Il compenso del commercialista per la difesa in una causa fiscale a favore della curatela fallimentare

Il compenso del commercialista per l’assistenza nella causa fiscale, redazione del ricorso e della memoria, non può essere liquidato come una consulenza tributaria.

La Corte di Cassazione con la sentenza del 3 maggio 2016, n. 8742, della Prima Sezione Civile, ha affermato che in caso di attività di patrocinio tributario, con la redazione del ricorso, degli atti difensivi svolti da un dottore commercialista a favore della curatela fallimentare, gli onorari non sono da liquidare come una consulenza tributaria. La curatela fallimentare aveva, infatti, contestato la parcella di un professionista di oltre 72mila euro, per l’attività assistenziale nella causa di fronte alla Commissione Tributaria Provinciale. Il caso. La curatela fallimentare impugnava il decreto del Tribunale ordinario con cui veniva parzialmente accolto il reclamo di commercialista avverso il decreto del giudice delegato del fallimento la parte contestata nel ricorso in Cassazione era quella nella quale erano state ritenute non corrette le revoche dei precedenti provvedimenti di liquidazione del compenso professionale, emessi in favore del professionista dottore commercialista, confermando la liquidazione positiva delle competenze, per l’assistenza tributaria per l’importo di oltre 72mila euro ancora per il giudizio sulla sentenza C.T.R In particolare il Tribunale, in primo luogo, aveva rilevato l’insussistenza di un potere di revoca dei provvedimenti di liquidazione del compenso agli ausiliari del curatore, una volta che tale attività determinativa si fosse estrinsecata in un provvedimento positivo, incidendo su diritti soggettivi sia del debitore che del creditore e nel riscontro del mancato reclamo ai sensi dell’articolo 26, della legge fallimentare. In secondo luogo, il Collegio aveva osservato che per la disamina della congruità della liquidazione del medesimo compenso, relativo a prestazioni unitariamente rese nell’ambito della difesa della procedura in giudizi davanti alle commissioni tributarie, poteva trovare applicazione un criterio di merito orientato dal tenore letterale della stessa richiesta del professionista che, invocando una determinazione della parte pubblica il fallimento tra i minimi e i massimi tariffari, si rimetteva peraltro alla medesima per una quantificazione secondo equità. Così, appariva corretta la liquidazione operata dal giudice delegato, posto che essa era stata espressa con unico compenso avendo riguardo ai due giudizi relativi alle sentenze resa da C.T.P. su ricorsi riuniti. Avverso tale sentenza la curatela fallimentare è ricorsa davanti alla Cassazione. L’analisi della Cassazione. I Giudici di legittimità osservano che va seguito l’indirizzo giurisprudenziale per cui il decreto con il quale il giudice delegato, nell'esercizio della competenza esclusiva al riguardo attribuitagli dalla legge articolo 25, n. 7, della l.fall. , liquida i compensi per l'opera prestata dagli incaricati a favore del fallimento, lungi dall’assumere carattere meramente ricognitivo, concreta un provvedimento di natura giurisdizionale destinato a statuire sul diritto dell'incaricato in maniera irretrattabile e con gli effetti propri della cosa giudicata, suscettibile di impugnazione unicamente con il rimedio endofallimentare del reclamo a norma dell'articolo 26, della l.fall. cfr. Cass. 19888/2005 . Ne consegue che correttamente il Tribunale ha dato conto della insussistenza dei requisiti di revocabilità dei due decreti di liquidazione del compenso del giudice delegato, cui apparteneva il potere giurisdizionale di statuire sulla domanda di riconoscimento del compenso dell'incaricato dell'opera prestata, quanto a specifiche prestazioni di difesa davanti ai giudici tributari, nell'interesse della procedura, ai sensi dell’articolo 25 comma 1, l.fall. ratione temporis vigente e con reclamabilità ai sensi dell’articolo 26, l.fall La curatela fallimentare contesta nel ricorso in Cassazione, la decisione del Tribunale in punto di riconoscimento della attività di consulenza tributaria da parte del professionista controricorrente, limitandosi l'autorità del reclamo a modificare l'entità del credito, ricondotta entro la forbice, dal lato inferiore, dei riferimenti di tariffa, di contro all’inammissibile riduzione a soli 10.000 euro del compenso. Il Tribunale pare dunque aver fatto discendere la prova della consulenza tributaria dalla circostanza che tale attività era stata, e sia pur errando per difetto nella sua quantificazione, già riconosciuta dal primo