Legittimo l’accertamento fiscale anche nei confronti del conto cointestato con un familiare

E’ legittimo l’accertamento fiscale che si basa su versamenti sospetti in banca anche se il conto è cointestato con un altro familiare che ha importanti disponibilità economiche è onere del contribuente, e non dell’amministrazione finanziaria, dimostrare la natura delle movimentazioni sospette.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 18125 del 15 settembre 2015, ha affermato che l’accertamento fiscale è legittimo anche se è effettuato su versamenti sospetti che sono relativi ad un conto corrente intestato con un familiare per i giudici di legittimità è compito del contribuente dimostrare la natura di ogni movimentazione sospetta che è stata contestata dall’amministrazione finanziaria. Il caso. La vicenda tra origine da una controversia tra un contribuente e l’Agenzia delle Entrate il contribuente ha impugnato l’avviso con il quale, a seguito di indagine finanziaria effettuata su alcuni correnti bancari, veniva accertata per l’anno di imposta 2004, una maggiore Irpef dovuta la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, riformando integralmente la decisione di primo grado favorevole alla contribuente. In particolare la Corte territoriale osservava che l’art. 32, comma 1, numero 2, DPR numero 600/1973, ha introdotto una presunzione legale relativa e ha ritenuto che la contribuente non era stata in grado di giustificare le movimentazioni bancarie poi riprese a tassazione, non essendo sufficiente la semplice allegazione relativa alla cointestazione del conto corrente bancario con la madre, che vantava facoltose disponibilità economiche. La difesa del contribuente negli accertamenti bancari. Il legislatore, sia nell’ambito delle imposte dirette, sia dell’Iva, ha statuito una presunzione legale relativa a favore del Fisco, secondo cui è il contribuente a dovere dimostrare che le somme transitate sul proprio conto corrente, oggetto di contestazione, non dovevano concorrere alla formazione del reddito di periodo. Ad una prima lettura il disposto normativo sembra non fare distinzione di sorta tra accertamento condotto nei confronti di soggetti privati, ovvero esercenti attività d’impresa, arte o professione, tanto che il generico richiamo fatto agli artt. 38, 39, 40 e 41 D.P.R. numero 600/1973, sembra rendere uniforme il procedimento accertativo nei confronti di chiunque. In realtà, come giustamente affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza 27 settembre 2011, numero 19692, mentre l’Ufficio può desumere per qualsiasi contribuente che i versamenti operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscono reddito, così non è per i prelevamenti. Per questi ultimi, infatti, la presunzione di maggior reddito può operare solo per i possessori di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, non potendosi certamente in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa, e potendo viceversa una simile presunzione trovare giustificazione per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali le spese non giustificate possono infatti ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti. Il ragionamento della giurisprudenza di legittimità è in linea con il dettato normativo dell’art. 32, D.P.R. numero 600/1973 mentre, infatti, la prima parte del punto 2 , prevede che la rettifica possa essere effettuata ai sensi degli artt. 38, 39, 40 e 41, quindi non solo nell’ambito del reddito imprenditoriale/professionale, ma anche nell’ambito del reddito complessivo dichiarato dal contribuente, la seconda parte, facendo riferimento ai soli ricavi e compensi, relega la possibile rettifica ai soli possessori di reddito d’impresa, arte o professione. Questi ultimi hanno comunque la possibilità di fornire la prova contraria indicando il soggetto beneficiario, dimostrando inoltre che i prelevamenti e gli importi riscossi oggetto di contestazione risultano dalle scritture contabili tenute ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva. Riguardo poi al tenore della prova contraria cui è tenuto il contribuente, sempre la Cassazione con sentenza del 24 settembre 2010, numero 20199, ha stabilito che l’art. 32, D.P.R. numero 600/1973 impone al contribuente di dimostrare l’irrilevanza ai fini della verifica di ciascuna operazione transitata sul conto. Quindi, a seconda che la ripresa verta i soli versamenti soggetto privato oppure anche i prelevamenti e gli importi riscossi titolare di