L'incongruenza triennale non legittima la pretesa fiscale basata sugli studi di settore

Tre anni di incongruenza tra il fatturato e gli studi di settore non legittimano l'accertamento fiscale che può essere emesso dal fisco solo in caso di grave scostamento dagli standard delle Entrate.

Tale assunto è stato statuito dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 21747 depositata il 20 settembre 2017, in accoglimento del ricorso in cassazione di una s.r.l Il caso. Una s.r.l. ha dichiarato, per ben tre anni, un reddito incongruente rispetto agli studi. Per tale motivo l'ufficio ha emesso avviso di accertamento ai fini dell’imposizione diretta. I Giudici di merito tributari hanno ridotto la pretesa tributaria in particolare, hanno ridotto il maggiore imponibile a un importo inferiore rispetto a quello indicato nell’atto impositivo impugnato. La Suprema Corte ha ribaltato il verdetto di merito. Grave incongruenza. Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno precisato quanto segue. Solo una grave incongruenza con gli studi sposta l'onere della prova sul contribuente che deve, a quel punto, spiegare perché un fatturato così basso rispetto alle medie di settore. Infatti l'amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all'accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dalle legge allorché si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore di cui all'art. 62- bis del dl 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ma solo quando venga ravvisata una grave incongruenza . L'accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1° gennaio 2007, in base all'art. 1, comma 23, l. 27 dicembre 2006, n. 296, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l'aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle gravi incongruenze , prima operato tramite il rinvio recettizio all'art. 62- sexies , comma 3, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1993, n. 427. L’inversione dell’onere probatorio nascente dallo studio richiede la sussistenza di una grave incongruenza del reddito dichiarato rispetto a quello risultante dallo studio di settore. L’assenza di qualsiasi riferimento ad una grave incongruenza tra le risultanze di detti studi e quanto dichiarato dai contribuenti, comporta l’inoperatività della presunzione recata dagli studi di settore, in quanto la sua applicabilità è limitata a scostamenti significativi. Gli Ermellini hanno cassato la sentenza impugnata con rinvio al giudice del gravame per un nuovo esame della controversia attenendosi al principio di cui sopra. Studi di settore. La fonte normativa degli studi di settore è l'art. 62- bis d.l. n. 331/03 convertito nella l. n. 427/93 il quale dispone che gli Uffici dell'A.E., sentite le associazioni professionali e di categoria, procedono all'elaborazione di appositi studi in relazione ai vari settori economici. Si tratta di un accertamento analitico – induttivo fondato su presunzioni semplici, il quale consente la determinazione presuntiva dei ricavi o dei compensi del contribuente sulla base di una sua capacità potenziale a produrli, determinata dall'analisi dei dati dichiarati dal contribuente e di altri elementi extracontabili. Il contribuente, la cui dichiarazione non dovesse risultare congrua e coerente con gli studi di settore, è sottoposto all'azione di accertamento. L'amministrazione, nella motivazione dell'atto impositivo, deve tenere conto delle argomentazioni addotte dal contribuente nel contraddittorio endoprocedimentale l'incongruenza riscontrata tra ricavi dichiarati ed accertati, mancando del requisito della gravità, non può legittimare la rettifica induttiva del reddito. Va sanzionata con la nullità gli avvisi di accertamento la cui motivazione sia fondata solo sullo scostamento rilevato tra il reddito dichiarato e quello accertato mediante gli studi di settore. Nei casi di accertamenti standardizzati fondati su studi di settore, l'amministrazione deve integrare la motivazione degli atti impositivi dimostrando, in concreto, l'applicabilità dello standard prescelto ed esplicando, altresì, le motivazioni che hanno indotto l'Ufficio a disattendere le argomentazioni addotte dal contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale. In sede di contraddittorio il contribuente può giustificare lo scostamento mediante circostanze di fatto quali vicinanze di altre strutture i”, inagibilità delle strade per lavori”, chiusura successiva dell'attività per riduzione del giro d'affari”, tutte situazioni facilmente verificabili dall'Ufficio. La fase del contraddittorio è obbligatoria nei casi di accertamenti standardizzati mediante studi di settore, i quali costituiscono un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma nasce, appunto, solo in esito al contraddittorio. Tale fase fornisce al contribuente un utile strumento, ovvero la facoltà di produrre la prova contraria atta a contestare la pretesa del Fisco, senza limitazione alcuna, dimostrando la sussistenza di circostanze di fatto che, ad esempio, possano fare escludere l'applicabilità dello standard prescelto mediante lo studio di settore, o possano giustificare un reddito inferiore a quello accertato mediante il sistema standardizzato. Laddove il contribuente si adoperi in tal senso, l'Ufficio è tenuto a motivare l'atto l'impositivo, pena la nullità dell'avviso di accertamento, confutando le argomentazioni del contribuente, ergo, dimostrando che le ragioni e le circostanze dallo stesso allegate, siano state adeguatamente valutate. Ferma la facoltà del contribuente sia nella fase amministrativa che in quella contenziosa, di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente .

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 27 febbraio – 20 settembre 2017, n. 21747 Presidente Bruschetta – Relatore Tedesco Fatti di causa La commissione tributaria provinciale di Bergamo accoglieva in parte il ricorso della società contro l’avviso di accertamento emesso sulla base di studi di settore per l’annualità 2005 in particolare ha ridotto il maggiore imponibile a un importo inferiore rispetto a quello indicato nell’atto impositivo impugnato. La sentenza è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia Ctr , che ha rigettato sia l’appello principale del Fisco, sia l’appello incidentale della società, finalizzato ad ottenere una pronuncia del tutto favorevole. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, cui l’Agenzia delle Entrate reagisce con controricorso. Il collegio ha autorizzato la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Ragioni della decisione Il primo motivo deduce, in relazione all’art. art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 62-sexies d.l. 30 agosto 1993, n. 331 e dell’art. 30 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. In primo luogo la sentenza è censurata, fra le altre ragioni, per avere ritenuto legittima la ricostruzione presuntiva del reddito sulla base degli studi di settore, genericamente, a fronte delle discrasie evidenziate dalla società per tre anni di seguito . Il motivo è fondato nei limiti di seguito indicati. In materia è stato chiarito che l’Amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli artt. 39, primo comma, lett. d , del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, allorché si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore di cui all’art. 62 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ma solo quando venga ravvisata una grave incongruenza secondo la previsione del successivo art. 62 sexies, trovando riscontro la persistenza di tale presupposto - nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva - anche dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur non contemplando espressamente il requisito della grave incongruenza, compie un rinvio recettizio al menzionato art. 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993 Cass. n. 20414/2014 . Questa Corte ha anche chiarito che l’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1 gennaio 2007, in base all’art. 1, comma 23, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l’aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle gravi incongruenze , prima operato tramite il rinvio recettizio all’art. 62 sexies, comma 3, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1993, n. 427 Cass. n. 26481/2017 . La sentenza è poi censurata per avere qualificato la presunzione nascente dagli studi come presunzione legale. In linea di teorica la qualificazione è discutibile, ma ciò non toglie che l’eventuale errore di qualificazione non ha avuto conseguenze sulla decisione del resto è principio acquisito nella giurisprudenza di questa Suprema corte che gli studi di settore, una volta che sia stato osservato il rispetto del requisito del contraddittorio e gli oneri che ne discendono a carico del Fisco sul piano della motivazione dell’atto impositivo, assurgono al ruolo della presunzione idonea a spostare sul contribuente l’onere della prova contraria Cass. n. 10242/2017 . L’errore della sentenza, pertanto, non è in questo passaggio motivazionale, e cioè nell’avere attribuito allo studio di settore un valore probatorio diverso da quello effettivo, ma esclusivamente nell’aspetto sopra indicato, e cioè che, fermo il rispetto dell’iter procedimentale e l’essenzialità del contraddittorio preventivo, l’inversione dell’onere probatorio nascente dallo studio non è correlata a una generica nozione di discrasia , ma richiede la sussistenza di una grave incongruenza del reddito dichiarato rispetto a quello risultante dallo studio di settore. Il motivo, per questa parte, va pertanto accolto, con assorbimento degli altri motivi. Si giustifica quindi la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi al principio di cui sopra. P.Q.M. accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso dichiara assorbiti tutti gli altri cassa la sentenza in relazione al motivo accolto rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.