Autotutela, non sempre impugnabile

L’atto con cui l’ufficio finanziario annulla parzialmente l’accertamento non è annoverabile tra gli atti impugnabili ex art. 19 d.lgs n. 546/1992.

Il principio è contenuto nella sentenza n. 7511/2016 della Corte di Cassazione, depositata il 15 aprile, da cui emerge che tale atto non è più impugnabile sia per la discrezionalità che connota l’attività di autotutela sia per la definitività dell’atto impositivo accertamento . Autotutela. L’autotutela è l’istituto che consente all’amministrazione di correggere o eliminare, su propria iniziativa o su istanza del soggetto interessato, gli atti già posti in essere, che possono comunque risultare illegittimi o infondati ad un successivo esame. Il ricorso a tale istituto produce l’effetto deflattivo del contenzioso tributario, con relativo risparmio delle spese di soccombenza e miglioramento dei rapporti tra amministrazione e contribuenti. L’art. 97 Cost. nel riconoscere tale potere sancisce i principi di buon andamento ed imparzialità dei pubblici uffici, richiamato anche dall’art. 1, comma 1, della l. n. 212/2000. Le disposizioni dello statuto del contribuente rappresentano, infatti, in attuazione degli artt. 3, 23, 3 e 97 Cost, principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Autotutela esercitata dalla pa. L’autotutela esercitabile dalla pa può riguardare a l’annullamento ritiro dell’atto con efficacia retroattiva ex tunc b la revoca ritiro dell’atto con efficacia retroattiva ex nunc c la riforma modifica parziale dell’atto d la correzione di errore materiale . La procedura di autotutela è, pertanto, sempre avviata dall’ufficio e configura un potere discrezionale, non soggetto di sindacato nell’ipotesi di contenzioso tributario. L’Amministrazione finanziaria può procedere in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di auto-accertamento senza che la parte presenti una specifica istanza, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione Cass. n. 6283/2012 . Nel caso in esame il contribuente aveva presentato istanza di annullamento in autotutela per alcuni accertamenti con cui l’ufficio finanziario aveva rideterminato sinteticamente i redditi dello stesso. L’ufficio ha accolto in parte quanto eccepito riducendo l’originaria pretesa ed emetteva due provvedimenti di annullamento parziale degli avvisi di accertamento. L’amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione eccependo violazione dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 in quanto i ricorso è stato presentato avverso atti di rifiuto parziale di autotutela, atto non compreso nell’elenco tassativo di cui alla citata disposizione. I Giudici di legittimità hanno ritenuto che gli atti impugnati erano in realtà i provvedimenti emessi in autotutela e non gli avvisi di accertamento. Conseguentemente gli atti originari non sono stati impugnati divenendo definitivi, ancor prima dell’emissione del provvedimento reso in autotutela dall’amministrazione di annullamento parziale degli stessi. Su tali premesse la Corte ha ritenuto che in tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo non rientra nella previsione di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 e non è quindi impugnabile . In caso di annullamento parziale o di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva negli atti divenuti definitivi, questi non possono essere impugnati in quanto non possono comportare alcuna effettiva innovazione alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto a quanto a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento . In senso difforme si era espressa, tuttavia, una precedente sentenza di legittimità secondo cui il contribuente ha la possibilità di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore anche nel caso di atti adottati in autotutela. La pretesa del potere di autotutela attraverso l’annullamento parziale di un avviso impositivo non preclude al contribuente di poter impugnare l’atto emesso in autotutela, viceversa lo stesso vedrebbe compromesso la possibilità di difesa in ordine a tale atto, comunque riduttivo dell’originaria pretesa Cass. n. 14243/2015 . La Suprema Corte ha ritenuto che tale precedente pronunciamento non contenga argomenti convincenti, apparendo non accettabile il rilievo che – se si tratta di annullamento parziale o comunque atto di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa di cui all’accertamento -, esso non determina una innovazione lesiva degli interessi del contribuente per cui dovrebbe ammettersi di converso una autonoma impugnabilità del nuovo atto autotutela rispetto all’originaria pretesa. I Giudici, accogliendo il ricorso, hanno cassato senza rinvio la sentenza impugnata in quanto la causa non poteva essere proposta.

