Legittimo l’accertamento presso i clienti se l’ispezione evidenzia che i pagamenti sono superiori al fatturato

E’ legittimo l’accertamento nei confronti di un professionista se l’ispezione presso i suoi clienti dimostra che il fatturato in dichiarazione è inferiore ai pagamenti effettuati.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17810, del 9 settembre 2016, ha affermato che è da considerarsi legittimo l’accertamento effettuato nei confronti di un professionista quando l’ispezione, presso i suoi clienti, evidenzi che i pagamenti sono superiori al fatturato indicato in dichiarazione dei redditi. Il caso. Con processi verbali di constatazione e in particolare a seguito di elementi forniti da clienti di un professionista, la Guardia di Finanza appurava che lo stesso professionista operava in evasione d'imposta. Su tali presupposti il fisco emetteva atto impositivo per l'anno 2003, dal quale scaturiva il contenzioso giudiziario conclusosi in primo grado in senso favorevole al contribuente l'Agenzia delle Entrate ha proposto, con successo, appello perché fosse confermata la legittimità della ripresa fiscale limitatamente ai maggiori compensi non dichiarati e sottoposti a tassazione. Il professionista avverso la sentenza sfavorevole si è rivolto in Cassazione. I giudici di legittimità evidenziano che, con il primo motivo di ricorso, il contribuente denuncia la violazione di norme di diritto sostanziali artt. 32 e 39 d.P.R. 600/1973, art. 51 d.P.R. 633/1972, art. 2697 c.c. censurando la sentenza d'appello laddove non rileva l'asserito difetto di motivazione dell'atto impositivo e ritiene fondata la ricostruzione del reddito mediante l'utilizzo d'informative assunte senza contraddittorio presso clienti e di riscontri costituiti da fotocopie, matrici e numeri di assegni e da asserzioni di pagamenti in contanti, il tutto in assenza di ulteriori elementi volti a conferire certezza al quadro probatorio. Dichiarazioni rese da un terzo Per i giudici di legittimità tale motivo non è fondato com'è noto, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell'avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell'Ufficio. Il diritto interno, tanto in materia di imposte dirette d.P.R. n. 600/1973, art. 39, comma 2, e art. 41 comma 2 quanto in tema d'imposta sul valore aggiunto D.P.R. 633/1972, artt. 54 e 55, comma 1 consente l'ingresso nell'accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate , secondo i canoni caratteristici della prova per presunzioni. Con il secondo motivo, il professionista, denunciando violazione dell'art. 39 d.P.R. n. 600/73, censura la sentenza d'appello laddove reputa legittimo l'avviso di accertamento ancorché esso si sia concretato nell'uso contemporaneo di tre diverse metodologie di rettifica, cioè induttiva, analitica e sintetica. Per la Corte di Cassazione, in linea generale, nulla esclude che l’Amministrazione finanziaria possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni oppure contemporaneamente delle varie metodologie legali per cui tali motivazioni sono prive di fondamento. Il professionista censura, inoltre, la sentenza d'appello per omessa motivazione laddove, limitandosi ad indicare mere percentuali di pretesi ricavi non contabilizzati dai contribuente sganciate da qualsiasi analisi contabile e da qualsiasi riscontro probatorio per sostenere la legittimità nel merito , non dà contezza delle carenza di riscontri probatori, ammessa dallo stesso ufficio, in merito all'accertamento del 35% dei pretesi maggiori introiti riferiti ai soggetti interpellati extra distretto e del 60% dei pretesi maggiori introiti riferiti ai soggetti interpellati intra distretto . La GdF ha interpellato diversi clienti del professionista. Per la Cassazione anche tale motivo non è fondato il professionista non coglie il senso dell'accertamento di fatto compiuto dal giudice di secondo grado laddove ha rilevato che la G.d.F. ha provveduto ad interpellare numerosi clienti del professionista, sia residenti nei distretto di competenza che extra distretto, accertando nella maggior parte dei casi esaminati il versamento di importi superiori a quelli fatturati sulla base di riscontri oggettivi, costituiti da fotocopie di assegni e da marcia di assegni per un residuo , inoltre, i clienti interpellati hanno indicato il numero dell'assegno mediante il quale avevano provveduto al pagamento. Da ciò ha tratto il convincimento, insindacabile sul piano logico, che per la maggior parte dei casi, dunque, non si è in presenza di semplici informazioni, ma ci si trova di fronte a dichiarazione suffragate da ulteriori riscontri - consistenti in elementi di fatto - che hanno consentito una ricostruzione analitica dei redditi non dichiarati , precisando che la produzione di dichiarazioni terzi [ ] non è preclusa ma lasciata al vaglio del giudice per quanto possa concorrere alla formazione del proprio convincimento . La Corte di Cassazione nel respingere il ricorso conferma integralmente la sentenza dei giudici della commissione tributaria regionale.