Prestazioni di uno studio dentistico sempre in esenzione se c’è un direttore sanitario

Lo studio dentistico anche se esercita l’attività tramite alcuni operatori non medici perché odontotecnici effettua, in ogni caso, le prestazioni in esenzione IVA nel caso in cui l’attività sia svolta sotto la direzione di un direttore sanitario.

Le prestazioni odontoiatriche svolte da un odontotecnico beneficiano dell’esenzione IVA se lo studio medico è dotato di un direttore sanitario la Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 13138, del 24 giugno 2015, ha affermato un importante principio in materia di esenzione IVA per prestazioni mediche. Per i Giudici di legittimità la presenza di una figura professionale medica rappresenta un elemento sufficiente a ribaltare il presupposto che è compito, in tale occasione, dell’amministrazione finanziaria dimostrare che la prestazione è svolta in modo illegittimo. Il contenzioso. La CTR ha respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate che, a sua volta, aveva impugnato la sentenza della CTP per una questione legata al disconoscimento dell’esenzione IVA, ex articolo 10, comma 1, numero 18, del DPR numero 633/1972 la contestazione era relativa al fatto che l’attività dentistica” in un centro dentistico, era svolta da soggetti non legalmente abilitati e, quindi, non spettava l’esenzione IVA. L’accertamento prevedeva il recupero dell’IVA e anche dell’IRAP. La predetta CTR , dopo avere premesso che l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate , muoveva dal presupposto che l’intervento del direttore sanitario era stato solo formale e sporadico , sicché non vi era stata attività diretta alle cure del paziente né la qualità di operatore sanitario di chi l’aveva posta in essere, sosteneva che spetta all’ufficio dimostrare se ed in quale misura le prestazioni odontoiatriche sono state rese abusivamente ovvero di fatto rese da un odontotecnico in assenza di tale prova la pretesa non risultava dimostrata. D’altronde, era anche inammissibile la distinzione tra attività lecitamente ed illecitamente esercitate ai fini della concessione dell’esenzione IVA . Avverso la sentenza sfavorevole l’Agenzia delle Entrate è ricorso in Cassazione. L’esenzione IVA per le prestazioni sanitarie mediche. Sinteticamente si ricorda che il numero 18 , dell'articolo 10, del D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, considera esenti le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell'esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell'articolo 99, del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, numero 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il con il Ministro delle finanze . Il richiamato articolo 99, del testo unico numero 1265, prevede che è soggetto a vigilanza l'esercizio della medicina e chirurgia, della veterinaria, della farmacia e delle professioni sanitarie ausiliarie di levatrice, assistente sanitaria, visitatrice e infermiere diplomata. È anche soggetto a vigilanza l'esercizio delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie. S'intendono designate con tale espressione le arti dell'odontotecnico, dell'ottico, del meccanico ortopedico ed ernista e dell'infermiere abilitato o autorizzato, compresi in quest'ultima categoria i capi bagnini degli stabilimenti idroterapici e i massaggiatori . L’analisi della Cassazione. Il motivo del ricorso dell’Agenzia delle Entrate è centrato, principalmente, sulla violazione dell’articolo 10, del DPR numero 633/1972. In particolare l’Agenzia delle Entrate dopo avere premesso che nessuno dei soci nella società contribuente è in possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’odontoiatria e che nella struttura venivano prestate al contempo attività odontoiatriche e odontoprotesiche, ha evidenziato di avere ritenuto non esentabili da IVA, le prestazioni rese all’interno dello studio dentistico, sul presupposto che non risultavano effettuate da soggetti abilitati all’esercizio della professione sanitaria. L’Agenzia delle Entrate censura la sentenza del giudice del merito, in tema di onere della prova, perché aveva violato il principio secondo il quale in materia tributaria è il contribuente a dover provare i presupposti di fatto e di diritto legittimanti l’adozione di qualsiasi regime derogatorio all’imposizione ordinaria . D’altronde, al giudicante sarebbe bastato considerare l’articolo 51, comma 2, DPR numero 633/1972, per desumere dalle riscontrate irregolarità nella tenuta della contabilità una presunzione contraria al contribuente idonea a determinare l’inversione su quest’ultimo, dell’onere della prova. Per i giudici di legittimità la censura mossa dall’Agenzia delle Entrate appare più volte carente in termini di assolvimento dell’onere di autosufficienza del ricorso per Cassazione, sia per ciò che concerne l’assunto in ordine all’irregolare tenuta della contabilità d’impresa, sia per ciò che concerne la natura delle prestazioni fatturate di cui pretende l’esclusione dal regime di esonero non solo in assoluto, ma anche in rispetto al complesso delle attività esercitate dalla società, nel paragone con il quale soltanto si sarebbe potuto apprezzare, alla luce del numero dei clienti, dell’impegno personale profuso dai soci, del