IRAP: il termine per il rimborso decorre dal versamento del tributo

Il termine di 48 mesi per il rimborso decorre non dalla data di deposito della sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 2001, ma da quella del versamento del tributo.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15530/16, depositata il 27 luglio. Il caso. Nel 2004 un contribuente esercente arte o professione presenta istanza di rimborso dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive IRAP” nel prosieguo per i periodi di imposta dal 1999 al 2005. Il suo ricorso contro il silenzio-rifiuto oppostogli dall’Amministrazione finanziaria viene accolto dai Giudici di merito in particolare la Commissione Tributaria Regionale ritiene tempestiva l’istanza di rimborso relativa al periodo di imposta 1999, decorrendo il termine di 48 mesi per la sua presentazione dalla data di deposito della sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001, sentenza interpretativa di rigetto con la quale è stato ridefinito il presupposto impositivo della cosiddetta autonoma organizzazione”. Nell’ordinanza n. 15530 del 2016 la Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell’Amministrazione finanziaria e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo, compensando le spese secondo il Giudice di legittimità il termine di 48 mesi per il rimborso decorre non dalla data di deposito della sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 2001, ma da quella del versamento del tributo. L’overrulling riguarda soltanto di effetti processuali e non quelli di natura sostanziale. Il contribuente sostiene che il termine per l’istanza di rimborso debba decorrere dalla data di deposito della sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001, perché soltanto con tale arresto sarebbe stata chiarita, con efficacia interpretativa vincolante, la non debenza dell’IRAP in mancanza di una autonoma organizzazione. La Corte ritiene invece che il mutamento giurisprudenziale possa produrre esclusivamente effetti processuali e non di natura sostanziale, giacché il cosiddetto overrulling” introduce un principio innovatore a tutela dell’affidamento delle parti nella stabilità delle regole del giudizio cfr. Cass., SSUU nn. 15144/2011 e 13676/2014 . A tal fine il Collegio ritiene che debbano ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti 1 si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo 2 che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, cioè tale da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso 3 che il mutamento giurisprudenziale comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte. Nel caso di specie ne consegue che il contribuente non ha potuto riporre alcun affidamento in ordine alla non debenza dell’IRAP in epoca anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001. Le sentenze interpretative di rigetto della Corte Costituzionale non sono vincolanti per l’interprete. Il Giudice di legittimità sostiene inoltre che la pronuncia della Consulta n. 156/2001, essendo una sentenza interpretativa di rigetto, non abbia efficacia erga omnes e che pertanto non sia vincolante per i giudici diversi da quello che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale vagliata in tale occasione. Nei procedimenti diversi da quello a quo infatti il giudice conserva il potere-dovere di interpretare in piena autonomia le disposizioni di legge purché ne dia una lettura costituzionalmente orientata, ancorché differente da quella indicata nella decisione interpretativa di rigetto non basta che il Giudice delle leggi definisca una certa interpretazione come costituzionalmente obbligata e la sola compatibile con le norme della Costituzione perché questa possa imporsi all’osservanza dei giudici, essendo questi ultimi tenuti autonomamente a verificare, con l’suo di tutti gli strumenti ermeneutici dei quali dispongono, se la norma possa realmente assumere quel significato e quella portata e, qualora le premesse ermeneutiche della soluzione proclamata costituzionalmente obbligata travalichino i limiti dell’interpretazione letterale-logico-sistematica, i giudici hanno il dovere di non attenersi a quella soluzione, per la decisiva ragione che, in caso contrario, disapplicherebbero una norma vigente e arrecherebbero un vulnus ai principi di legalità e di soggezione alla legge cfr. Cass. SSUU Pen. 23016/2004 e Corte Cost. n. 299/2005 . Le sentenze interpretative di rigetto della Corte Costituzionale non hanno efficacia retroattiva. La Sesta Sezione esclude altresì che alle sentenze interpretative di rigetto possa essere attribuita l’efficacia retroattiva propria delle declaratorie di incostituzionalità. Ma questa è una sentenza interpretativa di rigetto? Il Collegio nega che la sentenza della Consulta n. 156/2001 possa financo essere considerata una sentenza interpretativa di rigetto, poiché non ha condizionato la legittimità del provvedimento legislativo alla circostanza che lo stesso venga interpretato nei sensi resi palesi dalle motivazioni cfr. anche le ordinanze nn. 286/2001 e 103/2002 . Non basta neppure il responso della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La pronuncia in rassegna sembra porsi in linea di continuità con quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 13676/2014 con riferimento alla individuazione del dies a quo per il calcolo del