La statuizione del giudice d'appello in ordine all’attribuibilità della lista dei clienti al professionista deve essere motivata

La statuizione adottata dal giudice d'appello in ordine all'attribuibilità della lista dei clienti al professionista e non alla società deve essere motivata. Il giudice del gravame deve chiarire le ragioni per le quali il rinvenimento di dati extracontabili sul computer aziendale e presso lo studio del professionista legale rappresentante assurge a presunzione di ricavi non contabilizzati nei confronti dell’azienda.

Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 13 maggio 2016, numero 9870. Vicenda. Il fisco con avviso di accertamento, notificato ad una società sulla base tra l’altro del rinvenimento presso un computer della società di un file denominato elenco clienti P. xls , nonché di altri dati extracontabili rinvenuti presso lo studio del professionista che ne era il legale rappresentante, ha provveduto a rettificare il reddito di impresa della società per l’anno 1999 recuperando a tassazione, tra l’altro, ricavi non contabilizzati per euro 172.980,53 e costi indeducibili per euro 5134,10. Il giudice del gravame, respingendo l’appello dell’ufficio, ha confermato la decisione, che in primo grado aveva pronunciato l’annullamento del predetto avviso. La CTR ha motivato il rigetto del proposto gravame in considerazione del fatto, ritenuto assorbente rispetto ad ogni altro motivo, che il rinvenimento del file non può certo essere assunto con i caratteri della gravità, precisione e concordanza a fondamento dell’esercitata pretesa, sussistendo anzi molteplici elementi per dare conforto alla riferibilità di tali clienti al professionista, non soggetto a verifica . Avverso la predetta sentenza del giudice del gravame ha proposto ricorso in Cassazione il fisco sulla base delle seguenti articolare censure - i giudici di appello hanno omesso una distinta disamina di tutti i fatti, i dati e le circostanze rappresentati nell’atto di gravame intesi a comprovare l’attribuibilità dei clienti alla cooperativa e non al professionista, affermando genericamente che sussistono molteplici elementi per dare conforto alla riferibilità di tali clienti al professionista , senza tuttavia porre a fondamento della decisione alcuna prova, del resto mai fornita, proposta da controparte - malgrado nell’atto di appello si fossero indicate le ragioni inconfutabili per cui i costi oggetto di recupero non erano deducibili, la sentenza ha omesso radicalmente ed inspiegabilmente di pronunciarsi sul punto , in particolare omettendo la motivazione sulla sussistenza nella specie dei requisiti di cui all’art. 75 Tuir - la ritenuta riferibilità dei crediti al professionista non ha nulla a che vedere con i compensi specificatamente spettanti alla cooperativa. Pronuncia. Gli Ermellini ,con la pronuncia citata, hanno condiviso la dedotta carenza motivazionale in ordine all'attribuibilità dell’elenco di clienti al professionista e non alla cooperativa, atteso che la motivazione della sentenza impugnata si mostra gravemente lacunosa ritenendo di poter giustificare il proprio assunto in relazione a molteplici elementi , ma senza di essi offrire alcuna ulteriore utile indicazione di orientamento in particolare, omettendo di indicarne la fonte, l'oggetto e la concludenza in rapporto al rilievo dell'ufficio, sicché la genericità del richiamo priva la decisione della necessaria coerenza argomentativa e la rende oggettivamente immotivata. Documentazione extracontabile. Per il caso della contabilità in nero , che potrebbe essere tenuta su un brogliaccio, su agende calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari, ma anche su supporti informatici, quali ad esempio un floppy disk, un cd, pen drive siamo in presenza di un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39, d.P.R. numero 600/1973, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentativi della situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere della prova contraria. È legittimo l’accertamento induttivo basato sulla contabilità in nero contenuta in floppy disk, in quanto valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge. In particolare, il ritrovamento di una contabilità parallela , risultante da indicazioni contenute in floppy disk, determina la validità dell’accertamento induttivo basato su tali risultanze, senza che siano necessari ulteriori riscontri. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta contabilità in nero”, per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli Cass. 09-12-2013 numero 27456 sez. T .La documentazione extracontabile estrapolata da floppy disk rinvenuti nel corso delle verifiche può fare emergere attività non dichiarate, consistenti nell’omesso rilascio di ricevute fiscali e movimentazioni bancarie su conti correnti intestati alla società, all’amministratore e ai soci. Anche i supporti informatici possono legittimamente essere considerati documentazione extracontabile, al pari degli appunti, delle annotazioni personali, dei brogliacci o delle agende dell’imprenditore, da cui possono desumersi attività non dichiarate e, dunque, un grave indizio dell’incompletezza o inesattezza delle dichiarazioni, consentendo perciò all’amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica del reddito. Come è noto infatti ai fini dell’accertamento di operazioni non contabilizzate in via ufficiale è utilizzabile qualsiasi forma di documentazione astrattamente idonea a evidenziarne l’esistenza, a condizione che sia