Il fisco deve provare il corrispettivo preciso della vendita

L’accertamento induttivo è illegittimo se l’amministrazione finanziaria non è in grado di dimostrare con certezza il prezzo del bene che avrebbe determinato la plusvalenza non indicata nella dichiarazione dei redditi del contribuente accertato.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25249, depositata il 15 dicembre 2015, ha affermato che l’Agenzia delle Entrate deve dimostrare con esattezza il prezzo di una vendita di un bene che, nel caso in esame , avrebbe dovuto creare una rilevante plusvalenza. I Giudici di legittimità hanno respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate confermando l’illegittimità di un accertamento nel quale non era provato il corrispettivo preciso della vendita. Il caso. La CTR ha accolto l’appello di una contribuente proposto avverso la sentenza dei giudici di prime cure che avevano respinto il ricorso perché dichiarato inammissibile per tardività dell’impugnazione. I giudici di secondo grado hanno annullato l’avviso di accertamento per IRPEF 2004 a mezzo del quale era stata contestata l’omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi della plusvalenza liquidata nell’importo di € 150.000.00 realizzata per effetto del trasferimento di una licenza taxi” già intestata al marito della contribuente, poi deceduto, sia pure per la quota di competenza di erede. I giudici di secondo grado hanno motivato la decisione ritenendo che nella specie in esame non si potesse fare utilizzo della nozione di azienda”, atteso che il titolare della licenza era dipendente e socio retribuito di una cooperativa. Inoltre la licenza, al contrario dell’auto, non è bene disponibile” ma è una autorizzazione all’esercizio di autopubblica da piazza che viene, di conseguenza, poi intestata ad un nuovo soggetto con disposizione comunale. Altro aspetto che i giudici del merito evidenziano è che l’accertamento della presunta plusvalenza non risulta fondato su valori di riferimento con precisa individuazione delle fonti e con allegazione all’accertamento stesso . Avverso la sentenza sfavorevole l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso. Accertamento induttivo profili generali. In materia di profili generali di accertamento dei redditi, da parte dell’amministrazione finanziaria, un importanza primaria risiede nel primo comma, dell’articolo 39, del d.P.R. n. 600/1973 che descrive i presupposti tipici che ne consentono l’applicazione, e cioè a la non corrispondenza fra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli indicati nel bilancio b l’inesatta applicazione, in tema di redditi d’impresa delle disposizioni dell’attuale titolo I, capo VI, del d.P.R. n. 917/86 c l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione risultante in modo certo e diretto da verbali di ispezioni o da indagini svolte nei confronti di altri soggetti, ovvero da altri atti e documenti in possesso dell’Ufficio. La lettera d , del primo comma, del citato articolo 39, del d.P.R. n. 600/1973, sembra invece concepita a soddisfare l’esigenza di pervenire ad un risultato il più vicino possibile ad una capacità economica effettiva a fronte della necessità di valutare più elementi emergenti dalla conoscenza di fatti secondari, ritualmente acquisiti per dedurre l’esistenza di un fatto principale ignorato. Tale tipo di accertamento analitico-induttivo” si fonda sulla sussistenza dei tre requisiti della gravità, precisione e concordanza. L’accertamento, ex articolo 39, comma 1, lett. d , è consentito quindi anche in presenza di contabilità formalmente tenuta ma contestabile in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata. L’accertamento induttivo, può essere applicato soltanto in circostanze tassativamente individuate dalle norme di riferimento, che riguardano sostanzialmente i casi di contabilità formalmente inattendibile, e prevede l’ampio ricorso a strumenti presuntivi, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle scritture contabili per questo motivo è anche detto accertamento extracontabile”. L’analisi della Cassazione. I Giudici di legittimità evidenziano che l’Agenzia delle Entrate si lamenta del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto non precisamente individuate le fonti di liquidazione del presunto corrispettivo e perciò della plusvalenza e che di dette fonti non sia stata fatta precisa allegazione” nel contesto della motivazione. L’Agenzia delle Entrate dopo aver evidenziato nel ricorso che l’Ufficio preposto all’attività di accertamento aveva compiuto varie indagini, ovvero aveva confrontato i dati pubblicati da autorevoli quotidiani nazionali ed aveva preso in considerazione il prezzo indicato dai soggetti che avevano ceduto le licenze ed avevano correttamente esposto in dichiarazione l’importo riscosso si era rivolto ai responsabili comunali della gestione delle licenze etc. , afferma che non si possa dubitare della correttezza dell’accertamento in quanto è stato necessario calcolare induttivamente il valore di trasferimento della licenza, a causa dell’omessa registrazione dell’atto di compravendita”, ed assume che la motivazione del provvedimento impugnato contiene tutti gli elementi idonei a porre il contribuente nelle condizioni di conoscere l’iter logico giuridico seguito dall'Ufficio nella formazione del provvedimento impositivo . Nel caso di specie, la Corte di Cassazione osserva che nella motivazione dell’avviso si diceva che dall’esito delle indagini di mercato svolte attraverso vari siti internet specializzati, si rileva che nella città in cui è stato svolto l’accertamento il costo