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 20 luglio – 9 settembre 2016, n. 17810 Presidente Bielli – Relatore Cirillo Ritenuto in fatto 1. Con processi verbali di constatazione e in particolare a seguito di ele menti forniti da clienti del notaio B.S., la Guardia di finanza appurava che il professionista operava in evasione d'imposta. Su tali pre supposti il fisco emetteva atto impositivo per l'anno 2003, dal quale sca turiva contenzioso giudiziario conclusosi in primo grado in senso favorevo le al contribuente, giusta decisione della commissione tributaria provincia le di Caserta n. 240-2006-18. 2. Per la parziale riforma di tale sentenza l'Agenzia delle entrate ha pro posto, con successo, appello perché fosse confermata la legittimità della ripresa fiscale limitatamente ai maggiori compensi non dichiarati e sotto posti a tassazione. L'impugnazione è stata accolta giusta decisione della commissione tributaria regionale della Campania n, 160-2008-20. 2.1 In estrema sintesi il giudice di secondo grado ha rilevato che la G.d.F. ha provveduto ad interpellare numerosi clienti del notaio S., sia residenti nel distretto di competenza che extra distretto, accertando nella maggior parte dei casi esaminati quantificabili nel 39% il versa mento di importi superiori a quelli fatturati sulla base di riscontri oggetti vi, costituiti da fotocopie di assegni e da matrici di assegni per un residuo del 26%, inoltre, i clienti interpellati hanno indicato il numero dell'assegno mediante il quale avevano provveduto al pagamento, mentre solo nel re siduo 35% dei casi i clienti avevano dichiarato di aver pagato per contan ti . Da tutto ciò ha tratto il convincimento che per la maggior parte dei casi, dunque, non si è in presenza di semplici informazioni, ma ci si trova di fronte a dichiarazione suffragate da ulteriori riscontri - consistenti in elementi di fatto - che hanno consentito una ricostruzione analitica dei redditi non dichiarati , precisando che la produzione di dichiarazioni terzi [ ] non è preclusa ma lasciata al vaglio del giudice per quanto possa con correre alla formazione del proprio convincimento . Di contro il contri buente si è limitato ad affermare che le differenze tra le somme versate gli e quelle fatturate sarebbero da imputare a spese anticipate per i clien ti, senza argomentare alcunché sulla circostanza che le somme imputate ad onorari risultano sempre molto inferiori alle presunte spese e senza fornire alcun elemento probatorio al riguardo . 2.2. Sul piano delle forme, il giudice d'appello ha ritenuto che l'ufficio abbia adempiuto all'onere probatorio su lui gravante, perfezionando tale adempimento con la produzione integrale degli allegati al p. v. c. e ha os servato che tale produzione, da ritenersi ammissibile ai sensi dell'art. 58 comma 2 D.Lgs. 546/92, integra [ ] l'obbligo di produrre gli atti richiamati nella motivazione per relationem [ ] considerato che nel caso di specie l'atto presupposto il p.v.c. con i relativi allegati era già a cono scenza del contribuente per averlo confermato e sottoscritto . 3. Per la cassazione della decisione d'appello, la parte privata propone ri corso affidato a cinque motivi. L'Agenzia delle entrate resiste con contro ricorso. Considerato in diritto 0. Preliminarmente, si rileva la carenza di legittimazione processuale del l'altro soggetto evocato dinanzi a questa Corte, il Ministero dell'economia e delle finanze, che non è stato parte nel giudizio di merito v. sentenza di appello ed è oramai estraneo al contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie fiscali. La chiamata ministeriale in sede di cassazione è, dunque, inammissibile e il ricorso va esaminato unicamente riguardo al l'Agenzia delle entrate che è la sola a essere legittimamente intimata. 