giudice, che aveva però fissato una misura inferiore a quella di tariffa. Per i Giudici di legittimità la statuizione non è condivisibile, poiché essa per un verso, nel più generale tenore della motivazione, premette di volersi ispirare alla teoria del cd. quid pluris , ove la consulenza tributaria integra una prestazione professionale che non coincide né con la assistenza professionale né con la mera difesa in giudizio, ma per altro verso vi fa difetto un’adeguata e riconoscibile motivazione di tale scelta. Patrocinio tributario. Per la Corte di Cassazione occorre dunque dare continuità nella sua interezza all’orientamento per cui in materia di patrocinio tributario anche nella specie, svolto da un dottore commercialista , la redazione di un ricorso e di una memoria difensiva in materia tributaria non comporta necessariamente anche un'attività di consulenza tributaria, per la cui ricorrenza occorre un di più rappresentato analisi della legislazione, della giurisprudenza e delle interpretazioni dottrinarie e dell'amministrazione finanziaria di problemi specifici come previsto dall'articolo 46, del d.P.R. n. 645/1994 il relativo accertamento, cioè dei presupposti per il cumulo dei relativi onorari con quelli inerenti alle prestazioni di assistenza e rappresentanza, è riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità soltanto se affetto da vizio di motivazione. Per la Corte di Cassazione è vero, pertanto, che tale indirizzo non instaura alcun meccanismo di attribuzione automatica dei citati compensi, ravvisandosi nel loro possibile e predetto cumulo un preciso dovere di dare conto delle prestazioni aggiuntive cui si vorrebbero riferire, con onere innanzitutto a carico dell’interessato. In realtà il decreto impugnato non riporta le attività specifiche che il dottore commercialista avrebbe espletato, oltre alla redazione dei ricorsi e all'attività difensiva culminata nella sentenza della CT.R. . Né esso appare assimilabile ad una pronuncia per relationem rispetto all’atto del giudice delegato, la cui statuizione motiva sulla citata voce non è stata sintetizzata in alcun tratto a tal fine decisivo, oltre il richiamo al censurato criterio dell’equità, che non concerne il fondamento del diritto ma la sua misura retributiva. La Corte di Cassazione nell’accogliere il ricorso della curatela fallimentare lo rinvia al Tribunale che si dovrà pronunciare in diverse composizione, evidenziando che appare eccessiva la somma corrisposta, richiesta dal professionista.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 5 aprile – 3 maggio 2016, numero 8742 Presidente Forte – Relatore Ferro I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione Con il primo motivo A. ricorrente deduce la violazione degli articolo 23, 25, 26 e 107 l.f., oltre che 487 cod.proc.civ., avendo errato il tribunale ove ha riconosciuto la irrevocabilità degli atti del giudice delegato, da affermare invece in via generale finché essi non abbiano avuto esecuzione, come avvenuto nella specie avendone il giudice sospeso l’attuazione e comunque riferendosi ogni definitività alla pronuncia del tribunale che decida sul reclamo. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce il vizio di motivazione sul punto della revoca dei primi decreti di liquidazione, giustificata dal giudice delegato in relazione alla valutazione complessiva dell’operato del professionista solo con la presentazione da parte di questi della istanza finale. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli articolo 2233, 2697 cod.civ. e 116 cod.proc.civ., ancora 23, 25, 26 l.f., 4, 46, 49 d.P.R. 10.10.1994, numero 645 e vizio di motivazione, ove il tribunale ha erratamente riconosciuto una consulenza tributaria come prestazione aggiuntiva e cumulata alla assistenza in giudizio ed invero non provata quale quid pluris rispetto alla difesa. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione degli articolo 2233, 2697 cod.civ. e 116 cod.proc.civ., ancora 23, 25, 26 l.f., 4, 46, 49 d.P.R. 10.10.1994, numero 645 e vizio di motivazione, ove il tribunale ha trascurato che l’avere riconosciuto il giudice delegato l’attività di consulenza tributaria per 10.000 euro e sia pur solo per un giudizio, non esimeva il collegio dall’esercizio del dovere di rivalutazione integrale della richiesta, stante la portata devolutiva del reclamo. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione degli articolo 1326 e 2233 cod.civ., 25 e 26 l.f., 4, 46, 49 d.P.R. 10.10.1994, numero 645 e vizio di motivazione, ove il tribunale ha riconosciuto, in sostituzione di un compenso per l’attività di consulenza tributaria per 10.000 euro, la maggior somma di 72.565,30 euro, pari al minimo tariffario e non facendo invece ricorso alla equità, invocata proprio dal professionista e con valore negoziale. Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione degli articolo 2233, 4, 46, 49 d.P.R. 10.10.1994, numero 645 e vizio di motivazione, ove il tribunale ha erratamente escluso la possibile liquidazione in via equitativa del compenso per la consulenza tributaria. Con il ricorso incidentale, il controricorrente fa valere la violazione di legge quanto agli articolo 47, 48, 49 e 19 d.P.R. 10.10.1994, numero 645 ed il vizio di motivazione ove il tribunale ha erroneamente escluso la consulenza tributaria per il gruppo di giudizi culminato nella sentenza C.T.P. numero 752/13/07. 1. I primi, due motivi, da esaminare in via congiunta stante l'indubbia connessione, sonno inammissibili. Giustifica un giudizio di impossibilità di riscontro del loro merito il grave deficit di completezza che ne ha accompagnato la redazione, del tutto generica quanto al richiamo - che appariva invece indispensabile ed almeno per tratti essenziali - delle parti statuitive e motivazionali del provvedimento del primo giudice, ove sarebbe stata configurata la assunta provvisorietà della liquidazione. Nemmeno infatti è chiaro, ponendo a confronto il ricorso con il decreto del tribunale, se la non avvenuta esecuzione del provvedimento del giudice delegato sia fatta dipendere, nell'offerta censura, dalla denunciata e per quanto eccedente qualificazione di sospensione che la parte per vero riferisce solo al decreto 23.12.2008 ovvero alla complessiva inerenza di tutti i decreti ad una fattispecie la cui definizione sarebbe maturata unicamente allorché recepiti o migrati nella pronuncia del tribunale. Va dunque dato corso al principio, qui condiviso, per cui il ricorso per cassazione - per il principio di autosufficienza - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l'onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali e i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione Cass. 14784/2015 . 2. A fronte di tale prospettazione, i limiti dei motivi e la inequivocità del decreto impugnato precludono in ogni caso il dubbio che la volontà determinativa del compenso, quale espressa una prima volta dal giudice delegato, avesse assunto nel relativo atto - e non ovviamente nelle cognizioni soggettive delle persone fisiche dei giudici chiamati alla funzione - la minore portata di 'acconto sul compenso' o di 'liquidazione provvisoria’. La censura è infatti errata sia ove ipostatizza una qualità esecutiva del decreto di liquidazione che è invece configurativo di un diritto soggettivo della parte al credito per le prestazioni rese verso la procedura, nell'interesse di questa e su incarico conferito dagli organi concorsuali , sia ove richiama una vicenda di formazione dell'atto del tutto incertamente rinviante alla pronuncia dell'organo collegiale che è invece eventuale, poiché rimessa alle facoltà d'impugnazione e dunque presupponente una statuizione del giudice delegato in sè già suscettibile di definitività ove non contestata per via endoconcorsuale . Al riguardo, va seguito l’indirizzo per cui il decreto con il quale il giudice delegato, nell'esercizio della competenza esclusiva al riguardo attribuitagli dalla legge articolo 25 numero 7 l.f. , liquida i compensi per l'opera prestata dagli incaricati a favore del fallimento, lungi dall’assumere carattere meramente ricognitivo, concreta un provvedimento di natura giurisdizionale destinato a statuire sul diritto dell'incaricato in maniera irretrattabile e con gli effetti propri della cosa giudicata, suscettibile di impugnazione unicamente con il rimedio endofallimentare del reclamo a norma dell'articolo 26 l.f. Cass. 19888/2005 Ne consegue che correttamente il tribunale ha dato conto della insussistenza dei requisiti di revocabilità dei due decreti di liquidazione del compenso 23.12.2008 e 7.4.2009 del giudice delegato, cui apparteneva il potere giurisdizionale di statuire sulla domanda di riconoscimento del compenso dell'incaricato dell'opera prestata - quanto a specifiche prestazioni defensionali avanti ai giudici tributari - nell'interesse della procedura, ai sensi dell'articolo 25 co. 1 l.f. ratione temporis vigente e con reclamabilità ai sensi dell’articolo 26 l.f. Cass. 23086/2014 . 