combinato rapporto tra prestazioni sanitarie e ausiliarie implicate da ciascun genere di programma terapeutico, se vi fossero elementi presuntivi per supporre ciò che l’Ufficio ha supposto, e cioè che l’organizzazione aziendale mascherasse una forma di esercizio abusivo della professione sanitaria. Per i Giudici di legittimità nella totale carenza di indagini a proposito degli elementi di fatto da cui desumere la veridicità di una tale ipotesi accertativa, non restava al giudice del merito se non fare applicazione rigorosa del criterio dell’ onus probandi che addossa a chi ha interesse a prospettare l’esistenza di sistema abusivo volto a frodare la legge di quantomeno allegare gli elementi presuntivi se non gravi, precisi e concordanti, almeno semplici donde detto sistema possa apprezzarsi, onde consentire a chi ne è imputato di difendersi da specifiche contestazioni . Secondo un precedente orientamento giurisprudenziale, la Cassazione ha avuto modo di affermare che in tema di IVA, le pratiche abusive consistenti nell'impiego di una forma giuridica o di un regolamento contrattuale al fine di realizzare quale scopo principale seppur non esclusivo un risparmio di imposta, anche se allo stesso si accompagnino secondarie finalità di contenuto economico, consistono in abusi di diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento comunitario e, pertanto, assumono rilievo normativo primario in tale ordinamento, indipendentemente dalla presenza di una clausola generale antielusiva nell'ordinamento fiscale italiano. L'individuazione dell'impiego abusivo di una forma giuridica incombe sull'amministrazione finanziaria, la quale non potrà limitarsi ad una mera e generica affermazione, ma dovrà individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere l'operazione priva di reale contenuto economico, diverso dal risparmio di imposta. La Cassazione , in conclusione, per le ragioni suindicate rigetta il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 7 maggio – 24 giugno 2015, numero 13138 Presidente Cicala – Relatore Caracciolo Osserva La CTR di Torino ha respinto l’appello dell’Agenzia, appello proposto contro la sentenza numero 6-16-2011 della CTP di Torino che - in causa avente ad oggetto disconoscimento dell’esenzione IVA ex art. 10 comma 1 numero 18 del DPR numero 633/1972 , siccome l’attività dentistica svolta dalla parte contribuente era stata in concreto esercitata da soggetti non legalmente abilitati, oltre al recupero dell’IRAP sul maggior imponibile non dichiarato, imposte riferite all’anno 2007- aveva accolto il ricorso proposto dalla Centro dentistico M.F.R. e snc avverso il relativo avviso di accertamento. La predetta CTR - dopo avere premesso che l’Ufficio muoveva dal presupposto che l’intervento del direttore sanitario dott. C. era stato solo formale e sporadico , sicché non vi era stata attività diretta alle cure del paziente né la qualità di operatore sanitario di chi l’aveva posta in essere - argomentava che spetta all’ufficio dimostrare se ed in quale misura le prestazioni odontoiatriche sono state rese abusivamente ovvero di fatto rese da un odontotecnico in assenza di tale prova la pretesa non risultava dimostrata. D’altronde, era anche inammissibile la distinzione tra attività lecitamente ed illecitamente esercitate ai fini della concessione dell’esenzione IVA . L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La parte contribuente non si è difesa. Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc. Con il secondo motivo di impugnazione centrato sulla violazione dell’art. 10 del DPR numero 633/1972, in combinato disposto con gli art. 2697 comma 1 cpc e 51 comma 2 numero 2 DPR numero 633/1972, da esaminarsi preliminarmente perché di più agevole soluzione e perché dirimente in ipotesi di rigetto, siccome riferito ad una delle due autonome rationes decidendi su cui si regge la decisione impugnata la parte ricorrente - dopo avere premesso che nessuno dei soci nella società contribuente è in possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’odontoiatria e che nella struttura venivano prestate contempo le attività odontoiatriche dal C. e quelle odontoprotesiche dagli altri soci - ha evidenziato di avere ritenuto non esentabili da IVA le complessive? prestazioni rese all’interno di quest’ultima, sul presupposto che non risultavano effettuate da soggetti abilitati all’esercizio della professione sanitaria. Ciò posto, la ricorrente si è doluta dell’applicazione fatta dal giudicante della regola in tema di onere della prova, così violando il principio secondo il quale in materia tributaria è il contribuente a dover provare i presupposti di fatto e di diritto legittimanti l’adozione di qualsiasi regime derogatorio all’imposizione ordinaria . D’altronde, al giudicante sarebbe bastato considerare l’art. 51 comma 2 del DPR numero 633/1972 per desumere dalle riscontrate irregolarità nella tenuta della contabilità una presunzione contraria al contribuente idonea a determinare l’inversione su quest’ultimo dell’onere della prova. Il motivo appare inammissibilmente formulato, prima ancora che infondato. Esso appare più volte carente in termini di assolvimento dell’onere di autosufficienza del ricorso per cassazione, sia per ciò che concerne l’assunto in