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 9 febbraio – 15 aprile 2016, n. 7511 Presidente Di Amato – Relatore Iannello Svolgimento del processo 1. L'Agenzia delle entrate ricorre, con tre mezzi, corredati da quesiti di diritto, nei confronti di R.B. che ha depositato controricorso avverso la sentenza con la quale la C.T.R. del Lazio, in data 17/6/2009, ha confermato la decisione di primo grado che, in accoglimento dei ricorsi, riuniti, proposti da R.B., aveva rivisto in riduzione la determinazione sintetica dei redditi di quest'ultimo, a fini Irpef e Ilor, per gli anni 1997 e 1998, operata dall'ufficio ai sensi dell'art. 38, comma 4, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sulla base dei beni posseduti e in particolare della proprietà di un immobile e di una barca a vela. Disattesa la eccezione di inammissibilità dei ricorsi introduttivi, reiterata in appello dall'Agenzia delle entrate in quanto proposti non avverso gli originari avvisi di accertamento bensì nei confronti di successivi provvedimenti di parziale annullamento degli stessi emessi in autotutela su istanza del contribuente, riteneva nel merito la C.T.R. che - come dedotto dal contribuente - i redditi della madre convivente dovessero concorrere alla quantificazione del reddito cui rapportare gli indici di maggiore capacità contributiva. Motivi della decisione 2. Con i primi due motivi di ricorso, pienamente sovrapponibili nel contenuto, l'Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 alternativamente prospettando, nel primo motivo, error in iudicando art. 360 comma primo n. 3 cod. proc. civ. nel secondo, error in procedendo art. 360 comma primo n. 4 cod. proc. civ. in relazione al rigetto della iterata preliminare eccezione di inammissibilità dei ricorsi introduttivi in quanto proposti avverso provvedimento di rifiuto parziale di autotutela, atto non compreso nella tassativa elencazione degli atti impugnabili contenuta nella citata disposizione. 3. Con il terzo motivo l'ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 38, comma 4, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’'art. 360 comma primo n. 3 cod. proc. civ Rileva che erroneamente la C.T.R. ha adottato una nozione di nucleo familiare - cui far riferimento per l'individuazione delle fonti di reddito che possono concorrere a giustificare gli indici rivelatori di maggiore capacità contributiva valorizzati dall'ufficio ai fini dell'accertamento sintetico - più estesa di quella accolta dalla giurisprudenza, in coerenza con le finalità della norma, la quale ha limitato riferimento esclusivamente alla famiglia naturale costituita dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, in ragione del particolare legame che vincola le persone che lo compongono, escludendo invece la rilevanza del mero fatto della convivenza di altri parenti. 4. Con il proposto controricorso il B. preliminarmente eccepisce l'improcedibilìtà del ricorso, ai sensi dell'art. 369, secondo comma n. 2, cod. proc. civ., in ragione del mancato deposito, nei termini previsti, da parte della ricorrente, di copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notifica. Nel merito, quanto ai primi due motivi di ricorso, rileva che, a seguito dell'istanza di autotutela, gli è stato notificato un nuovo atto di accertamento, tempestivamente impugnato. Quanto al terzo motivo ne eccepisce preliminarmente l'inammissibilità, per la mancata specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali esso si fonda ne contesta infine la fondatezza. 5. È infondata l'eccezione di improcedibilità del ricorso. Risulta allegata al ricorso copia conforme della sentenza impugnata con la relata di notifica effettuata a mezzo posta. La mancata allegazione anche dell'avviso di ricevimento restituito al notificante si giustifica ovviamente con il fatto che trattasi di atto non nella disponibilità del destinatario della notifica nel caso di specie, appunto, l'Agenzia . In tal senso questa Corte ha già affermato il principio - pienamente condiviso e qui ribadito - secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, ai fini dell'osservanza dell'art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., è sufficiente, ove la notifica della sentenza impugnata sia avvenuta a mezzo posta, che il ricorrente depositi, insieme al ricorso, copia autentica della sentenza con la relazione di notificazione, ossia con l'attestazione dell'ufficiale giudiziario della spedizione dell'atto, spettando al resistente l'onere di