medio di una licenza è stimabile in € 150.000,00 tale dato è stato altresì confrontato con la media dei prezzi indicati dai soggetti che hanno ceduto le licenze, elementi da considerarsi come presunzioni semplici , sul presupposto dell’inferenza probabilistica dei fatti costituitivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti . Per i Giudici di legittimità il motivo è da ritenersi infondato per quanto in presenza di circostanze simili a quelle di causa, di certo compete all’Ufficio di avvalersi di presunzioni semplici fondate su dati e notizie comunque raccolti, resta però che il giudicante non ha sicuramente inteso riferirsi alla violazione dell’articolo 39, menzionato allorquando ha ritenuto che l’Agenzia non potesse limitarsi alla generica individuazione delle fonti dell’accertamento, senza alcuna allegazione di dette fonti nel contesto della motivazione, ma bensì alla regola dell’articolo 7, dello Statuto del Contribuente, che impone l’indicazione dei presupposti di fatto oltre che le ragioni giuridiche dei provvedimenti amministrativi, con conseguente allegazione” all’atto richiamante delle fonti di detti fatti. Detti elementi di valutazione, nella concreta fattispecie di causa, sono in realtà costituiti da documenti e luoghi di informazione la stessa parte oggi ricorrente assume che sono stati specificamente individuati e consultati, sicché non si intende perché non ne abbia dato conto nella motivazione del provvedimento che sono stati valorizzati per paragone, di cui l’Agenzia procedente si è limitata a dare del tutto generica indicazione, così precludendo alla parte contribuente di potersene avvalere a fini difensivi e perciò violando il principio ribadito da un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai sensi dell’articolo 7 della l. n. 212/00, l'obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all'atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l'insieme di quelle parti oggetto, contenuto e destinatari dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente - ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale - di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento . Per la Corte di Cassazione è priva di fondamento l’affermazione della parte ricorrente secondo cui l’Ufficio avrebbe esattamente adempiuto al proprio onere una volta che abbia fatto ciò che è necessario per porre il contribuente nelle condizioni di conoscere l’ iter logico giuridico seguito dall’Ufficio nella formazione del provvedimento impositivo , non essendo detto iter logico comprensivo degli elementi istruttori specifici di cui l’Ufficio si è avvalso. Le conclusioni. Per i Giudici di legittimità dalle considerazione suesposte è corretta la pronuncia del giudice del merito che ha ritenuto invalidante il difetto di allegazione o specifica riproduzione dei documenti richiamati nel provvedimento. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è, pertanto, respinto con condanna dell’Agenzia delle Entrate a rifondere le spese del giudizio in commento.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 21 ottobre – 15 dicembre 2015, numero 25249 Presidente Iacobellis – Relatore Caracciolo Osserva La CTR di Napoli ha accolto l'appello di B.A. appello proposto contro la sentenza numero 3314412012 della CTP di Napoli che aveva respinto il ricorso dichiarandone inammissibile la proposizione a causa di tardività dell'impugnazione ed ha così annullato l'avviso di accertamento per IRPEF 2004 a mezzo del quale era stata contestata l'omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi della plusvalenza liquidata nell'importo di € 150.000.00 realizzata per effetto del trasferimento di una licenza taxi già intestata al marito della B., poi deceduto, sia pure per la quota di competenza di detta erede. La predetta CTR -dopo avere dato atto della tempestività del ricorso di primo grado ha motivato la decisione ritenendo che nella specie in esame non si potesse fare utilizzo della nozione di azienda di cui all'articolo 2555 cod civ , atteso che il titolare della licenza era dipendente e socio retribuito di una cooperativa. Inoltre la licenza al contrario dell'auto non è bene disponibile ma autorizzazione all'esercizio di autopubblica da piazza, sicché viene poi intestata ad un nuovo soggetto con disposizione comunale. Infine, l'accertamento della presunta plusvalenza non risulta fondato su valori di riferimento con precisa individuazione delle fonti e con allegazione all'accertamento stesso . L'Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo. La parte contribuente si è difesa con controricorso. Il ricorso ai sensi dell'articolo 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all'articolo 376 cpc può essere definito ai sensi dell'articolo 375 cpc. Invero, volendo prescindere dal considerare che la parte ricorrente ha impugnato con unico motivo di ricorso le plurime ben tre rationes decidendi sui cui la decisione si fonda, così rendendo difficile e perciò stesso inammissibile il ricorso l'identificazione delle specifiche ragioni per cui ciascuna di detta rationes decidendi è stata oggetto di censura, attesa la promiscua modalità di articolazione delle ragioni sottese all'impugnazione, basti qui evidenziare che le ragioni per le quali è stata oggetto di censura l'ultima delle rationes decidendi riassunte dianzi appaiono manifestamente sfornite di pregio e perciò da disattendersi. Infatti articolando, nel contesto dei complesso motivo, una doglianza verosimilmente da considerarsi centrata sulla violazione dell'articolo 39 comma 2 del DPR numero 600/1973, neppure menzionato in rubrica e senza