reddito d’impresa, arte o professione , il contribuente è tenuto a giustificare ciascuna delle predette operazioni, pena il loro concorso alla rettifica del reddito imponibile dichiarato. Sempre la Corte di Cassazione ha stabilito come il contribuente non possa invertire l’onere della prova adducendo il saldo negativo del conto corrente bancario, piuttosto che il pareggio delle entrate e delle uscite transitate sul medesimo. Quindi, ad esempio, posto un avvio delle indagini finanziarie in conseguenza della riscontrata divergenza tra il tenore di vita riscontrato ed i redditi dichiarati dal contribuente, non potrà, quest’ultimo, esibire quale giustificazione la congruità del reddito con l’esiguo saldo risultante dal conto corrente. Tale impostazione è corretta, visto che le uscite potrebbero occultare investimenti neri” correlati a ricavi neri”, con il conseguente occultamento di materia imponibile. Accertamento legittimo anche nei confronti del conto cointestato con un familiare. I giudici di legittimità, con sentenza in commento, ritengono che le diverse motivazioni del ricorso, da trattarsi congiuntamente afferendo sostanzialmente alla medesima questione, non appaiono meritevoli di accoglimento. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la Cassazione è ferma nel ritenere che qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell’amministrazione è soddisfatto, secondo l'art. 32, D.P.R. numero 600/1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili . Con riferimento , poi, specificamente, alla censura espressa con il primo motivo, si è precisato che i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione, ai sensi dell'art. 32, D.P.R. numero 600/1973, poiché questa previsione e quella di cui all’art. 38, del medesimo D.P.R. hanno portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell'attività svolta e dalla quale quei redditi provengano. Con riferimento al tipo di prova che il contribuente ha l’onere di fornire al fine di vincere la presunzione di cui al citato art. 32, la Corte di Cassazione evidenzia che è sì ammesso anche il ricorso alle presunzioni semplici ma le stesse devono essere sottoposte ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio purché grave preciso e concordante ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo . La Cassazione rigetta il ricorso della contribuente e la condanna al pagamento delle spese in favore dell’Agenzia delle Entrate.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 9 luglio – 15 settembre 2015, numero 18125 Presidente Cicala – Relatore Crucitti Fatto Nella controversia avente origine dall’impugnazione da parte di G.S. dell’avviso con il quale, a seguito di indagine finanziaria effettuata su conti correnti bancari, veniva accertata per l’anno di imposta 2004 la debenza di una maggiore i.r.p.e.f., la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, con la sentenza indicata in epigrafe, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, riformava integralmente la decisione di primo grado favorevole alla contribuente. Il Giudice di appello — rilevato che l’articolo 32, comma primo, numero 2 del d.p.r. numero 600 del 1973 aveva introdotto una presunzione legale relativa ha ritenuto che la contribuente non era stata in grado di giustificare le movimentazioni bancarie poi riprese a tassazione, non essendo sufficiente la mera allegazione relativa alla cointestazione del conto corrente bancario alla madre. Avverso la sentenza G.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il relatore ha depositato relazione ex articolo 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso. Il Presidente ha fissato l’udienza del 9 luglio 2015 per l’adunanza della Corte in camera di consiglio. Diritto 1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli articolo 32 e 38 del d.p.r. numero 600/1973 e dell’articolo 2729 c.c. laddove la C.T.R. aveva ritenuto che l’articolo 32, comma primo, numero 2 del d.p.r. citato avesse introdotto nell’ordinamento una presunzione legale relativa. 2. Con il secondo mezzo si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 32 d.p.r. numero 600/1973 e degli articolo 115 e 166 c.p.c. laddove la C.T.R. -pur a fronte dell’allegazione di essa contribuente che il conto era cointestato alla madre, la quale aveva notevoli disponibilità finanziarie aveva ritenuta necessaria la prova documentale che le movimentazioni bancarie, contestate dall’Ufficio, fossero riferibili esclusivamente all’altro intestatario del conto corrente mentre, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, la prova poteva essere fornita a mezzo di presunzioni semplici. 