Il fisco può dimostrare il carattere fittizio della localizzazione di una società all’estero

Il fisco, sulla base di una verifica generale della Guardia di Finanza, può acquisire elementi di prova che dimostrano il carattere fittizio della localizzazione di una società all’estero. In particolare, può risultare che una società, pur con sede legale all’estero, debba essere considerata fiscalmente residente in Italia ed assoggettata alla legge italiana.

Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione, sez. Tributaria, con la sentenza n. 8196 del 22 aprile 2015. La vicenda. Il giudice del gravame, in riforma della pronuncia di primo grado, con riferimento all’imposizione IVA, ha ritenuto fittizia la localizzazione di una società negli Usa, avendo l’ufficio dimostrato l’effettiva residenza in Italia della società. Esso ha escluso la configurabilità di una stabile organizzazione della società negli Usa, non sussistendo i presupposti per la detrazione delle imposte asseritamente pagate dalla società medesima in quel paese. Esso ha affermato che tutte le cessioni di beni effettuate dalla società dovevano ritenersi assoggettate ad IVA. Gli Ermellini, con la citata pronuncia, nel respingere per infondatezza o inammissibilità i motivi del ricorso per cassazione dal n. 1 al n. 13 della società, hanno precisato che a ai sensi dell’art. 15, comma 4, TUIR n. 917/1986 la detrazione delle imposte pagate negli Usa doveva essere ritualmente richiesta nelle dichiarazioni relative al periodo in cui le imposte sarebbero state pagate b la residenza fiscale della società era in Italia poiché il suo unico manager, unico firmatario di atti rilevanti es. verbali di riunione del CdA, verbale della riunione annuale degli azionisti , non solo risiedeva in Italia ma operava in Italia c in Italia si trovava la contabilità dell’Ente d in Italia partivano le disposizioni per la registrazione delle diverse operazioni gestionali nonché le disposizioni di bonifici e pagamenti e il principale se non unico interlocutore dei fornitori e di tutti coloro che avevano intrattenuto rapporti commerciali con la società era il citato unico manager f sulla base di una pluralità di elementi gravi precisi e concordanti, tutti specificatamente indicati, il giudice del gravame ha accertato che le scelte gestionali essenziali erano in Italia g le dichiarazioni rese dai terzi ai militari della Guardia di Finanza costituiscono elementi indiziari che concorrono a formare il convincimento del giudice nel complesso delle altre risultanze probatorie h il giudice del gravame, con argomentazioni logiche e coerenti, ha accertato la sede della società in Italia i la deduzione delle imposte va effettuata nelle forme e secondo le modalità previste dall’art. 15 TUIR n. 917/1986 l la decadenza della detrazione delle imposte pagate sui redditi prodotti all’estero è espressamente collegata al fatto formale della omessa richiesta della detrazione nella dichiarazione dei redditi m l’art. 15 TUIR non è in alcun modo in contrasto con la Convenzione Italia-USA in quanto diversi sono gli ambiti applicativi n non risulta alcuna stabile struttura negli Usa cui sia stata affidata anche di fatto la cura di affari della società management , atteso che negli Usa erano unicamente situati depositi per esposizione e consegna merci. Effettiva sede dell’impresa. Gli Ermellini hanno accolto per fondatezza il quattordicesimo e il quindicesimo motivo del ricorso in Cassazione della società poiché il giudice del gravame ha erroneamente fondato l’imponibilità delle operazioni ai fini iva sulla circostanza dell’effettiva sede in Italia dell’impresa, omettendo di valutare la sussistenza del presupposto fondamentale dell’imponibilità ai fini iva delle operazioni, vale a dire la presenza dei beni in Italia e la circostanza che detti beni, ai sensi dell’art. 8 d.P.R. n. 633/1972, non erano stati oggetto di cessione a paesi extra europei. L’accoglimento di detti motivi ha comportato la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio ad altra sezione della medesima CTR per un nuovo esame della controversia. Esterovestizione. Con esterovestizione si intende la fittizia localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società che, al contrario, ha di fatto la sua attività e persegue il suo oggetto sociale in Italia. Il termine esterovestizione” nella prassi identifica un fenomeno rappresentato dalla fittizia localizzazione della residenza fiscale in un Paese diverso dall’Italia per beneficiare di un regime fiscale più favorevole attraverso la formale allocazione in tale altro Paese della residenza fiscale di una società, nonostante la società fittiziamente residente all’estero conduca nel territorio italiano la propria attività principale, ovvero abbia in Italia la sede della propria amministrazione. In tal modo si è in presenza di una sorta di dissociazione” tra la residenza reale del soggetto giuridico e quella formale/fittizia. Lo scopo principale della localizzazione, tipicamente in un paese con un regime fiscale più vantaggioso di quello nazionale, è quella di fare in modo che gli utili siano sottoposti ad una minore tassazione. Le società estero–vestite attraverso