analogamente, vale per il contribuente cfr. Cass. sez. 5, 21 gennaio 2015, n. 960 , il quale, nella fattispecie in esame - per resistere ad accertamento di maggiori ricavi e dunque di maggior reddito d’impresa per l’anno di riferimento, nascente da accordo intervenuto tra l’Amministrazione finanziaria ed il Consorzio O., del quale il R., esercente impresa di servizi funebri, è consorziato, in virtù del quale l’Amministrazione aveva stimato induttivamente un prezzo medio ponderato di € 2.500,00 a funerale - aveva prodotto, già in sede di accertamento con adesione, quarantadue dichiarazioni di terzi che confermavano i costi inferiori fatturati riguardo alle esequie alle quali le suddette fatture si riferivano. L’attribuzione di valenza indiziaria delle dichiarazioni di terzi anche in favore del contribuente è peraltro funzionale al dispiegarsi del giusto processo ex art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU , ratificata e resa esecutiva dalla l. 4 agosto 1955, n. 848, per quanto attiene all’irrogazione nel processo tributario di sanzioni assimilabili a quelle penali cfr. Cass. sez. 6- 5 ord. 28 aprile, 2015, n. 8606 e la giurisprudenza della Corte EDU ivi richiamata, tra cui Corte EDU 23 novembre 2006, Jussilla contro Finlandia, e 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia . Nel caso di cui ci si occupa, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, la valenza indiziaria delle suddette dichiarazioni è stata peraltro riconosciuta dalla CTR non già sulla base del solo numero in sé delle dichiarazioni, ma sulla rappresentatività poco più di 1/3 delle stesse rispetto al numero complessivo 124 delle operazioni in accertamento e, quantunque in maniera implicita, sull’assenza di contestazione delle dichiarazioni medesime da parte dell’Amministrazione finanziaria. A ciò consegue che alcuna violazione di legge in relazione alle norme menzionate in epigrafe è ascrivibile alla sentenza impugnata. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge se dovuti.