Niente accertamento sintetico per la casa acquistata alla figlia

La Cassazione respinge il ricorso del Fisco con l’ordinanza n. 27480/2017. I Giudici della Corte rigettano il gravame del Fisco ed evidenziano l’importanza degli estratti conto.

L’accertamento sintetico è illegittimo, qualora l’appartamento contestato è stato acquistato per la figlia. Lo dice la Cassazione, con l’ordinanza del 20 novembre 2017 n. 27480. I Giudici del Palazzaccio hanno respinto il ricorso del Fisco, che aveva notificato ad un contribuente un avviso sintetico in merito alla sproporzione tra i redditi dichiarati e l’acquisto di un immobile di valore pari a 434mila euro effettuato nel 2005. Documentazione. L’Agenzia contestava un vizio di insufficiente motivazione nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale che, considerando gli elementi dedotti dalla parte contribuente, non avrebbe tuttavia valutato la loro inidoneità a dimostrare la disponibilità esenti. Determinanti sono stati tuttavia gli estratti conto, con i quali il contribuente aveva dimostrato un saldo superiore a 600mila euro dunque idoneo a giustificare l’acquisto di un immobile per la figlia secondo la Cassazione, il giudice di appello avrebbe preso in considerazione il fatto rappresentato dalla documentazione prodotta dal contribuente relativa alle disponibilità del conto corrente che tendevano a giustificare la congruità dell’acquisto immobiliare effettuato a rate piuttosto omettendo di considerare le difese delle Entrate volte a ritenere l’inidoneità della prova a dimostrare il carattere esente dei redditi risultanti dagli estratti conto . Il gravame dell’Agenzia delle Entrate è stato quindi respinto. Fonte fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. VI Civile T, ordinanza 11 ottobre 20 novembre 2017, n. 27480 Presidente Iacobellis Relatore Conti Fatti e ragioni della decisione L'Agenzia delle entrate notificava a B.P. un avviso di accertamento relativo all'accertamento in via sintetica dei redditi per l'anno 2004 in relazione alla sproporzione fra redditi dichiarati nel triennio ed acquisto di un immobile in favore della figlia del contribuente nell'anno 2005 per un corrispettivo di Euro 434.023,00. Il giudice di primo grado respingeva il ricorso del contribuente con sentenza riformata dalla CTR del Lazio n. 376/22/13, depositata il 14.11.2013. Secondo la CTR l'appello era ammissibile, tenuto conto della specificità della doglianza esposta nell'atto di impugnazione concernente l'omessa considerazione delle prove offerte in ordine ai risparmi accumulati dal contribuente. Nel merito il giudice di appello riteneva che il contribuente aveva dimostrato, mediante la produzione di estratti conto, un costante saldo superiore ad Euro 600.000,00 idoneo a giustificare l'acquisto, peraltro rateizzato, dell'immobile in favore della figlia. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. La parte contribuente non ha depositato difese scritte. La causa veniva rinviata a nuovo ruolo per l'acquisizione del fascicolo di merito. Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata. Con il primo motivo l'Agenzia deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53. La parte contribuente, secondo la ricorrente, si era limitata a riprodurre il contenuto del ricorso senza formulare alcuna censura contro la decisione impugnata in appello. Con il secondo motivo si deduce il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La CTR, con motivazione insufficiente, non avrebbe esaminato la dedotta inidoneità delle prove offerte dal contribuente per dimostrare la congruità del reddito necessario all'acquisto del cespite immobiliare. Il primo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado - in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere - assolve l'onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza - cfr. Cass. n. 14908/2014 -. Si è tuttavia affermato che in tema di contenzioso tributario è inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, l'atto di appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata - cfr. Cass. n. 1461/2017 -. Orbene, nel caso di specie l'appellante ha specificamente aggredito la statuizione del giudice di primo grado che aveva ritenuto la documentazione prodotta dalla stessa in primo grado inconsistente se non evasiva, trattandosi soltanto dell'elenco delle otto società di cui era titolare, socio o cointeressatò senza indicazione circa la redditività delle stesse negli ultimi anni specificando che i redditi necessari per l'acquisto dell'immobile in favore della figlia potevano senz'altro desumersi dai redditi percepiti negli anni dal 1953 al 2000 e che tali elementi avrebbero potuto integrare il concetto di presunzione di cui all'art. 2727 c.c Ne consegue che quanto dedotto in appello ha senz'altro assolto l'onere di specificità di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente inammissibile. L'Agenzia contesta, nella sostanza un vizio di insufficiente motivazione della sentenza che, nel considerare gli elementi dedotti dalla parte contribuente, non avrebbe considerato l'inidoneità degli stessi a dimostrare l'esistenza di disponibilità esenti in capo al contribuente. La censura, in effetti, si risolve nella prospettazione di un'insufficiente motivazione della decisione che, pur avendo esaminato la documentazione relativa agli estratti conto prodotti dalla parte contribuente, non avrebbe accertato se gli stessi fornissero la prova che le disponibilità esistenti derivassero da redditi esenti. Ma tale censure non integra affatto un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio alla stregua della novella di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il giudice di appello, invero, ha preso in considerazione il fatto rappresentato dalla documentazione prodotta dal contribuente relativa alle disponibilità del conto corrente che tendevano a giustificare la congruità dell'acquisto immobiliare peraltro effettuato a rate, piuttosto omettendo di considerare le difese dell'Agenzia volte a ritenere l'inidoneità della prova a dimostrare il carattere esente dei redditi risultanti dagli estratti conto. Ciò che si risolve non già in un omesso esame di un fatto, ma semmai in un deficit di congruità e sufficienza della motivazione. Ne consegue il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.