Negozio grande, poco reddito: via libera all’accertamento induttivo

Si deve ritenere assolutamente antieconomica l’attività del contribuente che gestisce un’officina di grandi dimensioni a fronte di redditi dichiarati esigui. In un’ipotesi siffatta sussistono i presupposti per dar luogo all’accertamento induttivo dei ricavi, ex art. 39 d.P.R. n. 600/1973.

Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 13734 del 3 luglio 2015. La vicenda. Il giudice del gravame ha annullato un avviso di accertamento emesso ai sensi dell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973 a carico del titolare di un’officina. Esso ha precisato che l’Ufficio finanziario non aveva proceduto a una ricostruzione sistematica dei ricavi, fondata su dati precisi e concordanti, essendosi basato su un unico elemento, di per sé insufficiente a giustificare l’utilizzo del metodo induttivo. Legittimità dell’accertamento induttivo. Gli Ermellini con la pronuncia citata hanno accolto il ricorso in Cassazione del fisco. L’iter logico giuridico adottato dalla Suprema Corte di Cassazione ha evidenziato i seguenti capisaldi • l’accertamento induttivo è legittimo anche in presenza di scritture contabili regolari ma che appaiano nel complesso inattendibili Cass. n. 5870/2003 . • La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce in esito al contraddittorio con il contribuente. Nel caso di specie, pertanto - dove la costituzione del contraddittorio c’è stata - ha ragione l’Ufficio finanziario quando lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata perché risultano una pluralità di elementi evidenziati dall'Ufficio che non sono stati in alcun modo valutati dalla CTR, quali l'assoluta antieconomicità dell'attività esercitata dal contribuente alla luce dell’esiguità del reddito dichiarato, la superficie effettiva dell'officina, risultata di gran lunga superiore a quella dichiarata 128 mq a fronte di 50 mq indicati nel questionario allegato alla dichiarazione dei redditi , l'irregolare indicazione delle rimanenze, in violazione dell'art. 59 TUIR, non essendo stato indicato né l'anno di formazione, né la suddivisione delle stesse in categorie omogenee . La CTR, ha erroneamente affermato la necessità di una ricostruzione sistematica dei ricavi fondata su dati precisi e ha omesso di valutare, dandone conto in motivazione, le specifiche risultanze del caso concreto e l’inidoneità delle diverse presunzioni allegate dall’Ufficio, dando rilievo al solo elemento della resa oraria . Comportamento antieconomico. Il comportamento manifestamente contrario agli ordinari canoni dell’economia e dell’attività dell’impresa legittima l’Amministrazione finanziaria all’accertamento induttivo, incombendo al giudice di merito che disattende i rilievi dell’ufficio impositore motivare adeguatamente in ordine all’assenza di violazioni di norme tributarie. Nel giudizio tributario, una volta contestata dall'erario l'antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell'economia, incombe sul medesimo l'onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo - in difetto - pienamente legittimo il ricorso all'accertamento induttivo da parte dell'amministrazione, ai sensi degli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973 e 54 d.P.R. n. 633/1972. In presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, e che giustifichi in maniera non convincente, è legittimo l'accertamento ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d , d.P.R. n. 600/1973. Il sindacato dell’Amministrazione finanziaria circa il comportamento antieconomico del contribuente non trova limiti nella disposizione relativa alla libertà di iniziativa privata art. 41 Cost. . Una condotta non ispirata ai normali criteri di economicità dell’imprenditore principio del massimo risultato e del minimo mezzo , in contrasto con le scelte del buon senso e prive di razionale motivazione può assumere valenza di indizio fornito dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che legittimano il disconoscimento della deducibilità dei costi, avuto riguardo al parametro del valore normale che costituisce punto di riferimento nella valutazione fiscale delle cessioni di beni e prestazioni di servizi. Né a tale giudizio di congruità il contribuente si sottrae attraverso la regolare tenuta delle scritture contabili Cass. n. 27568/2013 . Nell’accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento dell’imprenditore manifestamente antieconomico legittima l'Amministrazione Finanziaria a contestare un maggior reddito, anche in assenza di irregolarità formali nella contabilità. Lo stesso non può dirsi in materia di IVA, dove il potere di disconoscere i costi portati in detrazione è legato a elementi concreti da cui poter desumere l’inattendibilità delle fatture o la non inerenza