Prelevamenti bancari? La prova dell’inerenza con l’attività dell’impresa non serve

Nell’ambito delle indagini finanziarie le imprese non sono tenute a dimostrare l’inerenza nella loro attività dei prelevamenti effettuati sul conto corrente bancario. Tale prova è da considerarsi superata qualora gli assegni siano stati regolarmente contabilizzati dall’impresa stessa.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 9761/17 depositata il 18 aprile. Il caso. La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla società di trasporti e spedizioni avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva parzialmente respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRES. La CTR affermava che la ripresa relativa alle uscite di cassa” era fondata , non avendo la società contribuente assolto all’ onere contro probatorio della presunzione legale relativa di cui agli artt. 32, d.P.R. n. 600/1973, con particolare riguardo alla inerenza” del prelevamento oggetto della ripresa alla sua attività di impresa. La società contribuente ricorre per cassazione. Si costituisce tardivamente l’Agenzia delle Entrate. L’inerenza dei prelievi. La Cassazione coglie l’occasione per ribadire il principio di diritto secondo cui in tema di IVA, l’art. 51 d.P.R. n. 633/1972 consente all’amministrazione finanziaria di rettificare su basi presuntive la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti di conti bancari dallo stesso intrattenuti . La presunzione di omessa fatturazione di ricavi conseguiti dalla società contribuente, insieme ai prelievi operati sui conti correnti bancari, considerati uscite di cassa”, deve dirsi superata ogni qual volta gli assegni siano stati regolarmente contabilizzati dalla medesima società. Non solo, anche quando tale società abbia fornito giustificazioni in ordine al transito ed al conteggio in contabilità dei dati in questione . Nella fattispecie, la sentenza emessa dalla CTR è in palese contrasto con il principio sui citato poiché introduce l’ulteriore onere probatorio della inerenza” del prelevamento finanziario all’attività d’impresa, non pertinente alla presunzione legale in questione. Per tutti questi motivi, al Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Inoltre, decidendo nel merito accoglie anche il ricorso originario della società contribuente, nei limiti di cui in motivazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 2 marzo – 18 aprile 2017, n. 9761 Presidente Cirillo – Relatore Manzon Fatto e diritto Rilevato che Con sentenza in data 16 settembre 2015 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente l’appello proposto da Trasporti e Spedizioni F.lli C. srl avverso la sentenza n. 3727/12/14 della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva parzialmente respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRES ed altro 2007. La CTR osservava in particolare che la ripresa relativa alle uscite di cassa era fondata, non avendo la società contribuente pienamente assolto il proprio onere contro probatorio della presunzione legale relativa di cui agli artt. 32, d.P.R. 600/1973, con particolare riguardo alla inerenza del prelevamento oggetto della ripresa stessa alla sua attività di impresa. Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare al contradditorio orale. Considerato che Con il primo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 32, d.P.R. 600/1973, 51, d.P.R. 633/1972, poiché la CTR ha ritenuto che il suo onere controprobatorio consistesse non soltanto nell’indicazione dei beneficiari dei prelevamenti de quibus e della relativa contabilizzazione, ma anche nella dimostrazione del requisito dell’inerenza all’attività di impresa come previsto dall’art. 109, comma 5, TUIR. La censura è assorbentemente fondata. Va infatti ribadito che In tema di IVA, l’art. 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, consente all’amministrazione finanziaria di rettificare su basi presuntive la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti su conti bancari dallo stesso intrattenuti. La presunzione, di cui al citato art. 51, di omessa fatturazione di ricavi conseguiti dalla società contribuente, correlata agli accertati prelevamenti operati sui conti correnti bancari, ritenuti uscite di cassa , deve ritenersi superata qualora gli assegni siano stati regolarmente contabilizzati dalla medesima società e la stessa, come suo onere, fornisca giustificazioni in ordine al transito ed al conteggio in contabilità dei dati in questione Sez. 5, Sentenza n. 14420 del 08/07/2005, Rv. 582676 - 01 . La sentenza è palesemente contraria a questo principio di diritto, poiché in particolare introduce un ulteriore onere probatorio ossia quello della inerenza della movimentazione finanziaria all’attività di impresa, che non è affatto pertinente alla presunzione legale relativa di che si tratta, bensì alle tutt’affatto differenti previsioni normative di cui all’art. 109, quinto comma, TUIR, riguardando infatti tale disposizione legislativa le componenti negative del reddito di impresa e non quindi quelle positive, quale quella in questione. Va poi peraltro notato che il finanziamento de quo è comprovatamente riferito ad un’ impresa individuale collegata e deve quindi considerarsi in termini di una normale condotta infragruppo. La denunciata violazione di legge de qua deve quindi ritenersi pienamente sussistente. Il ricorso va dunque accolto in relazione al primo motivo, assorbiti il secondo ed il terzo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va accolto il ricorso della società contribuente nella parte oggetto dello scrutinio in questa sede di legittimità. Stante l’esito alterno del processo nei gradi di merito e nel giudizio di legittimità nonché tenuto conto della reciproca soccombenza, le spese processuali possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso originario della società contribuente nei limiti di cui in motivazione compensa integralmente tra le parti le spese processuali.