termine per la presentazione delle domande di rimborso ex art. 38, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, aventi ad oggetto somma versate per il pagamento di tributi dichiarati incompatibili con il diritto europeo nel caso di specie in materia di incentivi all’esodo in quella occasione il Supremo Consesso nomofilattico ha statuito che, allorché un'imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell'Unione Europea, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di overruling non sono invocabili per giustificare la decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di Giustizia, piuttosto che da quella in cui venne effettuato il versamento o venne operata la ritenuta, dovendosi ritenere prevalente una esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, tanto più cogente nella materia delle entrate tributarie, che resterebbe vulnerata attesa la sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei relativi rapporti. Osservazioni. Questo pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – verosimilmente giustificato dall’esigenza di garantire non tanto la certezza giuridica, quanto piuttosto la certezza finanziaria per l’Erario – è stato sollecitato dalla Sesta Sezione con l’ordinanza n. 953/2013. A sommesso avviso di chi scrive tale ultimo arresto contiene argomentazioni condivisibili e suscettibili di essere valorizzate anche con riferimento alla questione posta al centro dell’ordinanza in rassegna. Con l’ordinanza n. 959/2013 , la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha infatti chiesto se una disciplina impositiva nazionale, ancorché incompatibile con il diritto europeo, sia idonea a generare nel contribuente un affidamento meritevole di tutela sulla debenza dell’imposta e, quindi, sulla sussistenza di un ostacolo all’esercizio del diritto al rimborso idoneo ad impedire la decorrenza dei relativi termini di decadenza o di prescrizione. La Sesta Sezione rileva che la più recente giurisprudenza di legittimità, nel tentativo di rendere il principio della intangibilità dei meccanismi decadenziali compatibile con la effettività della tutela dei diritti, ha introdotto temperamenti, sanzionando l’inerzia del contribuente soltanto quando essa sia frutto di trascuratezza, e non quando derivi da forza maggiore o da errore incolpevole, tanto più quando questo errore risulti indotto da soggetti pubblici cfr. la storica sentenza n. 364 del 1988, relativa all’art. 5 c.p., e la sentenza n. 477 del 2002 in tema di notificazioni . Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, il Collegio ritiene che sia particolarmente significativa l’evoluzione in tema di overruling, vale a dire concernente le conseguenze del mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del Giudice della nomofilachia, che porti a ritenere esistenze, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse. A tale proposito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sentenza n. 15144/2011 hanno statuito che, ove l’overruling si connoti del carattere dell’imprevedibilità, deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza dallo stesso derivante nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, avendo quest’ultima comunque creato, sebbene soltanto sul piano fattuale, l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo ne consegue l’ammissibilità della rimessione in termini. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno identificato il fondamento teorico di tali affermazioni nella valorizzazione della tutela dell’affidamento del cittadino, giacché sussiste un non alterabile parallelismo tra legge retroattiva ed interpretazione giurisprudenziale retroattiva, per il profilo dei limiti, alla retroagibilità della regola, imposti dal principio di ragionevolezza [] che autorizza a ritenere che ciò che non è consentito alla legge non possa similmente essere consentito alla giurisprudenza pertanto i mutamenti giurisprudenziali, quale che ne sia la qualificazione, debbono, al pari delle leggi retroattive, a loro volta rispettare il principio di ragionevolezza, non potendo frustrare l’affidamento ingenerato come, nel cittadino, dalla legge previgente, così, nella parte, da un pregresso indirizzo ermeneutico, in assenza di indici di prevedibilità della correlativa modificazione excerpt a da Cass., sez. unite civ., n. 15144/2011 . La tutela del legittimo affidamento copre anche i diritti sostanziali. Il rispetto dell’affidamento del cittadino costituisce norma fondamentale, posta a presidio della regolazione dei rapporti tra legge, giurisprudenza e fattispecie concreta e derivante dal sistema di valori cristallizzato negli artt. 2 e 3 Cost Ciò posto, la Sesta Sezione ritiene che la portata dei principi elaborati in materia di overruling non possa essere circoscritta all’ambito processuale se l’incolpevole affidamento nella certezza del diritto può costituire ragione per una rimessione in termini nell’esercizio di poteri processuali risolvendosi l’overruling [] in un cambiamento delle regole del gioco a partita già iniziata non si vede ragione per escludere che anche con riferimento all’esercizio di diritti sostanziali – il cui concreto esercizio pure soggiace a determinate regole del gioco , quali possono considerarsi i termini di decadenza e prescrizione – sia possibile individuare un punto di ragionevole composizione tra le esigenze di tutela dell’affidamento e le esigenze di salvaguardia della stabilità dei rapporti giuridici . Secondo il Collegio, nel caso della ripetizione delle somme versate in attuazione di norme impositive comunitariamente illegittime, [] vi è piena convergenza tra l’esigenza di rispettare il primato della disciplina comunitaria e l’esigenza di garantire l’affidamento del cittadino nell’apparente cogenza della legge e tali convergenti esigenze vanno entrambe bilanciate con la contrapposta esigenza, certamente anch’essa meritevole di tutela, di salvaguardare la stabilità dei rapporti esauriti e, in particolare, la certezza delle entrate tributarie degli enti impositori . Esaminando la fattispecie sub iudice in questa prospettiva, la Sesta Sezione si chiede – ma la domanda appare meramente retorica – se l’affidamento del contribuente nella cogenza della norma interna e negli indirizzi giurisprudenziali e di prassi amministrativa che quell’affidamento abbiano ingenerato o rafforzato [nel caso di specie, rileva la risoluzione n. 112/2006, sulla cui base l’Agenzia delle Entrate ha respinto le istanze di rimborso avanzate nell’intervallo temporale intercorso tra le due pronunce della Corte di giustizia] non possa essere tutelato interpretando la disciplina nazionale sui termini delle domande di rimborso nel senso che, in caso di tributi comunitariamente illegittimi, detti termini decorrano dalla declaratoria di tale illegittimità da parte del giudice comunitario tutte volte in cui sussistano obiettivi elementi di incertezza sulla legittimità comunitaria della norma impositiva nazionale . La tutela dell’affidamento e l’effettività del primato delle fonti europee sarebbero garantite escludendo dall’area di operatività dei meccanismi decadenziali impeditivi dell’esercizio delle azioni di rimborso – le quali, nel caso in cui l’illegittimità comunitaria affligga una norma impositiva, costituiscono il mezzo di ripristino ex post della legalità comunitaria violata – le ipotesi di inerzia incolpevole, ossia di inerzia giustificata dall’affidamento del contribuente nella legittimità comunitaria della norma impositiva interna che risulti fondato sulla prassi amministrativa o sugli orientamenti prevalenti nella giurisprudenza nazionale .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - T, ordinanza 15 giugno – 27 luglio 2016, numero 15530 Presidente Iacobellis – Relatore Conti In fatto e in diritto B.A. presentava istanza di rimborso relativa all’IRAP versata per gli anni dal 1999 al 2005 in data 19.5.2004. Il successivo silenzio rifiuto veniva impugnato dalla parte contribuente innanzi alla CTP di Forlì che accoglieva il ricorso. L’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza di primo grado con specifico riguardo all’annualità versata dal contribuente nel 1999 e la CTR dell’Emilia Romagna, con la sentenza numero 1507/02/14, depositata il 9 giugno 2014, rigettava il ricorso ritenendo che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale numero 156/2001- dalla quale era emersa la circostanza che il contribuente non era soggetto ad IRAP - doveva ritenersi la tempestività della domanda di rimborso, decorrendo la stessa dalla data della sentenza del giudice costituzionale - 21 maggio 2001 - in forza dei principi in tema di overrulling . L’istanza di rimborso doveva pertanto ritenersi tempestiva all’epoca in cui la stessa era stata presentata. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito la parte intimata con controricorso. L’Agenzia ricorrente deduce la violazione degli artt. 38 dPR numero 602/73 e dell’art. 21 d.lgs. numero 546/72. Premesso che erano pacifici il versamento delle somme relative ad IRAP nell’anno 1999 e la presentazione dell’istanza di rimborso del contribuente in data 19 maggio 2004, la ricorrente evidenzia l’erroneità della decisione impugnata, che aveva applicato i principi in tema di c.d. overrulling all’ipotesi di mutamento giurisprudenziale relativo all’esistenza dei presupposti per l’assoggettabilità al tributo IRAP nei confronti degli esercenti l’attività di libero professionista, tralasciando così di considerare che la possibilità di non subire gli effetti del mutamento di interpretazione da parte del soggetto che aveva fatto affidamento sulla precedente consolidata giurisprudenza atteneva unicamente alle norme processuali. La parte intimata ha chiesto il rigetto del ricorso. Il ricorso è manifestamente fondato. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che affinché si possa parlare di prospective overrulling , devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti a che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso b che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte - cfr. Cass. numero 16132/2015 -. Orbene, del tutto errato è risultato il richiamo operato dalla CTR all’applicazione del c.d. overrulling in ragione dell’affidamento che il contribuente avrebbe goduto in epoca anteriore alla pronunzia della Corte costituzionale numero 156/2001 in ordine alla debenza del tributo, sì da poter fruire del termine di decadenza decorrente da tale decisione con la quale sarebbe stata chiarita, con efficacia interpretativa vincolante, l’insussistenza del tributo in assenza del presupposto dell’esercizio di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. E ciò per due ragioni parimenti essenziali. Per