1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente denuncia la violazione di norme di diritto sostanziali artt. 32 e 39 d.P.R. 600/1973, art. 51 d.P R. 633/1972, art. 2.697 cod. civ. censurando la sentenza d'appello laddove non rileva l'asserito difetto di motivazione dell'atto impositivo e ritiene fondata la ricostruzione del reddito mediante l'utilizzo d'informative as sunte senza contraddittorio presso clienti e di riscontri costituiti da fotoco pie, matrici e numeri di assegni e da asserzioni di pagamenti in contanti, il tutto in assenza di ulteriori elementi volti a conferire certezza al quadro probatorio. Il motivo non è fondato. Com'è noto, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassun to, nel processo verbale di constatazione e recepite nell'avviso di accer tamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell'Ufficio conf., ex plurimis, Cass. 6946/15 . II diritto interno, tanto in materia di imposte dirette d.P.R. 600/1973, art. 39, comma 2, e art. 41 comma 2 quanto in tema d'imposta sul valore ag giunto d.P.R. 633/1972, artt. 54 e 55, comma 1 consente l'ingresso nel l'accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati ac quisiti in forme diverse da quelle regolamentate d.P.R. 600/1973, art. 32 e 33 d.P.R. 633/1972, art. 51 , secondo i canoni caratteristici della prova per presunzioni. Riguardo alla prova dei fatti giuridici la dottrina civilistica ha da tempo chiarito che un dato incontestabile è che tali elementi non sono predeterminati né predeterminabili dalla legge, poiché qualunque cosa, documento o dichiarazione può costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della cau sa. Si può dunque ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici salvo i limiti di cui all'art. 2729 cod. civ. , la via attraverso la quale le prove atipiche possono entrare nel processo civile . Si è aggiunto nella dottrina tributaria che i requisiti tipici di una presunzione semplice non può essere stabilita a priori, ma consegue unicamente alla concreta valu tazione del contenuto indiziario degli elementi tipici, con la precisazione giurisprudenziale che gli elementi assunti a fonte di presunzione non de vono essere necessariamente plurimi potendosi il convincimento del giu dice fondarsi anche su un elemento unico, purché preciso e grave, mentre la valutazione della sua rilevanza, nell'ambito del processo logico applica to in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da mo tivazione adeguata e non contraddittoria Cass. 656/2014 . A tali principi di diritto s'ispira la sentenza d'appello. 2. Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando violazione dell'art. 39 DPR 600/73, censura la sentenza d'appello laddove reputa legittimo l'avviso di accertamento ancorché esso si sia concretato nell'uso contem poraneo di tre diverse metodologie di rettifica, cioè induttiva, analitica e sintetica. Il motivo va disatteso. In tesi generale, nulla esclude che l'Amministrazione finanziaria possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate opera zioni oppure contemporaneamente delle varie metodologie legali Cass. 13350/09 . Peraltro, nella specie, si tratta d'inammissibile questione nuo va non rientrante nel perimetro impugnatorio dell'atto introduttivo del giudizio v. ricorso fg. 4-5 e priva di autosufficienza non risultando la tra scrizione dei passi salienti dell'atto impositivo Cass. 9356/116, 8312/13, 11982/11, 15867/04 . 3. Con il terzo motivo, denunciando violazione dell'art. 58 proc. trib. e dell'art. 2719 cod. civ., il contribuente censura la sentenza d'appello lad dove trascura la tardività delle produzioni documentali fatte dall'ufficio in appello e per di pila senza alcuna attestazione di conformità delle copie esibite agli originali. Il motivo va disatteso. Premesso che non è necessaria l'allegazione di tutti gli atti all'avviso, ba stando il richiamo dei contenuti essenziali Cass. 13110/12, 1906/08 , si rammenta che, nel grado d'appello, il deposito di detti documenti come nuovi è consentito nel rispetto del termine di venti giorni liberi prima dell'udienza di trattazione, analogamente a quanto fissato per le produ zioni documentali in primo grado Cass. 11249/15 conf. 3661/15, 655/14, 20109/12 13110/12, 1906/08 . In ricorso il contribuente parla genericamente di produzione posteriore all'appello senza migliori specifi cazioni, ne deriva l'assoluto difetto di autosufficienza del rilievo. Analoga mente, sempre in difetto di autosufficienza del ricorso, non consta dalla sentenza che vi sia stato tempestivo disconoscimento della produzione documentale fotocopiata, entro la prima udienza o la prima difesa secon do la prescrizione dell'art. 2719 cod. civ. Cass. 13425/14 . 