stata legittimamente rinvenuta nel corso di verifiche fiscali Cass. 3222 del 2007, numero 2217 del 2006, numero 3222 del 2006 . I file estrapolati legittimamente dal pc dell’imprenditore, nei quali sia contenuta contabilità non ufficiale, costituiscono, in quanto scritture dell’impresa stessa, elemento probatorio presuntivo, utilmente valutabile, previa verifica della loro attendibilità. Con la conseguenza che detti file non possono essere ritenuti dal giudice, di per sé, irrilevanti circa la prova della esistenza di operazioni non contabilizzate, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni da essi risultanti e la comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente. In tema di accertamento delle imposte sui redditi così come dell’IVA , la contabilità in nero”, o parallela”, costituita da appunti personali brogliacci, block notes, agende ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, art. 39 e, per l’IVA, dal d.P.R. numero 633 del 1972, art. 54 ne consegue che detta contabilità in nero”, per il suo valore probatorio, legittima di per se’, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli Cass. 06-09-2013 numero 20492 . Anche la documentazione extracontabile estrapolata da supporti informatici, purché legittimamente acquisita, contribuisce alla formazione del quadro probatorio che il giudice deve necessariamente valutare in sede di verifica di un accertamento analitico induttivo Cassazione numero 5226 del 30/3/2012 .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, sentenza 5 aprile – 13 maggio 2016, n. 9870 Presidente Cirillo – Relatore Marulli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 6.5.2009, la CTR Sicilia, respingendo l’appello dell’ufficio, ha confermato la decisione che in primo grado aveva pronunciato l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla P. S. soc. coop. a r.l. , con cui l’Agenzia delle Entrate di Agrigento, sulla base tra l’altro del rinvenimento presso un computer della società di un file denominato elenco clienti P. xls , nonché di altri dati extracontabili rinvenuti presso lo studio del professionista che ne era il legale rappresentante, aveva provveduto a rettificare il reddito di impresa della parte per l’anno 1999 recuperando a tassazione, tra l’altro, ricavi non contabilizzati per euro 172.980,53 e costi indeducibili per euro 5134,10. La CTR ha motivato il rigetto del proposto gravame in considerazione del fatto, ritenuto assorbente rispetto ad ogni altro motivo, che il rinvenimento del file non può certo essere assunto con i caratteri della gravità, precisione e concordanza a fondamento dell’esercitata pretesa, sussistendo anzi molteplici elementi per dare conforto alla riferibilità di tali clienti al professionista, non soggetto a verifica , come del resto comprovano le certificazioni sulle sofferenze economiche dei di lui clienti prodotte in corso di giudizio dalla cooperativa. Né era infine trascurabile che, svolgendo la cooperativa funzione di schedatura della contabilità della clientela, che lo stesso servizio fosse effettuato anche in favore del professionista senza con ciò elidere la titolarità del rapporto professionale che rimane sussistente tra il lavoratore autonomo ed il cliente . Avverso la detta sentenza ricorre ora a questa Corte la soccombente Agenzia sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la parte. Considerato in diritto 2.1. Con il primo motivo di ricorso, svolto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n 5, c.p.c., l’Agenzia ricorrente lamenta vizio di insufficiente motivazione in relazione al fatto controverso dei ricavi omessi, assumendo riguardo ad una quota di essi euro 164.002,96 che i giudici di appello hanno omesso una distinta disamina di tutti i fatti, i dati e le circostanze rappresentati nell’atto di gravame intesi a comprovare l’attribuibilità dei clienti alla cooperativa e non al professionista, affermando genericamente che sussistono molteplici elementi per dare conforto alla riferibilità di tali clienti al professionista , senza tuttavia porre a fondamento della decisione alcuna prova, del resto mai fornita, proposta da controparte . 2.2. Parimenti con il terzo motivo di ricorso svolto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. si censura la statuizione adottata dalla CTR in punto di costi sotto l’aspetto del vizio di omessa motivazione, poiché, malgrado nell’atto di appello si fossero indicate le ragioni inconfutabili per cui i costi oggetto di recupero non erano deducibili, la sentenza ha omesso radicalmente ed inspiegabilmente di pronunciarsi sul punto , in particolare omettendo la motivazione sulla sussistenza nella specie dei requisiti di cui all’art. 75 Tuir. 2.3. Vizio ancora di omessa motivazione si deduce anche con il quarto motivo di ricorso, assumendosi, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. in relazione al fatto controverso costituito dal recupero a tassazione di una restante quota di ricavi lire 8.700.000 che la CTR abbia omesso qualsiasi motivazione trincerandosi dietro un preteso quanto inesistente assorbimento di motivi in realtà del tutto autonomi e distinti, in quanto la ritenuta riferibilità dei crediti al professionista non ha nulla a che vedere con i compensi specificatamente spettanti alla cooperativa. 