Il contribuente che si affida al commercialista abusivo non può essere giustificato

La circostanza per cui un contribuente abbia affidato per più anni l’incarico a persona sprovvista di abilitazione e per questa ragione condannata per esercizio abusivo della professione, evidenzia non solo culpa in eligendo, ma anche in vigilando, in considerazione dell’omissione di qualunque riscontro in ordine allo svolgimento delle attività da espletare.

Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza depositata il 10 marzo 2017, n. 6223. La vicenda. Il Fisco, sulla base dell’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per diversi anni e dell’inosservanza di altri adempimenti contabili, ha recuperato per l’anno 2001 l’IRPEF dovuta da un contribuente, scaturente dalla ricostruzione induttiva dei relativi redditi ed ha irrogato le sanzioni conseguenti. Il Giudice del gravame,in parziale accoglimento dell’appello del contribuente, ha annullato le sanzioni irrogate con atto impositivo, facendo leva sulla buona fede del contribuente, derivante dall’essersi affidato a persona che operava abusivamente come commercialista. Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno accolto il ricorso del Fisco sulla base delle seguenti argomentazioni. La colpa del contribuente. Il contribuente a cui venga contestata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e l’omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di aver incaricato un professionista delle relative adempienze, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova nel caso concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento. Il contribuente deve dare prova della mancanza della propria colpevolezza. Senz’altro tale prova non scaturisce dall’essersi affidato ad una persona apparentemente esercente attività di intermediario ciò in quanto la mancanza di colpevolezza postula assenza di negligenza, di guisa che occorre che il contribuente il quale affidi ad un commercialista il compito di trasmettere le dichiarazioni all’Agenzia delle entrate vigili sulla corretta esecuzione dell’incarico, a meno che non dimostri che l’intermediario abbia mascherato fraudolentemente il proprio inadempimento. Riflessioni. Ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente per le sanzioni tributarie, occorre che l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza, e la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente Cass. n. 11433/15 n. 5965/14 n. 14042/12 n. 13068/11 . Ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 472/1997, la violazione delle norme tributarie suscettibile di sanzione da parte della legge richiede che il comportamento addebitato sia posto in essere con dolo o anche colpa. All’Amministrazione spetta dunque l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria vantata una volta dimostrata la ricorrenza della fattispecie tipica dell’illecito, compete a chi voglia andare esente da responsabilità dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza Cass. SS.UU. n. 20930/09 . Il principio secondo cui per le violazioni amministrative è richiesta, oltre che l’imputabilità coscienza e volontà della condotta , la colpevolezza dolo o colpa , deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa. È espressione di queste regole l’art. 5 d.lgs. n. 472/97, a norma del quale nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa . In questo contesto, il comma 3 dell’art. 6 del medesimo d.lgs. n. 472/1997 ha codificato un’ipotesi in cui la dimostrazione di determinati fatti ossia l’omessa esecuzione del pagamento di un tributo dovuta a fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi integra una presunzione legale assoluta di mancanza di colpevolezza. Nell’ipotesi di omessa presentazione delle dichiarazioni annuali per diversi anni e di omissione degli ulteriori adempimenti contabili non è configurabile l’ipotesi codificata dal comma 3 dell’art. 6, giacché non si discute del - mero - omesso pagamento del tributo, sibbene dell’omissione di tutte le attività dichiarative ad esso prodromiche e funzionali. L’omissione di vigilanza non può essere considerata dunque esenzione da colpa, ed è di conseguenza sanzionabile. La causa di non punibilità in esame riguarda esclusivamente il mancato versamento delle imposte da parte del contribuente, sostituto o responsabile d’imposta per fatto imputabile a terzi e denunciato all’autorità giudiziaria. anche se la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 6 è intervenuta a disciplinare la fattispecie di omesso pagamento del tributo imputabile al fatto illecito del terzo in modo più ampio rispetto a quella oggetto della l. 423/1995 dal punto di vista soggettivo non si limita a prendere in considerazione la condotta illecita di dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti iscritti negli appositi albi, ma si riferisce a qualsiasi terzo , quest’ultima non è stata abrogata e pertanto si devono ritenere applicabili le previsioni procedimentali dettate dalla l. 423/1995, riguardanti la sospensione della riscossione della sanzione e l’eventuale commutazione” a carico del terzo responsabile. L’affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere per via telematica la dichiarazione dei redditi alla competente Agenzia delle Entrate non esonera il soggetto obbligato alla dichiarazione dei redditi dal vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto Cass. n. 13709/16 . Il contribuente è sempre tenuto a vigilare che il professionista a cui si affida per la presentazione della dichiarazione dei redditi esegua il mandato. L'eventuale colpa o negligenza del commercialista non esonera il contribuente dall'assicurarsi che l'adempimento tributario che lo riguarda sia stato effettivamente posto in essere. L’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi incombe direttamente sul contribuente tenuto a sottoscriverla. Nel caso in cui si avvalga di professionisti per la materiale predisposizione e trasmissione, l’obbligo non è trasferito su questi ultimi, poiché resta esclusivamente a carico del contribuente ogni responsabilità. Il fatto che lo stesso contribuente possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione, non vale a trasferire su di esse l’obbligo dichiarativo che fa carico direttamente al contribuente, il quale deve essere a conoscenza delle relative scadenze. La rilevanza dei compiti svolti dall’intermediario nei confronti del Fisco non vale, infatti, ad escludere la natura privatistica del rapporto tra l’intermediario ed il contribuente, e non comporta, ad ogni modo, la estromissione del soggetto passivo – quello secondo le regole ordinarie – da ogni obbligo inerente al rapporto fiscale cfr. Cass. n. 8630/12 n. 24611/14 . Trattasi di obbligo dichiarativo che fa carico direttamente al contribuente. Gli obblighi fiscali, infatti, hanno carattere strettamente personale e non ammettono sostituti ed equipollenti non possono quindi considerarsi adempiuti dal contribuente con il semplice conferimento dell’incarico ad uno studio professionale. Occorre quindi chiarire a questo riguardo che la rilevanza dei compiti svolti dall’intermediatore nei confronti del Fisco non vale, però, ad escludere la natura privatistica del rapporto tra l’intermediatore ed il contribuente, e non comporta, ad ogni modo, la dedotta estromissione del soggetto passivo – quello secondo le regole ordinarie – da ogni obbligo inerente al rapporto fiscale .

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 31 gennaio – 10 marzo 2017, n. 6223 Presidente Bielli – Relatore Perrino Fatto L’Agenzia delle Entrate, facendo leva su accertamenti della guardia di finanza concernenti l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per diversi anni e l’inosservanza di vari altri adempimenti contabili, ha recuperato per l’anno 2001 l’Irpef dovuta dal contribuente, scaturente dalla ricostruzione induttiva dei relativi redditi ed ha irrogato le sanzioni conseguenti. Inoltre, in assenza delle fatture di vendita, l’Ufficio ne ha ricostruito induttivamente anche il volume di affari, recuperando l’iva dovuta. Il contribuente ha impugnato il conseguente avviso senza successo in primo grado, laddove il giudice d’appello ne ha parzialmente accolto il gravame, limitatamente alle sanzioni, che ha annullato, facendo leva sulla buona fede del contribuente, derivante dall’essersi affidato a persona che operava abusivamente come commercialista, nonché, in relazione all’iva, riconoscendo le poste detraibili vantate. Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui il contribuente non replica. Diritto 1. - Fondato è il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., col quale l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 472/97, là dove la Commissione tributaria regionale ha annullato le sanzioni valorizzando la buona fede del contribuente, manifestatasi nell’affidarsi ad una persona che appariva come consulente. 2. - In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, occorre che l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza, e la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente Cass. n. 11433/15 n. 5965/14 n. 14042/12 n. 13068/11 . All’Amministrazione spetta dunque l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria vantata una volta dimostrata la ricorrenza della fattispecie tipica dell’illecito, compete a chi voglia andare esente da responsabilità dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza Cass., sez.un., n. 20930/09, sia pure resa con riguardo in generale alle sanzioni amministrative . 