La sistematica rinuncia del professionista ai compensi professionali legittima l’induttivo

La diffusa e sistematica rinuncia ai compensi per le prestazioni professionali, anche non di modico valore, resa sia dinanzi ai Giudici di Pace che al Tribunale, civile ed amministrativo connota di gravità, precisione e concordanza le presunzioni di maggiori redditi accertati induttivamente dall’Amministrazione finanziaria ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973, trattandosi di comportamento che, tenuto conto del numero esiguo delle fatture emesse e dell’esiguità del reddito dichiarato, confligge con le elementari regole di ragionevolezza, non superabile dalle dichiarazioni rese da alcuni clienti, in quanto prive di intrinseca credibilità.

Il caso. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6215/2015, ha condiviso le conclusioni dei Giudici di secondo grado che, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, avevano riformato la sentenza di primo grado emessa in relazione ad un accertamento effettuato su un professionista per maggiori redditi professionali accertati induttivamente ai fini IRPEF, IVA ed IRAP, per gli anni di imposta 2007-2009. Con il ricorso per cassazione, il professionista ha censurato la sentenza sulla base di tre motivi di legittimità. Con il primo motivo, la parte ha eccepito l’omessa pronuncia dei Giudici di appello in ordine all’eccezione di nullità della delega conferita al funzionario sottoscrittore, nonché il difetto di specificità dei motivi proposti dall’Ufficio appellante. Con il secondo motivo il ricorrente ha eccepito sub specie di violazione di legge la carenza dei presupposti legittimanti l’accertamento induttivo. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente ha sollevato il vizio di omessa pronuncia dei giudici di appello in relazione al motivo, sollevato in primo grado e ripreso nelle controdeduzioni in appello, relativo alla violazione dei criteri legali di determinazione del valore della cause e dei compensi per le singole prestazioni professionali riprese a tassazione. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, relativamente al primo motivo, ha accolto la prima censura sollevata, rilevando che la CTR, pur avendo dato atto nella parte della sentenza dedicata all’esposizione dello svolgimento del processo dell’eccezione formulata dalla parte privata, aveva omesso di pronunciarsi sulla stessa. La seconda censura, tuttavia, veniva considerata inammissibile dalla Corte che, uniformandosi ad altri suoi precedenti, ha rilevato che Il mancato esame di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo ad un vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito , ma semmai, può essere inquadrata sub specie di violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se ed in quanto si riveli erronea e censurabile la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte . Anche il secondo motivo veniva dichiarato inammissibile dalla Corte, per difetto di autosufficienza del ricorso, atteso che il ricorrente, rilevando che gli elementi posti dall’Ufficio a base dell’accertamento induttivo non presentavano le caratteristiche di artt. 39 d.P.R. n. 600/1973 e 54 d.P.R. n. 633/1972, aveva omesso di riprodurre il contenuto degli atti impositivi, utile ai fini della verifica della fondatezza della censura. Compensi professionali e accertamento. Secondo la Corte, inoltre, tale censura, oltre che inammissibile, era altresì infondata, atteso che l’omessa fatturazione di corrispettivi conseguiti nello svolgimento di attività professionale giustifica ampiamente il ricorso al tipo di accertamento in concreto espletato dall’amministrazione finanziaria, essendo noto e consolidato il principio in virtù del quale, in tema di rettifica delle dichiarazioni dei redditi di impresa, qualora l’amministrazione constati delle irregolarità della contabilità di gravità tale da determinare un’inattendibilità globale delle scritture, è autorizzata a prescindere da esse ed a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire la prova presuntiva . Tali indizi, ad avviso della Corte erano ravvisabili – come del resto già evidenziato dai giudici di secondo grado, nella diffuse e sistematiche rinunce ai compensi , che avrebbero reso talmente numerose le irregolarità nella tenuta delle scritture contabili da determinare una complessiva inattendibilità delle stesse, non superabile dalle dichiarazioni rese nel corso del processo da alcuni clienti, in quanto ritenute ragionevolmente prive di intrinseca credibilità. Il terzo motivo, infine, è stato accolto dalla Cassazione, la quale ha rilevato che la sentenza impugnata era del tutto priva di statuizione in merito alla determinazione del valore delle cause e dei compensi professionali ripresi a tassazione, pur oggetto di apposito motivo di ricorso in primo grado e di riproposizione in appello. In conclusione, la Corte in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, rigettato il secondo, ha cassato la sentenza imputata e rinviato, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale competente in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 7 febbraio – 14 marzo 2018, n. 6215 Presidente Cirillo – Relatore Luciotti Rilevato - che con la sentenza in epigrafe la CTR campana accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da I.A. , di professione avvocato, avverso gli avvisi di accertamento di maggiori redditi professionali ai fini IVA, IRPEF ed IRAP relativi agli anni di imposta 2007 e 2009 - che secondo i giudici di appello la rinuncia diffusa e sistematica ai compensi per le prestazioni professionali, anche di non modico valore, rese sia dinanzi ai giudici di pace che al tribunale, civile ed amministrativo, connotava di gravità, precisione e concordanza, le presunzioni di maggiori redditi accertati induttivamente dall’amministrazione finanziaria, ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, trattandosi di comportamento che, tenuto conto del numero esiguo delle fatture emesse e dell’esiguità del reddito dichiarato, configgeva con le elementari regole di ragionevolezza, non superabile