ordine all’irregolare tenuta della contabilità d’impresa in ordine al quale nulla di specifico la parte ricorrente ha allegato, se non un asserito disordine non meglio illustrato , sia per ciò che concerne la natura delle prestazioni fatturate di cui pretende l’esclusione dal regime di esonero non solo in assoluto, ma anche in rispetto al complesso delle attività esercitate dalla società, nel paragone con il quale soltanto si sarebbe potuto apprezzare - alla luce del numero dei clienti, dell’impegno personale profuso dai soci, del combinato rapporto tra prestazioni sanitarie e ausiliarie implicate da ciascun genere di programma terapeutico - se vi fossero elementi presuntivi per supporre ciò che l’Ufficio ha supposto, e cioè che l’organizzazione aziendale mascherasse una forma di esercizio abusivo della professione sanitaria . Nella totale carenza di indagini a proposito degli elementi di fatto donde desumere la verisimiglianza di una siffatta ipotesi accertativa, non restava al giudice del merito se non fare applicazione rigorosa del criterio dell’onus probandi che addossa a chi ha interesse a prospettare l’esistenza di sistema abusivo volto a frodare la legge di quantomeno allegare gli elementi presuntivi se non gravi, precisi e concordanti, almeno semplici donde detto sistema possa apprezzarsi, onde consentire a chi ne è imputato di difendersi da specifiche contestazioni. Ed infatti, in analoga fattispecie codesta Suprema Corte Cass. Sez. 5, Sentenza numero 25374 del 17/10/2008 ha avuto modo di insegnare che In tema di IVA, le pratiche abusive consistenti nell’impiego di una forma giuridica o di un regolamento contrattuale al fine di realizzare quale scopo principale seppur non esclusivo un risparmio di imposta, anche se allo stesso si accompagnino secondarie finalità di contenuto economico, consistono in abusi di diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento comunitario e pertanto assumono rilievo normativo primario in tale ordinamento, indipendentemente dalla presenza di una clausola generale antielusiva nell'ordinamento fiscale italiano. L'individuazione dell'impiego abusivo di una forma giuridica incombe sull'amministrazione finanziaria, la quale non potrà limitarsi ad una mera e generica affermazione, ma dovrà individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere l'operazione priva di reale contenuto economie diverso dal risparmio di imposta. Fattispecie nella quale la S. ha ritenuto costituisse abuso del diritto il frazionamento di un contratto di leasing in una pluralità di contratti distinti, conclusi con soggetti diversi ed aventi ad oggetto rispettivamente la concessione in uso del bene ed i servizi di finanziamento e di assicurazione contro la perdita del bene o il deterioramento del bene, al fine principale di considerare imponibile soltanto il corrispettivo per l'uso del bene, con esenzione degli altri servizi, ai sensi dell'art. 10 numero 1, 2 e 9 del d.P.R. numero 633 del 1972 . Non guasta invece evidenziare che il diverso indirizzo giurisprudenziale valorizzato dalla parte ricorrente a sostegno della propria tesi Cass. Sez. 5, Sentenza numero 28946 del 10/12/2008, la cui massima tradisce alquanto la effettiva ratio decidendi ripete le sue ragioni d’essere da tutt’altra situazione di fatto, caratterizzata dalla necessità di distinguere versamenti effettuati sui conti correnti bancari di un lavoratore autonomo, che non trovavano corrispondenza nella contabilità, in base alla presunzione prevista dal D.P.R. numero 633 del 1972, art. 51, comma 2, numero 2, in forza della quale i movimenti bancari si intendono relativi ad operazioni imponibili e, quindi, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal D.P.R. numero 633 del 1972, artt. 54 e 55 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili . Di siffatta presunzione anche la parte qui ricorrente ha tentato - argutamente - di giovarsi, onde rimediare al difetto nell’assolvimento dell’onere che le incombe, senza che ve ne fossero i presupposti processuali e fattuali. Il rigetto del motivo dianzi esaminato rende frustraneo l’esame di quello che precede, per le ragioni di già evidenziate. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità. Ritenuto inoltre - che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti - che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa con la quale anche richiamando significativi stralci del PVC ha inteso emendare - ma ormai tardivamente - il difetto della compiuta allegazione dei presupposti fattuali indispensabili, per come identificati nella relazione, onde consentire alla Corte di intendere se sussistessero i presupposti di quell’inversione probatoria in ragione dei quali si assume che il giudice del merito abbia violato le norme invocate, presupposti nel difetto dei quali resta comunque assodato che nella fattispecie in esame non possono ritenersi in astratto carenti i requisiti professionali previsti dalla legge , siccome la società contribuente del tutto legittimamente si avvaleva, nello svolgimento della sua attività, di un direttore sanitario abilitato all’esercizio della professione medica specialistica - che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato - che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.