CT, ammessa dichiarazione del terzo

Il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi, con valore di elemento indiziario, va riconosciuto nel giudizio tributario al contribuente.

L’importante principio è contenuto nella sent. numero 18065/2016 della Corte di Cassazione da cui emerge che detto potere va riconosciuto non solo all’Amministrazione ma anche al contribuente, con lo stesso valore probatorio, dando in tal modo concreta attuazione al principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost Poteri del giudice tributario. L’art. 7, comma 4, d.lgs. numero 546/1992 dispone che Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale , sancendo, quindi, un divieto perentorio in merito all’ammissibilità delle prove testimoniali nel processo tributario. Il suddetto principio di divieto comunque è soggetto a limitazioni che la giurisprudenza ha riconosciuto nel corso degli anni. Tale divieto risulta venire meno in presenza di dichiarazioni rese dai terzi es. l’atto notorio contenente le dichiarazioni rese dal genitore del contribuente , ponendosi il problema circa la loro utilizzabilità nel processo tributario. Le dichiarazioni rese da terzi . Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, le dichiarazioni di terzi sono ammesse nel processo fiscale, non a titolo di fonti di prova in senso proprio, ma piuttosto a titolo di sussidio all’accertamento, che deve, comunque, essere sostenuto da ulteriori elementi. Il giudice tributario deve attribuire a tali dichiarazioni es acquirenti di appartamenti , pur non assurgendo a prova decisiva, il ruolo di elemento indiziario, da valutare unitamente agli altri elementi, ad esempio le presunzioni, la documentazione acquisita, le movimentazioni finanziarie, la mancata contestazione dell’Amministrazione. In altri termini, le dichiarazioni testimoniali, se non possono costituire prova nel processo tributario, in virtù del divieto contenuto nell’art. 7, comma 4, D.Lgs. numero 546/1992, possono confermare il quadro accusatorio in mano al giudice. valore di elementi indiziari. La giurisprudenza di legittimità, richiamando un principio espresso dai giudici delle leggi sent. n, 18/2000 , ha ritenuto che le dichiarazioni rese dai terzi hanno un’efficacia diversa da quelle testimoniali, dovendosi necessariamente riconoscere anche al contribuente lo stesso potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale”, in attuazione del principio del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione, per garantire il diritto delle parti nonché l’effettività del diritto di difesa cfr. Cass . numero 5018/2015 numero 11785/2014 numero 7707/2013 . Nel caso di specie l’ufficio finanziario, a seguito di indagine della GdF, ha rideterminato il reddito di impresa in base a movimentazioni di conti correnti e libretti di deposito. Il ricorrente, socio in una delle società accertate, ha impugnato l’avviso di accertamento eccependo, tra l’altro, che la sentenza di secondo grado non avrebbe valutato alcune dichiarazioni scritte e non prove testimoniali rese da soggetti terzi circa la provenienza delle somme contestate. I principi del giusto processo. La Corte ha ritenuto che il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice non sono idonei a costituire da soli, il fondamento della decisione, deve essere riconosciuto non solo all’Amministrazione, ma anche al contribuente, con lo stesso valore probatorio. In tal modo viene data concreta attuazione ai principi del giusto processo, come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., al fine di garantire il principio della parità delle parti processuali nonché l’effettività esercizio del diritto di difesa.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 8 luglio – 14 settembre 2016, n. 18065 Presidente Cappabianca – Relatore Cricenti Fatti di causa A seguito di indagine della Guardia di Finanza a carico di alcune società di cui M. S. risultava socio, ed al rinvenimento presso alcune banche di conti correnti e di libretti di deposito nella disponibilità del contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha rideterminato il reddito del S. sulla base dei movimenti di conto corrente e di quelli relativi ai diciassette libretti di deposito a risparmio, presumendo ex art. 32 DPR 600 del 1973 che quei versamenti rappresentassero redditi sottratti alla imposizione. L’accertamento ha riguardato gli anni dal 1999 al 2002. Il ricorso del contribuente avverso tale accertamento è stato rigettato dapprima dalla Commissione provinciale e, poi, da quella Regionale. Quest’ultima ha ritenuto legittimo il ricorso alla presunzione ex art. 32 anche per i redditi delle persone fisiche prive di contabilità ed ha stabilito che il contribuente non ha fornito la dimostrazione che quei versamenti riguardavano operazioni societarie anziché introiti a lui imputabili. Il S. propone ora ricorso per cassazione avverso tale decisione formulando otto motivi di censura. Resiste con controricorso l’Agenzia. