Legittimo l’accertamento sul maggior reddito: se il denaro proviene da un eredità occorre dimostrarlo

E’ legittimo l’accertamento nei confronti di un contribuente sul maggior reddito se non riesce a dimostrare che le spese familiari sono il frutto di una eredità avuta.

La Corte di Cassazione con la sentenza numero 19257/16 del 28 settembre ha stabilito che l’accertamento sul maggior reddito nei confronti di un contribuente è legittimo la norma contenuta nell’art. 38, comma 6, d.P.R. numero 600/1973, non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o soggetti alla ritenuta alla fonte. Il caso. Una contribuente è ricorsa in Cassazione , nei confronti dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza, con la quale la Commissione Tributaria Regionale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento emessi ex art. 38 d.P.R. numero 600/73 e relativi ad IRPEF per gli anni 2007 e 2008, aveva riformato, in accoglimento dell’appello proposto dall’amministrazione finanziaria, la decisione di secondo grado favorevole alla contribuente stessa. In particolare, il giudice d’appello riteneva che la contribuente non avesse fornito la prova che quanto ricevuto in eredità fosse stato utilizzato per fare fronte alle normali spese di gestione familiare o che fosse rimasta nella disponibilità del contribuente, essendo risultato che quel denaro era stato, invece, utilizzato per altri scopi. Accertamento sintetico cenni. Quando il contribuente assoggettato ad accertamento sintetico è anche imprenditore o professionista, l’Amministrazione finanziaria dispone di ulteriori strumenti induttivi di determinazione del reddito, come gli studi di settore. Tuttavia si tratta di metodi che riguardano la specifica categoria di reddito e sono definiti analitico-induttivi, mentre l’accertamento sintetico-induttivo determina il reddito complessivo del contribuente persona fisica. Gli strumenti analitico-induttivi possono, entro certi limiti, supportare la presunzione rappresentata dal metodo sintetico, integrandola sotto il profilo motivazionale, ma non dal punto di vista quantitativo a meno che non emerga una maggiore evasione in via analitica, nel qual caso, però, il fisco dovrà rinunciare all’accertamento sintetico a favore di quello analitico. Con riguardo a rilievi puramente analitici come l’indeducibilità fiscale di determinati costi, incapaci di esprimere una maggiore potenzialità reddituale, non può in ogni modo trascurarsi come minori costi modificano il reddito complessivo netto, vale a dire la stessa grandezza che il sintetico intende determinare, con evidente incompatibilità del contestuale utilizzo delle due modalità accertative sintetica ed analitica . Il procedimento logico che sta alla base dell’accertamento sintetico può essere così sintetizzato ad ogni spesa sostenuta corrisponde, normalmente, un reddito e, pertanto, attraverso la valutazione di alcune spese collegate alla disponibilità di determinati beni e servizi, si può risalire indirettamente al reddito del contribuente. Si tratta, come si può notare, di un ragionamento a ritroso” rispetto alla logica delle altre forme di accertamento, in quanto il reddito ascrivibile al contribuente viene determinato non considerando le fonti di produzione del reddito stesso, bensì in base a quanto il contribuente ha speso nel periodo d’imposta per consumi e/o investimenti. La dottrina distingue tra accertamento sintetico e accertamento redditometrico”, che del primo rappresenta essenzialmente una sottocategoria. Nell’accertamento sintetico non redditometrico”, spetta all’Amministrazione finanziaria rintracciare gli elementi di spesa da porre a base della rettifica e quantificare, attraverso delle stime, il reddito del contribuente, prescindendo dagli indicatori di reddito previsti dai decreti ministeriali. Nell’accertamento redditometrico”, di cui al secondo periodo della norma in esame, i beni e servizi indicativi di capacità contributiva sono, invece, individuati da un apposito decreto ministeriale, cosicché gli organi di controllo, una volta accertata la disponibilità di tali beni e servizi, devono soltanto applicare i valori reddituali e i coefficienti presuntivi di reddito stabiliti dallo stesso decreto che costituiscono per l’appunto il redditometro” per quantificare il reddito del contribuente. L’onere della prova. I Giudici di legittimità evidenziano che, a norma del d.P.R. numero 600/1973, art. 38, comma 6, l'accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta. In materia, la Cassazione cfr. Cass. numero 8995/14 ha avuto modo di chiarire che la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte , e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere . In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova risultante da idonea documentazione della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi di tipo quantitativo e temporale la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell'accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. È, peraltro, appena il caso di aggiungere che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l'esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame quindi non il loro semplice transito nella disponibilità del contribuente . In conclusione, la Suprema Corte osserva che nel caso in esame la sentenza impugnata, a seguito di un accertamento che è rimasto incontrastato, aveva affermato che il denaro era stato usato per altri scopi e come prova di tale affermazione facevano testo le registrazioni dei movimenti bancari dalle quali emergono donazioni ai figli e accrediti su altri conti corrente. Il ricorso è, pertanto , respinto con condanna al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, sentenza 16 giugno - 28 settembre 2016, n. 19257 Presidente Iacobellis – Relatore Crucitti In fatto M.O. ricorre, affidandosi ad unico motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate che resiste con controricorso avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia - in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento emessi ex art. 38 del d.p.r. n. 600/73, relativi ad Irpef per gli anni 2007 e 2008 - aveva riformato, in accoglimento dell’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria, la decisione di secondo grado favorevole alla contribuente. In particolare, il Giudice di appello riteneva che la contribuente non avesse fornito la prova che quanto ricevuto in eredità fosse stato utilizzato per fare fronte alle normali spese di gestione familiare o che fosse rimasta nella disponibilità dell'appellata essendo, di contro, risultato che quel denaro era stato, invece, utilizzato per altri scopi. A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell’adunanza della Corte in camera di consiglio, ritualmente comunicate, la ricorrente ha depositato memoria. In diritto Con l’unico motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 38 del d.p.r. n. 600/1973 laddove la Commissione Regionale aveva ritenuta necessaria la prova dell’effettivo e puntuale utilizzo delle somme ricevute in eredità. A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, infatti, l'accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta. In materia, questa Corte cfr. Cass. n. 8995/2014 ha avuto modo di chiarire che la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte , e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere . In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova risultante da idonea documentazione della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi di tipo quantitativo e temporale la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell'accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. È, peraltro, appena il caso di aggiungere che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l'esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame quindi non il loro semplice transito nella disponibilità del contribuente . Nella specie, la sentenza impugnata si è mossa lungo tale solco interpretativo laddove, peraltro, con accertamento in fatto rimasto incontrastato, il Giudice di appello ha affermato che, per contro, come risultato, il denaro ricevuto in eredità era stato utilizzato per altri scopi, quali donazioni ai figli ed accrediti su altri conti correnti, come emerso dalle registrazioni delle movimentazioni bancarie. Ne consegue il rigetto del ricorso c la condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali, liquidate come in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali liquidate in complessivi euro 2.050,00 oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.