di esse all’attività d’impresa. Il diritto alla detrazione IVA - in ragione di costi antieconomici sostenuti dal contribuente resta ispirato al criterio della neutralità, in base al quale ogni fornitore o prestatore di servizio che abbia corrisposto l’imposta può detrarla dai costi sostenuti e interrompendosi il meccanismo solo allorché il bene o il servizio siano resi al consumatore finale. In condizioni normali, dunque, non è consentito all’Amministrazione finanziaria rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione se il valore sia ritenuto antieconomico, dunque diverso da quello da reputare normale o comunque tale da produrre un risultato economico diverso. Un’eccezione a questa regola è però ammessa allorché la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate a IVA . Ne deriva che, una volta dimostrata l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale e inerente rispetto all’attività svolta . In materia d’imposizione diretta vale invece il principio per cui l’Amministrazione finanziaria può valutare la congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, con possibile negazione della deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, non essendo l’Ufficio vincolato ai valori e ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali Cass. n. 12502/2014 .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 16 aprile – 3 luglio 2015, numero 13734 Presidente Cappabianca – Relatore Federico Svolgimento del processo L’Agenzia delle Entrate, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della CTR della Campania con la quale, confermando la sentenza della CTP, annullava l’avviso di accertamento a carico di A.Z. deducendo la insussistenza dei presupposti per dar luogo ad accertamento induttivo ex art. 39 Dpr 600/73 a carico del contribuente. La CTR, in particolare, rilevava che l’Ufficio non aveva provveduto ad una ricostruzione sistematica dei ricavi fondata su dati precisi e concordanti, basandosi su un solo elemento, di per sé insufficiente a giustificare l’accertamento induttivo. Il contribuente non ha svolto, nel presente giudizio, attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 Dpr 600/73 in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c., lamentandosi che erroneamente la CTR aveva escluso la sussistenza dei presupposti per dar luogo all’accertamento induttivo. Con il secondo motivo si denunzia il vizio di insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 numero 5 , c.p.c. lamentando che la CTR non abbia preso posizione sulle specifiche e molteplici censure messe in evidenza dall‘ufficio sull’esistenza di diverse circostanze, gravi, precise e concordanti, che avevano legittimato il ricorso all’accertamento induttivo. I motivi che, in ragione dell'intima connessione, vanno unitariamente esaminati, sono fondati. La CTR si è infatti limitata ad affermare apoditticamente l’insussistenza dei presupposti per dar luogo all’accertamento induttivo, in quanto non vi era stata una ricostruzione sistematica dei ricavi fondata su dati precisi e concordanti, essendo fondata su un solo elemento costituito dalla resa oraria . Orbene, questa Corte ha già affermato che l’accertamento induttivo del reddito è consentito anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza Cass. 5870/2003 . In particolare, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, cui intende darsi continuità, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce in esito al contraddittorio con il contribuente. Cass. 17646/2014 . Orbene, fermo che nel caso di specie il contraddittorio appare costituito, risultano una pluralità di elementi evidenziati dall'Ufficio che non sono stati in alcun modo valutati dalla CTR, quali l’assoluta antieconomicità dell’attività esercitata dal contribuente alla luce dell’esiguità del reddito dichiarato, la superficie effettiva dell’officina, risultata di gran lunga superiore a quella dichiarata 128 mq. a fronte di 50 mq indicati nel questionario allegato alla dichiarazione dei redditi , l’irregolare indicazione delle rimanenze, in violazione dell’art. 59 TUIR, non essendo stato indicato né l’anno di formazione, né la suddivisione delle stesse in categorie omogenee. Il giudice di appello ha invece erroneamente affermato la necessità di una ricostruzione sistematica dei ricavi fondata su dati precisi, ed ha omesso di valutare, dandone conto in motivazione, le specifiche risultanze del caso concreto e l’idoneità delle diverse presunzioni allegate dall’Ufficio , dando rilievo al solo elemento della resa oraria. La sentenza della CTR della Campania dev’essere pertanto cassata e rimessa per un nuovo esame innanzi ad altra sezione della medesima CTR, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, innanzi ad altra sezione della CTR della Campania.