Costi rilevanti, accertamento legittimo

L’accertamento induttivo che rileva costi esorbitanti” rispetto ai redditi dichiarati dal contribuente è legittimo.

Con l’ordinanza n. 26078/16, depositata il 20 dicembre, la Corte di Cassazione ha affermato che la mancata dimostrazione dei costi contestati dall’ufficio poteva giustificare costi così elevati solo se il contribuente avesse fornito la prova dell’esistenza ed inerenza dei medesimi. Contesto normativo. L’art. 39 d.P.R. n. 600/1973 disciplina il potere di accertamento dell’ufficio finanziario che in presenza di irregolarità contabili può procedere ad accertamento analitico, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente quando invece riscontri un’inattendibilità globale delle scritture contabili può procedere, ai sensi del secondo comma della stessa norma, al metodo induttivo. L’attività degli Uffici finanziari, comunque, subisce delle limitazioni, essendo prevista una garanzia per il contribuente nei cui confronti siano stati eseguiti verifiche quest’ultimo, infatti, può comunicare all’ufficio, entro il termine di sessanta giorni, osservazioni e richieste che dovranno essere valutate in ordine ai dati ed elementi su cui si fonderà l’accertamento art. 12 l. n. 212/2000 . Il caso. Nella fattispecie in esame il contribuente, esercente attività di tinteggiatura e posa in opera di vetri, ha impugnato gli accertamenti con cui l’ufficio finanziario aveva rettificato il reddito a causa di costi esorbitanti” non dichiarati dallo stesso. In primo e secondo grado è stato accolto il ricorso e annullato l’accertamento. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione ritenendo i costi non credibili e non provati circa la provenienza. Accertamento induttivo. La Suprema Corte ha affermato preliminarmente che la CTR ha respinto l’impugnazione dell’ufficio ritenendo che con i due accertamenti erano stati valorizzati gli importi esposti in dichiarazione, senza valutare che tali elementi non erano sufficienti per giustificare l’importo contestato al contribuente. Il Giudice d’appello di fatto ha omesso di considerare che l’originaria pretesa esposta nei due atti di accertamento riguardava, appunto, la mancata dimostrazione dei costi indicati in dichiarazione dal contribuente. Il recupero dell’IVA e degli altri tributi è dipeso, quindi, dalla mancata dimostrazione dei costi contestati al contribuente come esorbitanti”, atteso che l’ufficio aveva agito sulla base dell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973, che legittima l’accertamento induttivo sulla base di presunzioni ritraibili dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio quando il contribuente non ha risposto agli inviti inoltrati dall’ufficio ai sensi degli artt. 32 d.P.R. n. 600/1973 o dell’art. 51 d.P.R. n. 633/1972. I Giudici hanno posto in evidenza che per l’artigiano, al fine di ottenere l’accoglimento del ricorso, l’unica soluzione sarebbe stata quella di provare l’esistenza ed inerenza dei costi indicati in dichiarazione. Per il motivo di cui sopra i Giudici hanno cassato la sentenza della CTR rinviandola ad altra sezione della Commissione. Orientamenti giurisprudenziali. La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto invece che l’accertamento induttivo è invalido se la differenza tra i coefficienti di ricarico, rispetto a quelli riscontrati nel settore di appartenenza, non è così abnorme” un accertamento di tipo induttivo non è giustificato quando non è rilevante il divario tra i ricavi dichiarati e quelli stimati dall’Ufficio finanziario per l’attività svolta Cass. n. 6389/14 . E’ altresì illegittimo l’avviso di accertamento contenente notizie di indagini di mercato, annunci pubblicitari od altro senza che tali indizi siano motivati e senza ne sia fornita la prova. Pertanto l’ufficio ha l’obbligo di motivare l’atto tributario in virtù delle disposizioni contenute nell’art. 7 l. n. 212/00, obbligo che può adempiersi per relationem ”, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti sent. n. 15348/16 .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 9 novembre – 16 dicembre 2016, n. 26078 Presidente Iacobellis – Relatore Conti L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la sentenza resa dalla CTR della Lombardia indicata in epigrafe, che ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stato annullato l'avviso di accertamento emesso a carico di S.M Nessuna difesa scritta ha depositato la parte intimata. Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata. Il primo motivo di ricorso, che prospetta la nullità della sentenza per motivazione apparente è manifestamente infondato, risultando dall'iter motivazionale seguito dal giudice di appello le ragioni che hanno condotto la CTR a ritenere privo di riscontri l'accertamento a carico del contribuente sulla base di una valutazione correlata all'insufficienza dei costi elevati per giustificare un reddito elevato a carico del contribuente. Non si ravvisano dunque, nella motivazione della CTR, gli elementi che la giurisprudenza di questa Corte richiede per ritenere l'apparenza della motivazione-cfr. Cass. n. 4448 del 25/02/2014-. Il secondo motivo di ricorso è invece manifestamente fondato. Ed invero, la CTR ha rigettato l'impugnazione dell'Ufficio ritenendo che con i due accertamenti erano stati valorizzati gli importi dei costi indicati in dichiarazione, senza tuttavia valutare che tali elementi non erano sufficienti per giustificare l'importo contestato al contribuente. Ora, così facendo il giudice di appello ha omesso di considerare che l'originaria pretesa esposta nei due atti di accertamento atteneva, appunto, alla mancata dimostrazione dei costi esposti in dichiarazione dal contribuente, esercente l'attività di tinteggiatura e posa in opera di vetri, pari ad Euro 190.865 ed Euro 384.480 per i due anni di imposta contestati rispetto ad un reddito dichiarato nei due anni rispettivamente di Euro 11.277 e 34.566. Ora, è evidente che il recupero dell'IVA e degli altri tributi è dipeso dalla mancata dimostrazione dei costi contestati dall'Ufficio al contribuente come esorbitanti, posto che l'Ufficio aveva agito sulla base del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d-bis, che legittima l'accertamento induttivo sulla base di presunzioni ritraibili dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell'ufficio quando il contribuente, come nel caso di specie, non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell'art. 32, comma 1, nn. 3 e 4 , del presente decreto o del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, nn. 3 e 4 . Ne consegue che solo la prova dell'esistenza ed inerenza dei medesimi costi indicati dal contribuente avrebbe potuto giustificare l'accoglimento del ricorso del contribuente. A tanto non si è attenuta la CTR. La sentenza impugnata, in conclusione, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, infondato il primo, va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR Lombardia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia 4d altra sezione della CTR Lombardia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimi.