Legittima la contestazione dell’emissione di fatture false sulla base di quanto dichiarato dai fornitori

L’amministrazione finanziaria può contestare le fatture false sulla base delle dichiarazioni di clienti e fornitori rese alla Guardia di Finanza.

Con la sentenza n. 25291, del 25 ottobre 2017, la Corte di Cassazione adotta la linea dura nei confronti di chi emette fatture false per i Giudici di legittimità l’amministrazione può contestare le fatture false sulla base delle dichiarazioni che i clienti e i fornitori hanno reso, alla Guardia di Finanza. Il caso. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale con la quale è stato accolto l'appello proposto da un imprenditore avverso la sentenza della CTP, parzialmente favorevole al contribuente, in controversia concernente l’avviso di accertamento in rettifica per recupero IRPEF, IRAP, IVA, oltre interessi e sanzioni, relativamente all'anno d'imposta 2000, emesso a seguito di verifica fiscale della Guardia di Finanza, secondo cui le fatture annotate in contabilità, e dichiarate ai fini impositivi, erano riconducibili ad operazioni oggettivamente inesistenti. Il Giudice del merito ha ritenuto illegittime le riprese a tassazione contenute nell’atto di accertamento, e ha riformato la sentenza di prime cure, appellata da entrambe le parti, annullando integralmente l'avviso contestato, sul rilievo che le dichiarazioni rese da terzi, innanzi ai militari verbalizzanti, non riscontrate da ulteriori controlli, in ordine all'esistenza di giacenze di magazzino presso l'azienda, ed alle operazioni di trasporto della merce acquistata dalle ditte fornitrici, mostrano elementi d'equivocità” e non possono assurgere a presunzioni aventi valore probatorio il contribuente, inoltre, non ha svolto attività difensiva. Prova testimoniale? La Cassazione ritiene fondato il motivo del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, poiché la CTR ha ritenuto illegittima la pretesa tributaria in quanto fondata sulle dichiarazioni, non adeguatamente riscontrate, rese dai titolari delle ditte fornitrici, omettendo di valutare tutte le allegazioni dell’amministrazione finanziaria, e le correlate risultanze documentali, da sole sufficienti a dimostrare la fondatezza dell'accertamento, non rendendosi necessario da parte della Guardia di Finanza verificare la merce presente in azienda ovvero disporre ispezioni presso la ditta di trasporto della merce indicata nelle fatture oggetto di contestazione. La Cassazione non ha motivo di discostarsi dal precedenti orientamenti secondo cui le dichiarazioni rese da terzi nel corso della procedura di accertamento sono utilizzabili nel contenzioso tributario, pur caratterizzato dal divieto di prova testimoniale, quali indizi a supporto della pretesa dell'ufficio, e la presunzione ha valore autonomo di prova della pretesa fiscale, senza necessità di riscontri documentali, se fondata, con criterio probabilistico e non di assoluta necessità . Il ricorso è, pertanto, accolto con rinvio alla CTR che in diversa composizione si pronuncerà sul caso.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 5 – 25 ottobre 2017, n. 25291 Presidente Chindemi – Relatore De Masi Rilevato in fatto che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, indicata in epigrafe, con la quale è stato accolto l’appello proposto da D.M.V. avverso la sentenza della C.T.P. di Avellino, parzialmente favorevole al contribuente, in controversia concernente avviso di accertamento in rettifica per recupero Irpef, Irap, Iva, oltre interessi e sanzioni, relativamente all’anno d’imposta 2000, emesso a seguito di verifica fiscale della Guardia di Finanza, giusta processo verbale di constatazione redatto il 28/3/2002, secondo cui le fatture annotate in contabilità, e dichiarate ai fini impositivi, erano riconducibili ad operazioni oggettivamente inesistenti che il giudice a quo, per quanto qui d’interesse, riteneva illegittime le riprese a tassazione contenute nell’atto di accertamento, e riformava la sentenza di prime cure, appellata da entrambe le parti, annullando integralmente l’avviso contestato, sul rilievo che le dichiarazioni rese da terzi, innanzi ai militari verbalizzanti, non riscontrate da ulteriori controlli, in ordine all’esistenza di giacenze di magazzino presso l’azienda del D.M. , ed alle operazioni di trasporto della merce acquistata dalle ditte fornitrici, mostrano elementi di equivocità e non possono assurgere a presunzioni aventi valore probatorio che il contribuente non ha svolto attività difensiva. Considerato in diritto che, con il motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché la C.T.R. ha ritenuto illegittima la pretesa tributaria in quanto fondata sulle dichiarazioni, non adeguatamente riscontrate, rese dai titolari delle ditte fornitrici, omettendo di valutare tutte le allegazioni dell’Amministrazione finanziaria, e le correlate risultanze documentali, da sole sufficienti a dimostrare la fondatezza dell’accertamento, non rendendosi necessario da parte della Guardia di Finanza verificare la merce presente in azienda ovvero disporre ispezioni presso la ditta di trasporto della merce indicata nelle fatture oggetto di contestazione che la censura è fondata e merita accoglimento che, ad avviso del Giudice di appello, le sommarie informazioni rese agli organi investigativi da L.G. e D.M.A. , in quanto titolari, rispettivamente, della omissis e della , i quali avevano disconosciuto i documenti contabili emessi nei confronti della omissis di D.M.V. , ed escluso la effettività dei sottostanti rapporti commerciali, non trovano riscontri in atti, non risultando suffragate né da controlli presso la ditta verificata di eventuali giacenze di magazzino relative agli acquisti ritenuti inesistenti, né presso la ditta che aveva effettuato il trasporto delle pelli, a conforto della veridicità degli acquisti di cui alle fatture contestate, né, infine, da seri dati probatori che possano smentire i dedotti acquisti presso le ditte fornitrici che la impugnata sentenza non nega che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d , la prova dell’esistenza di attività non dichiarate o dell’inesistenza di passività dichiarate possa essere data anche mediante presunzioni semplici, munite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma afferma che elementi di equivocità residuano alle dichiarazioni degli interrogati, e che in mancanza dei controlli e delle verifiche sopra ricordati esse non costituiscono presunzioni gravi, precise e concordanti, ma meri indizi che, invero, l’insufficienza della motivazione denunciata dalla ricorrente consiste proprio nell’omessa disamina degli indizi forniti dai verbalizzanti, da compiersi nel complessivo quadro del materiale raccolto, al fine di valutare, con giudizio di merito non censurabile in questa sede se correttamente motivato, la possibilità o l’impossibilità di pervenire, con un grado di approssimazione ragionevole, all’accertamento dell’evasione fiscale, essendo sufficiente che il fatto ignoto da provare evasione fiscale sia desumibile dal fatto noto non in termini di assoluta certezza, ma come conseguenza ragionevolmente possibile o probabile, secondo regole di esperienza Cass. nn. 22656/2011, 16993/2007, 13546/2006, 12802/2006, 3390/2005, 16831/2003, 15399/2002 che, del resto, come è stato ritenuto da questa Corte Cass. n. 6548/2009 con giurisprudenza da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, le dichiarazioni rese da terzi nel corso della procedura di accertamento sono utilizzabili nel contenzioso tributario, pur caratterizzato dal divieto di prova testimoniale, quali indizi a supporto della pretesa dell’ufficio C. cost. sent. n. 18/2000 Cass. nn. 9402/2007, 14774/2000 , e la presunzione ha valore autonomo di prova della pretesa fiscale, senza necessità di riscontri documentali, se fondata, con criterio probabilistico e non di assoluta necessità Cass. nn. 16993/2007, 13546/2006, 12802/2006 ed altre , su indizi che, valutati singolarmente e nel complesso delle acquisizioni processuali Cass. nn. 3390/2005, 16831/2003, 15399/2002 ed altre , siano ritenuti dal giudice di merito gravi, precisi e concordanti, con giudizio non suscettibile di riesame in sede di legittimità se congruamente motivato. Tale presunzione sposta sul contribuente l’onere della prova contraria Cass. nn. 9203/2008, 1575/2007 che, pertanto, il giudice di merito può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari considerati, ovviamente nel rispetto dei principi innanzi ricordati, e dandone adeguato conto in motivazione, mentre, nel caso di specie, la C.T.R. non ha esplicitato l’iter logico seguito, individuando le ragioni per le quali va esclusa la inferenza probabilistica di una serie di elementi fattuali, che pure sono desumibili dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, e che erano stati evidenziati dall’Agenzia delle Entrate, come, appunto, il mancato rinvenimento di alcun opificio od azienda con denominazione omissis né tantomeno di una ditta riconducibile al Signor L.G. in omissis , nonché le modalità di pagamento indicate nelle suddette fatture , nonché la mancata presentazione, da parte della ditta omissis di L.G. di alcuna dichiarazione fiscale , ed ancora, la mancata presentazione di dichiarazioni fiscali anche da parte della di D.M.A. , dichiaratamente destinata alla lavorazione e non alla vendita del pellame, così come l’assenza di annotazioni contabili, essendo la sentenza del giudice di merito incentrata piuttosto sul ritenuto bisogno di ulteriori, e differenti, attività di controllo e verifica dei dati già acquisiti, che però non risolve la questione della ricorrenza, rispetto agli indizi disponibili, dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza che, infine, spetta al giudice di merito esaminare e giudicare - in caso di valutazione positiva degli indizi - se il contribuente abbia prodotto prove sufficienti a vincere la presunzione eventualmente scaturita da tali indizi, tenendo presente che, in tal caso, l’onere di provare l’inesistenza del fatto costitutivo della pretesa fiscale natura fittizia delle operazioni commerciali grava, per effetto della presunzione, sul contribuente medesimo Cass. n. 9402/2007, n. 7421/1986 che l’accoglimento dei profili di censura sopra illustrati impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa alla medesima C.T.R., in diversa composizione, la quale provvederà alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.