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 32 1° comma DPR n. 600 del 1973. Secondo il contribuente, il Fisco non può utilizzare per le rettifiche del reddito di cui all’art. 38 stesso DPR i dati e gli elementi acquisiti secondo le modalità richiamate dall’art. 32 cit. trattandosi di elementi utilizzabili solo nei confronti di soggetti che abbiano una contabilità formale, e non nei confronti di persone fisiche che invece ne siano prive. In particolare, secondo il ricorrente, utilizzare le risultanze bancarie per rettificare il reddito di una persona fisica che non tiene scritture contabili significa che l'onere della prova contraria ossia, dimostrare che di quei movimenti in realtà si è tenuto conto nella dichiarazione è eccessivamente rigoroso ed irragionevole, contrario al diritto di difesa, per un contribuente che non tiene scritta la propria contabilità. Il motivo è infondato. Come già evidenziato da questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuità, le citate disposizioni articoli 32 e 38 DPR 600 del 1973 hanno portata generale e si riferiscono a qualsiasi contribuente, quale che sia l’attività da questi svolta e quale che sia la fonte dei suoi redditi. Ed infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari cui fa riferimento il comma 1 dell’art. 32 cit. assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, salvo che il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione ex art. 32 cit. Sez. 5, n. 15050 del 2014 Sez. 5 n. 19692 del 2011 . La circostanza che la norma faccia espresso riferimento alle scritture contabili non significa che limita l’utilizzo dei dati di conto corrente solo nei confronti degli imprenditori o dei lavoratori autonomi, escludendola nei confronti di persone fisiche che non tengono scritture contabili. Significa soltanto che i prelevamenti non possono essere utilizzati come presunzione di reddito per le persone fisiche, essendo la spesa non indicativa, per tali ultimi soggetti di un reddito corrispondente, al contrario che per gli imprenditori v. Corte cost. n. 228 del 2014, che invece, quanto ai prelievi, ha escluso la presunzione di reddito per i lavoratori autonomi , a differenza che dei versamenti che invece sono indicativi di reddito per entrambi Sez. 5 n. 15050 del 2014 Sez. 5 n. 19692 del 2011 Sez. 5 n. 15708 del 2011 . E, nella fattispecie, la rettifica del reddito prende le mosse, per l’appunto, da versamenti e non da prelievi sul conto. 2. Con il secondo motivo il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32 DPR n. 600 del 1973. Sostiene che l’Agenzia aveva l’obbligo di specificare le fonti di produzione dei redditi non dichiarati e dunque specificare quale tra le fonti di cui al DPR n. 917 del 1986 sia stata produttiva del reddito imputato al contribuente. Il motivo è infondato. Da un lato, infatti, va ribadito che l’ufficio erariale non ha alcun obbligo di individuare e quindi, di provare la fonte di produzione del reddito, e di conseguenza, di specificare quale delle fattispecie indicate nel DPR n. 917 del 1986 sia produttiva di quest’ultimo Sez. 5 n. 1505 del 2014 . Per altro verso, la pretesa del contribuente a che il Fisco indichi a quali fonti imputare i maggiori redditi, non corrisponde ad un interesse ad agire art. 100 c.p.c. , in ragione del fatto che compete al contribuente l’onere di provare la natura non reddituale di quelle somme sez. 5 n. 1439 del 2006 Sez. 5, n. 1505 del 2014 . 3. Con il terzo motivo il contribuente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c Sostiene che tutto quanto da lui dedotto in primo grado, relativamente alla fonte di quei versamenti, ossia le ragioni da lui addotte a giustificazione di quelle operazioni, non è stato oggetto di contestazione da parte dell’Agenzia, cosi che il giudice di appello, cui l’eccezione relativa era stata fatta, avrebbe dovuto assumere come provate le deduzione del contribuente, per via della regola di non contestazione. Il motivo è infondato. E' di certo vero che anche nel processo tributario opera il principio di non contestazione Sez. 5 n. 2196 del 2015 ma già Sez. 5 n. 1540 del 2007 . Ma qui il suo richiamo appare fuori luogo. In realtà, il Fisco si giova della presunzione ex art. 32 cit. a fronte della quale è onere del contribuente provare il contrario. Chi si giova della presunzione a suo favore non ha l’onere di contestare la prova contraria. Se non la contesta, si fa solo questione della attitudine o meno di quella prova contraria a vincere la presunzione. Cosi che il giudice di appello, che abbia ritenuto non sufficienti le allegazioni che il contribuente ha addotto per vincere la presunzione a suo sfavore, e lo abbia fatto pur in presenza di una insufficiente contestazione di tali allegazioni da parte del Fisco, non viola il principio di non contestazione, proprio perché il Fisco si avvale semplicemente della presunzione, e non ha l’onere di contestare la prova contraria. Semmai è una questione di corretta valutazione delle risultanze probatorie, stabilire se le prove offerte dal contribuente siano o meno sufficienti a vincere la presunzione. 4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta omessa o insufficiente motivazione quanto alla rilevanza delle giustificazioni offerte relativamente ai versamenti in conto corrente. Il motivo è inammissibile in quanto denuncia sotto l’aspetto del difetto di motivazione una questione di valutazione della prova. Ed infatti, la CTR ha ritenuto che le giustificazioni offerte dal contribuente avrebbero dovuto riguardare specificamente ogni singola posta, anziché essere generiche. Ha in particolare osservato che verificando una per una le giustificative portate dall’appellante si riscontra il tentativo di risalire dai dato contabile alla motivazione per approssimazione, non coincidendo né le cifre e neppure le date. Non è possibile ritenere giustificata una somma introitata in una particolare data con una maggiore o minore somma riscontrabile in date diverse manca l’elemento della causalità diretta. Come pure per l’elemento dell’ingresso nei conti correnti di somme in contanti non essendo giustificate altrimenti che non possono essere giustificabili con versamenti dello stipendio lavorativo della moglie, mancando ogni documentazione relativa al ricevimento del quibus in contanti e non, come prassi, in assegno o con accredito bancario diretto . La sentenza impugnata dà atto di avere preso in considerazione ogni singola posta, e di non aver ritenuto, per le ragioni sopra riportate, sufficientemente fornita la prova contraria da parte del contribuente. Cosi che non v’è difetto di motivazione, e la censura del ricorrente si risolve in una diversa doglianza quanto alla corretta valutazione della risultanza istruttoria. 5. Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c, unitamente alla violazione dell’art. 32 DPR 600 del 1973. La sentenza impugnata, secondo il contribuente, non avrebbe tenuto conto della eccezione fatta sin dall’inizio dal contribuente secondo cui il conto corrente n. 12341 era cointestato alla moglie, con la conseguenza che, in ipotesi, solo la metà dei versamenti su detto conto operati poteva essere imputata come reddito occulto a lui. Il motivo è infondato. Quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c. è da dire che il giudice di appello ha ritenuto coperta dalla presunzione la questione della cointestazione del conto, attesa la sua materiale disponibilità da parte del ricorrente, ed ha dunque deciso sulla relativa eccezione. Ma, non v’è neanche violazione dell’art. 32 cit. per aver la CTR ritenuto come imputabile l’intera somma presente sul conto anziché la metà , proprio in quanto è orientamento costante di questa Corte quello per cui la materiale disponibilità del conto fa presumere la riferibilità delle somme in capo al soggetto che ne dispone anche se il conto è formalmente intestato a terzi da ultimo Sez. 6 ord. N. 1898 del 2016 Sez. 5 n. 20981 del 2015 sin da Cass. sez 5 n. 7957 del 2007 . 