2.1. - È espressione di queste regole l’art. 5 del d.lgs. n. 472/97, a norma del quale nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa . In questo contesto, il 3° comma dell’art. 6 del medesimo decreto ha codificato un’ipotesi in cui la dimostrazione di determinati fatti ossia l’omessa esecuzione del pagamento di un tributo dovuta a fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi integra una presunzione legale assoluta di mancanza di colpevolezza. 3. - Nel caso in esame, pacifici sono i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria, dati dall’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali per diversi anni e dall’omissione degli ulteriori adempimenti contabili di cui dà conto la narrativa della sentenza impugnata. Di contro, anzitutto non è configurabile l’ipotesi codificata dal 3° comma dell’art. 6 del d.lgs. n. 472/97, giacché non si discute del - mero - omesso pagamento del tributo, sibbene dell’omissione di tutte le attività dichiarative ad esso prodromiche e funzionali. Inoltre, il contribuente non ha dato prova della mancanza della propria colpevolezza. Senz’altro tale prova non scaturisce dall’essersi affidato ad una persona apparentemente esercente attività di intermediario ciò in quanto la mancanza di colpevolezza postula assenza di negligenza, di guisa che occorre che il contribuente il quale affidi ad un commercialista il compito di trasmettere le dichiarazioni all’Agenzia delle entrate vigili sulla corretta esecuzione dell’incarico, a meno che non dimostri che l’intermediario abbia mascherato fraudolentemente il proprio inadempimento da ultimo, in termini, Cass., ord. n. 11832/16 . Nel caso in esame non emerge che il contribuente abbia vigilato sul corretto adempimento dell’incarico affidato anzi, la circostanza che egli abbia affidato per più anni l’incarico a persona sprovvista di abilitazione e per questa ragione condannata per esercizio abusivo della professione, come riferito in sentenza evidenzia non solo culpa in eligendo, ma anche in vigilando, in considerazione dell’omissione di qualunque riscontro in ordine allo svolgimento delle attività da espletare. 3. - Parimenti fondato è il secondo motivo di ricorso, anch’esso proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., col quale l’Agenzia si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 55 del d.P.R. n. 633/72, nonché dell’art. 5 del d.lgs. n. 472/97, là dove il giudice d’appello ha riconosciuto la detrazione dell’iva concernente l’anno d’imposta 2001, sebbene il contribuente non avesse presentato le dichiarazioni per gli anni al 1999 al 2005. Questa Corte Cass. n. 14767/15 ha già avuto occasione di chiarire che il diritto di detrazione sorge nel momento stesso in cui diviene dovuta l’imposta da detrarre in quel momento, però, non si verifica l’automatica estinzione del debito d’imposta, ma, semplicemente, sorge in testa al cessionario il diritto di estinguere il debito esercitando il diritto di detrazione. Quest’ultimo è certamente un diritto potestativo, ma pur sempre occorre che esso sia esercitato. Di qui la conseguenza che la violazione degli obblighi formali di contabilità e di dichiarazione, pur non impedendo di per sé la nascita del diritto di detrazione, può incidere sul suo esercizio, allorquando entro il termine previsto dal legislatore nazionale il relativo titolare non ne faccia uso. E difatti con riguardo ad un caso in cui, pur mancando la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, un’eccedenza d’imposta risultava da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno ed era stata dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, che le sezioni unite di questa Corte Cass., n. 17757/16 hanno stabilito che non può essere negato il diritto alla detrazione, se sia dimostrato in concreto, oppure non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad iva e finalizzati ad operazioni imponibili, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione. 3.1. - Nel caso in esame, di contro, il termine di decadenza, che è quello biennale stabilito dall’art. 19 del d.P.R. n. 633/72, ritenuto più volte compatibile con la normativa unionale da ultimo, Corte giust. 28 luglio 2016, causa C-332/15, Astone inequivocabilmente non è stato rispettato, in considerazione del fatto che nel biennio utile non sono state presentate le prescritte dichiarazioni. 4. - Il ricorso va in conseguenza accolto. Ne deriva la cassazione della sentenza impugnata in relazione ad entrambi i profili. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto dell’impugnazione originariamente proposta per i profili ancora d’interesse. Le peculiarità della vicenda comportano la compensazione delle spese inerenti ai gradi di merito. Quelle concernenti il giudizio di legittimità seguono, invece, la soccombenza. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione originariamente proposta in relazione ai profili ancora d’interesse. Compensa le spese inerenti ai gradi di merito e condanna il contribuente a rifondere quelle inerenti al giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.