3. Infine, con il terzo motivo, si deduce sempre la violazione degli articolo 32 e 38 citati e dell’articolo 2729 c.c. laddove la C.T.R. aveva omesso di considerare quanto lamentato sin dal ricorso introduttivo ovvero che, essendo il conto cointestato, aveva errato l’Agenzia delle Entrate nel recuperare l’intero importo dei movimenti contestati e non solamente il 50%. 4. I mezzi, da trattarsi congiuntamente afferendo sostanzialmente alla medesima questione, non appaiono meritevoli di accoglimento. 5. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, questa Corte è ferma nel ritenere che qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, secondo l'articolo 32 del D.P.R. 29 settembre 1973 numero 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili cfr. tra le tante Cass. numero 18081 del 04/08/2010. Riguardo, poi, specificamente, alla doglianza espressa con il primo motivo, si è precisato Cass. numero 19692 del 27/09/2011 che i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione, ai sensi dell'articolo 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, poiché questa previsione e quella di cui all’articolo 38 del medesimo D.P.R. hanno portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell'attività svolta e dalla quale quei redditi provengano né può inferirsi l'applicabilità dell'articolo 32 citato ai soli soggetti che esercitino attività di impresa o di lavoro autonomo per via del riferimento testuale della disposizione ai ricavi ed alle scritture contabili , in quanto il dato letterale risulta limitativo unicamente della possibilità per l'Ufficio di desumere reddito dai prelevamenti , giacché non può presumersi in via generale e per qualsiasi contribuente la produzione di un reddito da una spesa, a differenza che per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali, invece, le spese non giustificate possono ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti. 6.1n ordine al tipo di prova che il contribuente ha l’onere di fornire al fine di vincere la presunzione di cui al citato articolo 32 è sì ammesso anche il ricorso alle presunzioni semplici ma le stesse devono essere sottoposte ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio purché grave preciso e concordante ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo Cass. 22502/2011 richiamata da Cass.4585/15 . 7. Alla luce di tali principi, da un canto si appalesa l’irrilevanza della circostanza che il conto corrente bancario sia, come nella specie, cointestato cfr.Cass.numero 21420/12 con infondatezza del terzo motivo e dall’altra l’inconducenza del secondo. 8. La C.T.R. ligure, infatti, nell’accertare, in fatto, che nel caso in esame la parte non è stata in grado di giustificare le movimentazioni bancarie poi riprese a tassazione e pur affermando che era la parte a dover fornire la prova documentale che le movimentazioni bancarie contestate dall’Ufficio dovevano riferirsi esclusivamente all’altro cointestatario del conto corrente non ha negato come dedotto in ricorso ingresso alla prova indiziaria fornita dalla contribuente ma, valutandola dettagliatamente, non ne ha apprezzato la gravità, precisione e concordanza, rilevando che le allegazioni allo scopo fornite non erano esaustive non essendo correlate a precisi e puntuali riferimenti alle singole operazioni riferibili all’altro cointestatario ed alla causale delle operazioni stesse, essendosi la parte limitata ad affermazioni generiche sull’autonomia gestionale della madre e sul fatto che era titolare di svariati immobili, di investimenti in fondi comuni, di titoli obbligazionarie e di pronta liquidità su conto corrente. 9. Ne consegue, anche a fronte di tale accertamento in fatto non idoneamente contrastato, la correttezza della sentenza impugnata nell’applicazione della normativa di riferimento, secondo l’interpretazione fornitane da questa Corte e, quindi, il rigetto del ricorso. 10. In ossequio al principio di soccombenza le spese, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente. 11. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.p.r. numero 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate alle spese liquidate in complessivi euro 2.050, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi deirarticolo 13 comma 1 quater del d.p.r. numero 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.