6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia nuovamente la violazione dell'art. 112 c.p.c. assumendo che la sentenza impugnata avrebbe pronunciato oltre il domandato relativamente alle somme versate sui 17 libretti. Sostiene il contribuente di avere sempre giustificato quelle somme dicendo che appartenevano non a lui ma alla società Antress srl. La CTR avrebbe dapprima accolto la tesi del contribuente secondo cui i libretti appartenevano alla società, ma poi avrebbe concluso contraddittoriamente che le somme che vi risultavano depositate in realtà costituivano dividendi occulti da lui percepiti. L ultrapetizione starebbe nel fatto che nell’avviso di accertamento è detto che i 17 libretti sono nella disponibilità del Sette, con la conseguente presunzione che le somme siano anche redditi di quest’ultimo. L’avere specificato che quelle somme sono provento di dividendi societari costituirebbe ultra petizione. Il motivo è infondato. Invero, attesa la stessa prospettazione del ricorrente, il giudice di appello si sarebbe limitato soltanto a dare ai fatti una ricostruzione autonoma, non incompatibile con l’avviso di accertamento. Quest’ultimo attribuisce le somme sui libretti al ricorrente sulla base del fatto che costui ne aveva la disponibilità. Mentre la sentenza aggiungerebbe a limite considerazioni sulla provenienza di tale somma dividendi societari . E’ orientamento di questa Corte che Il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall'art. 112 cod. proc. civ., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa alla stregua delle risultanze istruttorie autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante sez. 3 n. 16809 del 2008 Sez. L. 2209 del 2016 . Si tratta allora di una qualificazione della fattispecie che nei suoi elementi costitutivi rimane quella descritta nell’avviso di accertamento somme nella disponibilità del contribuente e dunque presunte come suoi redditi . 7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia omessa insufficiente e contraddittoria motivazione quanto alla imputazione delle somme rinvenute sui libretti al portatore. Secondo il ricorrente il fatto di avere ritenuto le somme presenti sui libretti come derivanti dalla attività commerciali della Antress, non poteva, se non per contraddizione, portare ad affermare che esse fossero del contribuente, senza curarsi di dimostrare II passaggio dall’una all’altro, e senza considerare che il contribuente non era l’unico socio. Il motivo è infondato. La decisione impugnata si limita a tener conto della presunzione, derivante dall’accertata disponibilità dei libretti da parte del contribuente, e ritiene che quest’ultimo non abbia vinto la presunzione, nemmeno sostenendo che si trattava di ricavi in nero delle società. Afferma infatti il giudice di merito che l’ammissione di ricevimento di numerosissimi importi tramite ricavi in nero derivanti dalle attività commerciali della società Antress non fa divenire quelle somme e di conseguenza quei libretti di proprietà della Antress srl, ma costituisce, fino a prova contraria, il ricavato del contribuente dall’attività extracontabile della società , ed aggiunge che il ricorrente non ha dimostrato il contrario. Cosi che la motivazione fa leva sulla presunzione di imputabilità del reddito ex art. 32 cit al possessore del libretto, e sulla mancanza di prova contraria, ed è pertanto motivazione adeguata e coerente. 8. -Infine, con l’ottavo motivo, il ricorrente si duole del fatto che la CTR ha erroneamente interpretato l’art. 7 D.lvo 546/1992 e dell’art. 2697 c.c. . La decisione di appello avrebbe errato nel ritenere non valutabile le dichiarazioni scritte contenenti attestazioni di terzi soggetti circa la provenienza delle somme, con l’argomento che nel processo tributario non sono ammesse le prove testimoniali e senza tener conto che non si trattava di prove di quel tipo. Il motivo è fondato Il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione, va riconosciuto non soltanto all'Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente, con il medesimo valore probatorio, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l'effettività del diritto di difesa Cass. N. 5018 del 2015 Cass. 14 maggio 2010, n. 11785 conformi, Cass. 20028/11 e 8987/13 . Il motivo va in conseguenza accolto e la sentenza cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale di Bologna, affinché valuti la rilevanza della dichiarazione extraprocessuale della quale dà conto il contribuente. P.Q.M. Accoglie l’ottavo motivo, rigetta tutti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Bologna, in diversa composizione anche per le spese.