2.4. Il primo motivo - che non si espone alle preclusioni sollevate preliminarmente dal controricorrente, in quanto si deduce un vizio motivazionale sicché è corretto, pure in disparte della sua cogenza, il richiamo al motivo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., risultando la menzione della violazione del 115 c.p.c. meramente rafforzativa della denunciata carenza motivazionale ed in quanto, ancora, è pure rettamente indicato nella formulazione del momento di sintesi il fatto controverso rappresentato dall’imputabilità alla parte o meno dei crediti risultanti dal file rinvenuto presso un computer della società -, il terzo ed il quarto motivo di ricorso - che possono essere esaminati congiuntamente in ragione dell'unitarietà della censura - sono fondati e meritano accoglimento. 2.5.1. Posto che secondo lo stabile insegnamento di diritto vivente il vizio in parola è configurabile qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, nella specie ne è inconfutabile la ricorrenza in relazione ciascuno dei fatti decisivi della controversia dedotti dalla ricorrente nei motivi in disamina. 2.5.2. Invero quanto alla censura formulata con il primo motivo, intesa a denunciare la dedotta carenza motivazionale in ordine all'attribuibilità dell’elenco di clienti al professionista e non alla cooperativa, la motivazione della sentenza impugnata si mostra gravemente lacunosa ritenendo di poter giustificare il proprio assunto in relazione a molteplici elementi , ma senza di essi offrire alcuna ulteriore utile indicazione di orientamento, in particolare omettendo di indicarne la fonte, l'oggetto e la concludenza in rapporto al rilievo dell'ufficio, sicché la genericità del richiamo priva la decisione della necessaria coerenza argomentativa e la rende oggettivamente immotivata. 2.5.3. Analoga prognosi si impone con riguardo alle censure sollevate con il terzo e quarto motivo di ricorso entrambe volte a contestare probatoriamente la statuizione di assorbenza con cui la CTR ha respinto i motivi di gravame in punto di costi e di ricavi - giacché se la statuizione adottata dal giudice d'appello in ordine all'attribuibilitá della lista dei clienti al professionista e non alla società risulta immotivata, come si è detto poc'anzi, ratione maiori sono immotivate anche quelle oggetto di impugnazione con i motivi in esame, atteso che non è più argomentabile l'effetto assorbente che rispetto agli altri motivi di appello l'impugnata sentenza intendeva riconoscere al primo motivo di appello anche in questo grado tale motivo è da considerare assorbente rispetto agli altri e, dunque, una volta che la sentenza, con l'accoglimento del primo motivo di ricorso, sia in parte qua cassata, le residue censure riassumono l’originaria rilevanza di fatti decisivi della controversia sui quali, anche in ragione delle corpose allegazioni istruttorie operate dalla deducente - e che la deducente si dà cura di riprodurre ex professo in ossequio all'onere di autosufficienza - la motivazione risulta totalmente omessa. 3.1. Il secondo motivo svolto in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., allega un vizio di omessa pronuncia poiché, malgrado nell’atto di appello si fosse censurata l’affermazione dei primi giudici - che in merito ai costi ritenuti indeducibili si erano detti convinti della loro inerenza - l’impugnata sentenza ha omesso radicalmente ed inspiegabilmente di pronunciarsi sul punto , atteso che il giudizio di assorbenza conclusivamente formulato non è idoneo a realizzare un legittimo assorbimento , dal momento che la questione dei ricavi omessi non può ritenersi ricomprensiva della diversa ed autonoma questione relativa ai costi illegittimamente posti in deduzione e detrazione . 3.2. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Com'è noto questa Corte in tema di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che si consuma allorché il giudice del merito ometta di pronunciare, reputa, affinché esso possa dedursi in sede di legittimità quale errore processuale della sentenza impugnata, che sia necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali istanze, tradotte in conclusione specifica, siano riportate puntualmente nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi 25299/14 21226/10 6361/07 . Ora nella specie la prospettazione ricorrente della questione sollevata con il motivo in esame si rivela lacunosa, poiché, pur facendo rinvio all'atto di gravame in cui la detta questione sarebbe stata sottoposta al giudice di seconde cure, manca nell'illustrazione del motivo la riproduzione in forma specifica della conclusione formulata a corredo dell'istanza in relazione alla quale si lamenta l’evidenziato errore processuale, in tal modo risultando pregiudizialmente precluso alla Corte quell'indispensabile vaglio preliminare in ordine alla ritualità della domanda su cui si era sollecitata la pronuncia del giudice. 4. Vanno dunque accolti il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso e va invece dichiarato inammissibile il secondo motivo la sentenza, nei limiti dei motivi accolti, va conseguentemente cassata e la causa andrà rinviata avanti al giudice territoriale per il necessario seguito a mente dell'art. 383, comma primo, c.p.c. P.Q.M. Accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso cassa l'impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia avanti alla CTR Sicilia, che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio. La Corte di Cassazione nella sentenza n. 4904 del 27 febbraio 2013 stabilisce che la documentazione extracontabile è un indizio grave, preciso e concordante che fonda l’accertamento di maggiori ricavi, ex art. 39, comma 1, lett. d , D.P.R. n. 600/73, senza bisogno di prova certa dell’evasione fiscale.