espressamente chiarire quale specifica statuizione si sia inteso censurare , la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto non precisamente individuate le fonti di liquidazione del presunto corrispettivo e perciò della plusvalenza e che di dette fonti non sia stata fatta precisa allegazione nel contesto della motivazione. La parte ricorrente -dopo avere evidenziato che l'Ufficio aveva compiuto varie indagini, ovvero aveva confrontato i dati pubblicati da autorevoli quotidiani nazionali ed aveva preso in considerazione il prezzo indicato dai soggetti che avevano ceduto le licenze ed avevano correttamente esposto in dichiarazione l'importo riscosso si era rivolto ai responsabili comunali della gestione delle licenze etc. assume che non si possa dubitare della correttezza dell'accertamento in quanto è stato necessario calcolare induttivamente il valore di trasferimento della licenza, a causa dell'omessa registrazione dell'atto di compravendita , ed assume che la motivazione del provvedimento impugnato contiene tutti gli elementi idonei a porre il contribuente nelle condizioni di conoscere l'iter logico giuridico seguito dall'Ufficio nella formazione del provvedimento impositivo . In specie, nella motivazione dell'avviso si diceva che dall'esito delle indagini di mercato svolte attraverso vari siti internet specializzati, si rileva che a Napoli il costo medio di una licenza è stimabile in € 150.000,00 tale dato è stato altresì confrontato con la media dei prezzi indicati dai soggetti che hanno ceduto le licenze , elementi da considerarsi come presunzioni semplici , sul presupposto dell'inferenza probabilistica dei fatti costituitivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti . Il motivo è da ritenersi infondato, anche atteso ciò che codesta Corte ha già avuto modo di insegnare a proposito di analoghe vicende di fatto Cass. Sez. 2, Sentenza numero 22112 del 16/10/2006 Cass. Sez. 5, Ordinanza numero 23327 del 2010. Ed infatti, per quanto in presenza di circostanze simili a quelle di causa, di certo compete all'Ufficio di avvalersi di presunzioni semplici fondate su dati e notizie comunque raccolti, resta però che il giudicante non ha sicuramente inteso riferirsi alla violazione dell'articolo 39 menzionato allorquando ha ritenuto che l'Agenzia non potesse limitarsi alla generica individuazione delle fonti dell'accertamento, senza alcuna allegazione di dette fonti nel cotesto della motivazione, ma bensì alla regola dell'articolo 7 dello Statuto del Contribuente che impone l'indicazione dei presupposti di fatto oltre che le ragioni giuridiche dei provvedimenti amministrativi, con conseguente allegazione all'atto richiamante delle fonti di detti fatti. Detti elementi di valutazione, nella concreta fattispecie di causa, sono in realtà costituiti da documenti e luoghi di informazione la stessa parte oggi ricorrente assumere che sono stati specificamente individuati e consultati, sicchè non si intende perché non ne abbia dato conto nella motivazione del provvedimento che sono stati valorizzati per paragone, di cui l'Agenzia procedente si è limitata a dare del tutto generica indicazione, così precludendo alla parte contribuente di potersene avvalere a fini difensivi e perciò violando il principio ribadito da questa Corte di recente Cass. Sez. 5, Sentenza numero 6914 del 25/03/2011 idem Cass. Sez. 5, Sentenza numero 1906 del 29/01/2008 nonché Cass. Sez. 5, Sentenza numero 18117 del 08/09/2004 per il regime antevigente alla emanazione dello Statuto secondo cui Nel regime introdotto dall'articolo 7 della legge 27 luglio 2000, numero 212, l'obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem , ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all'atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l'insieme di quelle parti oggetto, contenuto e destinatari dell'atto o dei documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale di individuare i luoghi specifici dell'atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. In applicazione dei principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivato l'atto con cui l'Ufficio aveva rettificato, ai fini dell'imposta di registro e dell'INVIM, il valore di un immobile -dichiarato in un contratto di compravendita, richiamando in comparazione altro atto di cessione di bene, ritenuto della stessa natura, senza allegarlo integralmente, ma riportandone soltanto alcuni stralci significativi . Del tutto sfornito di fondamento è perciò l'assunto della parte ricorrente secondo cui l'Ufficio avrebbe esattamente adempiuto al proprio onere come descritto nell'anzidetta norma una volta che abbia fatto ciò che è necessario per porre il contribuente nelle condizioni di conoscere l'iter logico giuridico seguito dall'Ufficio nella formazione del provvedimento impositivo , non essendo detto iter logico comprensivo degli elementi istruttori specifici di cui l'Uff cio si è avvalso. Consegue da ciò che deve ritenersi corretta la pronuncia del giudice del merito che ha ritenuto invalidante il difetto di allegazione o specifica riproduzione dei documenti richiamati nel provvedimento. Atteso che la ora menzionata ratio decidendi è sicuramente idonea a sorreggere da sé sola il convincimento del giudicante, le ulteriori ragioni di impugnazione eventualmente identificabili nel motivo di impugnazione non possono che restare assorbite, perché frustrante. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza. Roma, 20 dicembre 2014 ritenuto inoltre che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in € 2.500,00 oltre accessori di legge ed oltre € 100,00 per esborsi.