dalle dichiarazioni rese da alcuni clienti, in quanto prive di intrinseca credibilità - che il contribuente ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, di cui il primo articolato in due diverse censure, cui replica l’intimata Agenzia con controricorso - che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380-bis c.p.c., ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata Considerato - che con il primo motivo il ricorrente deduce l’omessa pronuncia dei giudici di appello in ordine alle eccezioni di inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate per nullità della delega conferita al funzionario che aveva sottoscritto l’atto prima censura e per difetto di specificità dei motivi proposti dall’Ufficio appellante seconda censura - che la prima doglianza è fondata in quanto la CTR, pur avendo dato atto, nella parte dedicata all’esposizione dello svolgimento del processo, dell’eccezione formulata dall’appellato nelle controdeduzioni, ometteva di pronunciarsi sulla stessa, dovendo escludersi la sussistenza di un’incompatibilità logica dell’eccezione in esame con la statuizione adottata, tale da consentire di ritenere che la stessa sia stata implicitamente rigettata arg. da Cass. n. 16788 del 2006, n. 20311 del 2011, n. 3417 del 2015, n. 1360 del 2016 - che, invece, a diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo alla seconda censura, che è inammissibile perché denuncia l’omessa pronuncia del giudice di appello su questione processuale e non di merito Cass. n. 321 del 2016, secondo cui Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte - che, diversamente dalla proposta formulata dal relatore, il Collegio ritiene che vada esaminato anche il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente, deducendo la violazione di diverse disposizioni di legge, anche processuali, ha sostanzialmente dedotto la carenza dei presupposti giustificativi dell’accertamento induttivo nonché la violazione dei criteri legali di valutazione della prova - che il primo profilo di censura incorre nel vizio di inammissibilità per genericità della censura il ricorrente, infatti, si limita ad affermare che gli elementi che l’Ufficio ha posto a base della motivazione dei due diversi avvisi di accertamento impugnati non presentano affatto le connotazioni legali e tipiche prescritte dagli artt. 37, 38 e 39 D.P.R. n. 600/1973, e 54 e 55 D.P.R. n. 633/1972, non assurgendo a fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata e non fornendo, dunque, la prova di elementi e circostanze rilevatori dell’esistenza di un maggior reddito ricorso, pag. 18 , omettendo, altresì, di riprodurre il contenuto degli atti impostivi, necessario ai fini della verifica della fondatezza della censura in esame, in evidente spregio alla regola della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione postulata dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. - che la censura è, peraltro, anche palesemente infondata, posto che l’omessa fatturazione di corrispettivi conseguiti nello svolgimento di attività professionale giustifica ampiamente il ricorso al tipo di accertamento in concreto espletato dall’amministrazione finanziaria arg. da Cass. n. 1942 del 2007, n. 11680 del 2002 , essendo noto e consolidato il principio in virtù del quale, in tema di rettifica delle dichiarazioni dei redditi d’impresa, qualora l’amministrazione constati delle irregolarità della contabilità di gravità tale da determinare un’inattendibilità globale delle scritture, è autorizzata, ai sensi delle citate disposizioni, a prescindere da esse ed a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva la circostanza che le irregolarità contabili siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di complessiva inattendibilità delle stesse rende, dunque, di per sé sola legittima l’adozione del metodo induttivo tra le altre, Cass. n. 9097 del 2002, n. 27068 del 2006, n. 6086 del 2009, n. 18902 del 2011, n. 13735 del 2016 - che inammissibile, oltre che palesemente infondata, è anche la violazione dei criteri legali di valutazione della prova di cui agli artt. 115 e 166 cod. proc. civ. dedotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. n. 3, cod. proc. civ. - che, invero, questa Corte ha condivisibilmente affermato che In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 Cass. n. 23940 del 2017 a ciò aggiungasi che la doglianza circa il cattivo esercizio da parte del giudice di merito del prudente apprezzamento delle prove è fondata su circostanze niente affatto decisive, tali non potendosi considerare né l’erroneo riferimento fatto dai giudici di appello agli anni di imposta oggetto di verifica, né il numero, ritenuto erroneamente elevato, di prestazioni gratuite rese dal professionista che andava comunque rapportato all’esiguità delle fatture emesse e dei ricavi dichiarati, come affermato dalla CTR , né, infine, la ragione di inattendibilità delle dichiarazioni dei clienti, fondata principalmente sulla mancata rilevazione delle stesse agli atti del processo, con conseguente impossibilità di verificare se inerenti anche alle cause oggetto di contestazione pag. 3 della sentenza impugnata - che è invece fondato il terzo motivo di cassazione con cui il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia della Commissione di appello sul motivo di ricorso con cui aveva dedotto la violazione dei criteri legali di determinazione del valore delle cause e dei compensi, ovvero l’erroneità della determinazione dei compensi per le singole prestazioni professionali riprese a tassazione, nonché l’insussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’IRAP, non rinvenendosi nella sentenza impugnata alcuna statuizione in merito alle predette questioni, proposte come motivi di ricorso di primo grado e riproposti nelle controdeduzioni d’appello - che, in estrema sintesi, va accolto il primo motivo di ricorso, nei termini di cui sopra si è detto, nonché il terzo motivo, rigettato il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla competente CTR, che regolamenterà anche le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.