l’un verso, come già chiarito da questa Corte - v. Cass. numero 174/2015 - i principi espressi da Cass. S.U. numero 15144/2011 in tema di c.d. overrulling hanno riguardato, esclusivamente, gli effetti processuali di un mutamento giurisprudenziale e non quelli di natura sostanziale che qui vengono semmai in discussione - in termini v. Cass. a 13087/12 - introducendo, dunque, un principio innovatore a tutela dell’affidamento delle parti nella stabilità delle regole del processo. In questa direzione si è espressa, molto di recente, Cass. S.U. numero 13676/14, affermando che affinché si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte . Un’altra ragione non meno decisiva per ritenere l’erroneità della decisione è poi data dalla circostanza che le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale, a differenza di quanto prospettato dalla difesa della parte controricorrente, non hanno generale efficacia erga omnes nei confronti dei giudici diversi da quello a quo che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale oggetto di tali sentenze. Queste ultime, secondo la giurisprudenza a Sezioni Unite di questa Corte, a differenza di quelle dichiarative dell’illegittimità costituzionale di norme, determinano solo un vincolo negativo per il giudice del procedimento in cui è stata sollevata la relativa questione, mentre in tutti gli altri casi il giudice conserva il potere-dovere di interpretare in piena autonomia le disposizioni di legge, a norma dell’articolo 101, comma 2 Costituzione, purché ne dia una lettura costituzionalmente orientata, ancorché differente da quella indicata nella decisione interpretativa di rigetto. In definitiva, come affermato dalle Sezioni Unite penali di questa Corte, non basta che il Giudice delle leggi definisca una certa interpretazione come costituzionalmente obbligata e la sola compatibile con le norme della Costituzione perché questa possa imporsi all’osservanza dei giudici, essendo questi ultimi tenuti autonomamente a verificare, con l’uso di tutti gli strumenti ermeneutici dei quali dispongono, se la norma possa realmente assumere quel significato e quella portata e, qualora le premesse ermeneutiche della soluzione proclamata costituzionalmente obbligata travalichino i limiti dell’interpretazione letterale - logico - sistematica, i giudici hanno il dovere di non attenersi a quella soluzione, per la decisiva ragione che, in caso contrario, disapplicherebbero una norma vigente e arrecherebbero un vulnus ai principi di legalità e di soggezione alla legge - cfr. Cass. S.U. penumero , 17 maggio 2004 numero 23016, Pezzella, alla quale è seguita la presa d’atto dei superiori principi da parte di Corte cost. numero 299/2005 -. Tali principi sono stati ribaditi da Cass. S.U. numero 22601/2004 e ancora più di recente, Cass. S.U. numero 27986/2013. Pertanto, resta esclusa la possibilità di attribuire alla sentenza interpretativa di rigetto quell’effetto retroattivo che si riconosce ordinariamente alle sentenze che dichiarano l’incostituzionalità di una legge ed al quale ha fatto riferimento la difesa del controricorrente proprio per il margine di apprezzamento comunque riservato al giudice comune nell’applicazione e interpretazione del dato normativo. Margine che non consente, per l’effetto, al soggetto destinatario di fare affidamento” sulla sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale. E ciò senza nemmeno considerare che secondo un indirizzo di questa Corte, proprio la sentenza della Corte cost. numero 156/2001, ha sì respinto tutte le numerose censure di incostituzionalità sollevate dai giudici rimettenti ma non ha adottato neppure una sentenza interpretativa di rigetto, poiché non ha condizionato la legittimità del provvedimento legislativo alla circostanza che lo stesso venga interpretato nei sensi resi palesi dalle motivazioni. Quanto detto è avvalorato dal fatto che la stessa Corte Costituzionale, con le ordinanze numero 286/2001 e numero 103/2002, ha riconfermato la piena legittimità degli articoli 2 e 3 su richiamati, pur avendo potuto, in tali successivi giudizi di legittimità costituzionale, alla luce del dibattito giurisprudenziale originato dalla citata sentenza numero 156, intervenire con pronunce di tipo additivo o interpretativo, ovvero per specificare gli effetti che aveva inteso apportare sulla disciplina IRAP con la predetta sentenza, cosa che non è avvenuta. Non possono, quindi, individuarsi nuovi criteri interpretativi di applicazione dell’imposta in base alle motivazioni adottate dalla Corte” - cfr. Cass. numero 3672/2007 -. Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi esposti dalla parte controricorrente, la CTR ha errato nel far decorrere il termine di decadenza per il rimborso reclamato dal contribuente dall’epoca della sentenza della Corte costituzionale che aveva tratteggiato i presupposti per l’assoggettabilità ad IRAP dell’attività libero professionale e non da quella del versamento del tributo. Il ricorso va pertanto accolto e non ricorrendo ulteriori accertamenti in punto di fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo, compensando le spese dell’intero giudizio in relazione al recente formarsi della giurisprudenza di questa Corte sui punti controversi. P.Q.M. la Corte, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo, compensando integralmente le spese del giudizio.