contestare, attraverso il deposito dell'avviso di ricevimento in suo possesso, il rispetto del termine breve d'impugnazione, atteso che, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata che eviti, in ossequio al principio del giusto processo, oneri tali da rendere eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale, deve tenersi conto che solo il resistente, in qualità di f notificante, ha la materiale disponibilità dell'avviso di ricevimento Cass., Sez. 5, n. 19750 del 19/09/2014, Rv. 632464 . Del resto, nel caso di specie, è da escludere possa sussistere dubbio alcuno sul rispetto del termine breve per impugnare dal momento che la data di spedizione dell'atto ricavabile dalla copia prodotta dalla ricorrente 7/8/2009 si colloca in pieno periodo feriale di guisa che, quale che sia la data successiva di restituzione ai notificante dell'avviso di ricevimento, il dies a quo per il computo di detto termine non potrebbe comunque considerarsi anteriore al 16/9/2009, considerata la sospensione dei termini per il periodo feriale, risultando pertanto in ogni caso perfettamente tempestiva la notifica del ricorso avvenuta in data 12/11/2009. 6 Sono fondati i primi due motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili in quanto proponenti la medesima questione, ancorché diversamente sussunta alternativamente nelle tipologie di vizi di cui ai nn. 3 e 4 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ. qualificazione comunque non vincolante per questa Corte e inidonea pertanto a costituire effettivo motivo di differenziazione tra le due censure . In punto di fatto risulta pacifico tra le parti che il gli atti impugnati siano effettivamente non gli avvisi di accertamento originari, bensì il provvedimento reso sull'istanza di annullamento degli stessi in autotutela istanza accolta solo in parte, essendo disattesa la tesi difensiva principale, poi costituente materia di lite nel giudizio di che trattasi, circa la necessità di computare tra le fonti di reddito idonee a giustificare gli indici di maggiore capacità contributiva anche il reddito percepito dalla madre convivente. Emerge altresì pacificamente dalla incontestata esposizione dei fatti contenuta in ricorso che gli atti originari non sono stati ex se impugnati e sono pertanto divenuti definitivi, ancor prima della emissione del provvedimento reso in autotutela dalla amministrazione di annullamento parziale degli stessi. In tale contesto viene pertanto in rilievo il principio affermato da Cass., Sez. U, n. 3698 del 16/02/2009 Rv. 606565 - cui si intende dare in questa sede continuità - secondo il quale in tema di contenzioso tributano, fatto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l'attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo . Non ignora questo Collegio che in senso difforme una giurisprudenza successiva ha ritenuto impugnabile l'annullamento parziale, adottato nell'esercizio del potere di autotutela, dì un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se riduttivo dell'originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa Cass., Sez. 5, n. 14243 del 08/07/2015, Rv. 635875 . Tale precedente non offre però argomenti convincenti a supporto dell'accolta soluzione, apparendo di contro dirimente il rilievo che, se si tratta di annullamento parziale o comunque di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti definitivi, esso non può comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, per converso potendo e dovendo ammettersi una autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa. La sentenza dei Giudici di appello è, dunque, affetta dal denunciato vizio di nullità per error in procedendo art. 360 comma primo n. 4 cod. proc. civ. e deve quindi essere cassata, restando conseguentemente assorbito l'esame del terzo motivo di ricorso. 7. In conclusione il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382 comma terzo cod. proc. civ. in quanto la causa non poteva essere proposta. Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente. P.Q.M. Congiuntamente esaminando i primi due motivi di ricorso, li accoglie nei sensi di cui in motivazione dichiara assorbito il terzo cassa senza rinvio la sentenza impugnata in quanto la causa non poteva essere proposta condanna il controricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate a per il primo grado in € 400,00 b per il secondo grado in € 500,00 c per il presente giudizio di legittimità in € 1.000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.