2. Il terzo e il quarto motivo, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono fondati, posto che con essi si contesta la decisione del tribunale in punto di riconoscimento della attività di consulenza tributaria da parte del professionista controricorrente, limitandosi l'autorità del reclamo a modificare l'entità del credito, ricondotta entro la forbice - dal lato inferiore - dei riferimenti di tariffa, di contro all'inammissibile riduzione a soli 10.000 euro del compenso. Il tribunale pare dunque aver fatto discendere la prova della consulenza tributaria dalla circostanza che tale attività era stata, e sia pur errando per difetto nella sua quantificazione, già riconosciuta dal primo giudice, che aveva però fissato una misura inferiore a quella di tariffa. La statuizione non è condivisibile, poiché essa per un verso - nel più generale tenore della motivazione - premette di volersi ispirare alla teoria del cd. quidpluris, ove la consulenza tributaria integra una prestazione professionale che non coincide nè con la assistenza professionale nè con la mera difesa in giudizio, ma per altro verso vi fa difetto un’adeguata e riconoscibile motivazione di tale scelta. Occorre dunque dare continuità nella sua interezza all’orientamento per cui in materia di patrocinio tributario anche nella specie, svolto da un dottore commercialista , la redazione di un ricorso e di una memoria difensiva in materia tributaria non comporta necessariamente anche un'attività di consulenza tributaria, per la cui ricorrenza occorre un di più rappresentato dall’ analisi della legislazione, della giurisprudenza e delle interpretazioni dottrinarie e dell'amministrazione finanziaria di problemi specifici , come previsto dall'articolo 46 del d.P.R. numero 645 del 1994 il relativo accertamento - cioè dei presupposti per il cumulo dei relativi onorari con quelli inerenti alle prestazioni di assistenza e rappresentanza - é riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità soltanto se affetto da vizio di motivazione Cass. 16159/2015 15666/2007 . È vero pertanto che tale indirizzo non instaura alcun meccanismo di attribuzione automatica dei citati compensi, ravvisandosi nel loro possibile e predetto cumulo un preciso dovere di dare conto delle prestazioni aggiuntive cui si vorrebbero riferire, con onere innanzitutto a carico dell’interessato. In realtà il decreto qui impugnato non riporta le attività specifiche che il dottore commercialista Sabotino avrebbe espletato, oltre alla redazione dei ricorsi e all'attività difensiva culminata nella sentenza della C.T.R. numero 281/5/08 . Né esso appare assimilabile ad una pronuncia per relationem rispetto all’atto del giudice delegato, la cui statuizione motiva sulla citata voce non è stata sintetizzata in alcun tratto a tal fine decisivo, oltre il richiamo al censurato criterio dell’equità, che non concerne il fondamento del diritto ma la sua misura retributiva. Nonostante la contestazione svolta dalla curatela reclamata e dedotta in via di eccezione nel procedimento ex articolo 26 l.f. e la natura devolutiva del giudizio avanti all’organo collegiale, con la possibile rimessa in discussione dell’intero rapporto, va dunque concluso per la sussistenza del citato vizio. Ne consegue l'assorbimento dei motivi quinto e sesto. 3. Quanto al ricorso incidentale, il suo unico motivo è inammissibile poiché, al di là della duplice prospettazione, la censura sulla motivazione mira a richiedere a questo Giudice un diverso apprezzamento del materiale probatorio su cui analiticamente e con razionale ostensione delle fonti del convincimento ha operato il tribunale, che ha indicato in modo puntuale l'assoluto difetto di autonomia e concretezza delle prestazioni della pretesa consulenza tributaria rivendicate dal controricorrente, invero degradate ad operazioni non diverse dallo studio della controversia e dalla redazione degli atti difensivi, oltre tutto confezionati a seguito di analisi compiuta dal cliente e reiterante motivi già proposti nei precedenti ricorsi'. Tale difetto di specificità non è stato diversamente illustrato nel ricorso incidentale. Il ricorso principale pertanto va dichiarato inammissibile quanto ai motivi primo e secondo, mentre deve essere accolto quanto ai motivi terzo e quarto, con assorbimento del quinto e del sesto motivo. Il ricorso incidentale è inammissibile. Conseguentemente va cassato il decreto impugnato, con rinvio al tribunale anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il primo e secondo motivo del ricorso principale, accoglie il ricorso quanto ai motivi terzo e quarto, dichiara l’assorbimento del quinto e del sesto dichiara inammissibile il ricorso incidentale cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Salerno, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.