4. Con il quarto motivo il ricorrente censura, sotto il profilo della violazio ne di disposizione statutarie artt. 6-7 , la sentenza d'appello laddove non rileva l'illegittimità dell'avviso di accertamento notificato al contribuente senza l'integrale allegazione del p.v.c. e ritiene questo noto al contribuen te. Il motivo è infondato dovendosi richiamare le considerazioni già svolte in punto di allegazione nel terzo motivo. Quanto al resto si osserva che nel caso di specie l'atto presupposto il p. v. c. con i relativi allegati era già a conoscenza del contribuente per averlo confermato e sottoscritto , così come ha appurato il giudice di me rito con insindacabile accertamento di fatto. Pertanto le disposizioni statu tarie, laddove prevedono che debba essere allegato all'atto dell'Ammini strazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trovano applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione e sottoscrizione Cass. 407/15 . 5. Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per omessa motivazione laddove, limitandosi ad indicare mere percentuali di pretesi ricavi non contabilizzati dal contribuente sganciate da qualsiasi analisi contabile e da qualsiasi riscontro probatorio per sostenere la legit timità nel merito dell'atto impositivo, non dà contezza delle carenza di ri scontri probatori, ammessa dallo stesso ufficio, in merito all'accertamento del 35% dei pretesi maggiori introiti riferiti ai soggetti interpellati extra distretto e del 60% dei pretesi maggiori introiti riferiti ai soggetti interpel lati intra distretto . Il motivo non è fondato. Esso non coglie il senso dell'accertamento di fatto compiuto dal giudice di secondo grado laddove ha rilevato che la G.d.F. ha provveduto ad in terpellare numerosi clienti del notaio S., sia residenti nel distretto di competenza che extra distretto, accertando nella maggior parte dei casi esaminati quantificabili nel 39% il versamento di importi superiori a quelli fatturati sulla base di riscontri oggettivi, costituiti da fotocopie di assegni e da marcia di assegni per un residuo del 26%, inoltre, i clienti interpellati hanno indicato il numero dell'assegno mediante il quale ave vano provveduto al pagamento, mentre solo nel residuo 35% dei casi i clienti avevano dichiarato di aver pagato per contanti . Da ciò ha tratto il convincimento, insindacabile sul piano logico, che per la maggior parte dei casi, dunque, non si è in presenza di semplici informazioni, ma ci si trova di fronte a dichiarazione suffragate da ulteriori riscontri - consistenti in elementi di fatto - che hanno consentito una ricostruzione analitica dei redditi non dichiarati , precisando che la produzione di dichiarazioni terzi [ ] non è preclusa ma lasciata al vaglio del giudice per quanto possa con correre alla formazione del proprio convincimento . Di contro il contribuente nel ricorso non impugna la statuizione della sen tenza laddove si afferma che egli si è limitato ad affermare che le diffe renze tra le somme versategli e quelle fatturate sarebbero da imputare a spese anticipate per i clienti, senza argomentare alcunché sulla circostan za che le somme imputate ad onorario risultano sempre molto inferiori alle presunte spese e senza fornire alcun elemento probatorio al riguardo . Quanto poi all'efficacia di prova presuntiva delle dichiarazioni dei terzi anche se prive di riscontri esterni, si richiama quanto già argo mentato sul punto nella disamina del primo motivo. 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono li quidate in dispositivo a favore dell'agenzia contro ricorrente nessun'altra statuizione in punto di spese va adottata, non avendo l'intimato ministero svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti del Ministero dell'e conomia e delle finanze rigetta il ricorso nei confronti dell'Agenzia delle entrate e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liqui date, a favore dell'agenzia controricorrente, in € =10.000, per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.