l’operatività all’estero vogliono evitare di pagare i tributi in Italia, luogo di loro effettiva operatività. L'esterovestizione societaria, intesa in senso ampio quale localizzazione di una società in uno Stato a fiscalità più favorevole allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime fiscale nazionale, rientra tra le fattispecie che possono configurare abuso del diritto. L'esterovestizione, cioè la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all'estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale, costituisce un tipico fenomeno di abuso del diritto. Per la individuazione della residenza fiscale della società la legislazione nazionale fa riferimento, come criterio decisivo nel caso di accertata doppia residenza, alla nozione di sede dell'amministrazione, che, in quanto contrapposta alla sede legale, deve ritenersi coincidente con quella di sede effettiva di matrice civilistica , intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente, e dove si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente. L'individuazione del luogo della sede effettiva richiede un'indagine esaurientemente motivata in relazione ai vari elementi indizianti, il cui onere della prova spetta agli Uffici. Ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, nell'ipotesi di esterovestizione, ossia di fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all'estero, non è necessario accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma, invece, occorre verificare se il trasferimento in realtà vi è stato, o no, cioè se l'operazione sia meramente artificiosa, consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica Cass. n. 2869/2013 L'art. 73 TUIR indica i criteri per stabilire la residenza fiscale delle persone giuridiche al pari di quanto stabilito per le persone fisiche. La residenza fiscale di una società è da ritenersi in Italia se sussiste almeno una di queste condizioni - la sede legale della società indicata nell'atto costitutivo o nello statuto è in Italia - la sede amministrativa, ovvero da dove si realizza l'effettiva direzione della società, è in Italia - l'oggetto principale è localizzato in Italia. A partire dal 1° gennaio del 2008 è in vigore il comma 5- bis dell'art. 73 il quale prevede che, salvo prova contraria, è residente nello Stato l'Ente controllato da soggetti residenti, o amministrati da un Consiglio di Amministrazione o equivalente i cui membri in prevalenza siano residenti nel territorio dello Stato.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 28 gennaio – 22 aprile 2015, numero 8196 Presidente Cappabianca – Relatore Federico Svolgimento del processo Nel corso di una verifica generale presso la Italiana Alimenti spa e la Oleifici Italiana spa, aventi entrambe sede amministrativa in Monopoli alla via Barone numero 200, il Nucleo Regionale Polizia Tributaria della Puglia, rinveniva in uno stanzino copiosa documentazione riconducibile alla Agriamerica Corporation, società di diritto statunitense, avente sede legale in New York. A seguito di autorizzazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari i verbalizzanti procedevano all'esame della documentazione acquisita ed all'espletamento di ulteriori indagini, miranti all'acquisizione di elementi di prova che dimostrassero il carattere fittizio della localizzazione della società negali Usa. A conclusione di dette indagini veniva redatto un pvc dal quale risultava che la Agriamerica Corporation, pur se con sede legale all'estero, doveva essere considerata fiscalmente residente in Italia ed assoggettata alla legge italiana. In forza di detto pvc venivano emessi quattro avvisi di accertamento nei confronti della società aventi ad oggetto l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini Irpeg, Ilor, Ires, Irap per gli anni dal 1997 al 2001. La CTP di Bari, riuniti i ricorsi proposti dalla contribuente, li accoglieva ed annullava gli avvisi di accertamento. La CTR della Puglia in riforma della sentenza impugnata, respingeva invece i ricorsi della contribuente. La CTR, in particolare, disattesa l'eccezione preliminare di formazione del giudicato con riferimento all'imposizione Iva, riteneva fittizia la localizzazione della società negli Usa e dimostrata l'effettiva residenza in Italia della società. Escludeva altresì la configurabilità di una stabile organizzazione della società negli USA ed affermava che non sussistevano i presupposti per la detrazione delle imposte asseritamente pagate dalla società medesima in quel paese. Affermava infine che tutte le cessioni di beni effettuate dalla società dovevano ritenersi assoggettate ad Iva. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sedici motivi, la contribuente. L'Agenzia resiste con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la contribuente denunzia violazione dell'articolo 52 comma 2 d.lgs. 546/92 in relazione agli artt. 360 nnumero 3 e 4 cpc, deducendo la mancanza del provvedimento di autorizzazione alla interposizione dell'appello dell'Agenzia avverso la sentenza della CTP, ex articolo 52 comma 2 d.lgs. 546/1992 e la conseguente nullità della sentenza impugnata. Il motivo non ha pregio. Ed invero secondo il consolidato orientamento di questa Corte, cui intende senz'altro darsi continuità, nel processo tributario, la disposizione dell'articolo 52, comma secondo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, numero 546, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell'appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più suscettibile di applicazione una volta divenuta operativa - in forza del D.M. dell'economia 28 dicembre 2000 - la disciplina recata dall'articolo 57 del D.Lgs. 30 luglio 1999, numero 300, che ha istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell'organizzazione interna di ciascuna agenzia. A seguito della soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento l'articolo 52, comma secondo, del D.Lgs. numero 546 del 1992, infatti, da tale norma non possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle agenzie di appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali Cass. Ss.Uu. numero 604/2005 e Cass. 10736/2014 . Con il secondo motivo si denunzia violazione dell'articolo 112 cpc, in relazione all'articolo 360 numero 4 cpc, lamentando che la CTR abbia omesso di pronunziarsi sulla domanda di annullamento, ritualmente formulata nel ricorso introduttivo e rimasta assorbita nella pronuncia di primo grado, per non avere l'Ufficio riconosciuto in deduzione le imposte assolte dalla contribuente negli Usa e violando, conseguentemente il combinato disposto degli artt. 1 e 23 della Convenzione Italia - Usa contro le doppie imposizioni. Il motivo non ha pregio. La CTR ha infatti specificamente preso in esame e respinto l'eccezione logicamente subordinata della contribuente di tener conto delle imposte pagate negli Usa. Premesso che secondo quanto rilevato dalla CTR non risultava determinato che cosa la contribuente avesse pagato a tale titolo nel triennio 1998/2000 il giudice di secondo grado ha espressamente affermato che tale domanda non poteva essere accolta non sussistendo le condizioni di legge, in quanto, ai sensi dell'articolo 15 comma 4 TUIR, la detrazione doveva essere ritualmente richiesta nelle dichiarazioni relative al periodo in cui le imposte sarebbero state pagate. Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 87 TUIR , in relazione all'articolo 360 numero 3 cpc, formulando il seguente quesito di diritto Dica codesta Ecc.ma Corte se per stabilire ai sensi e per gli effetti dell'articolo 87 comma 3 TUIR se una società di capitali abbia in Italia la sede dell'amministrazione rilevi il luogo in cui è svolta la gestione amministrativa della società e non piuttosto quello in cui sono adottate ed eseguite le decisioni di carattere manageriale-commerciale, quali quelle consistenti nell'intrattenere rapporti e nel concludere i contratti commerciali con i clienti ed i fornitori . Il motivo è infondato. La CTR ha infatti affermato che la residenza fiscale della contribuente era in Italia sulla base del fatto che la società era effettivamente gestita in Italia dal suo vero ed unico manager, signor M.P. , il quale, secondo quanto accertato dal giudice di appello, non solo risiedeva ma anche operava in Italia, avendo i propri uffici in Monopoli, presso la sede amministrativa della Casa Olearia spa. La CTR ha al riguardo evidenziato che il M. era non solo l'unico firmatario di atti rilevanti quali i verbali di riunione del CdA ed il verbale della riunione annuale degli azionisti, ma anche di fatto l'unico a prendere le decisioni essenziali per la gestione dell'azienda, come da lui stesso dichiarato in sede di accertamento e riportato nel pvc. Ad ulteriore conferma la CTR rilevava che in Italia, ed in particolare a Monopoli, dove risiedeva ed operava il M. , si trovava la contabilità dell'ente. Da li partivano inoltre le disposizioni per la registrazione delle diverse operazioni gestionali, nonché le disposizioni di bonifici e pagamenti. Il Cda della società era inoltre composto dalla medesima compagine della Casa Olearia Italiana spa. Il principale se non unico interlocutore dei fornitori e di tutti coloro che avevano intrattenuto rapporti commerciali con la società era il M. e tutte le scelte gestionali ed operative venivano trattate presso gli uffici di Monopoli della Casa Olearia spa, compresi i diversi aspetti relativi alle attività di consulenza, ai rapporti assicurativi, a quelli di lavoro e collaborazione, di trasporto e spedizione, cosi come quelli contabili e di fatturazione. Sulla base di una pluralità di elementi, gravi, precisi e concordanti, tutti specificamente indicati, la CTR ha dunque concluso, con valutazione di merito, che in quanto logicamente e congruamente motivata non è sindacabile - in questa sede, che, ai sensi dell'articolo 87 TUIR la sede dell'amministrazione della società, e cioè il luogo in cui venivano svolte, non già attività accessorie di carattere amministrativo, ma le scelte gestionali essenziali, era in Monopoli. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell'articolo 7 comma 4 d.lgs. 546/92, dell'articolo 2697 c.c., nonché degli artt. 24 comma 2 e 111 comma 2 Cost. in relazione all'articolo 360 numero 1 cpc, formulando il seguente quesito di diritto Dica codesta Ecc.ma Corte se, ai sensi degli artt. 7 comma 4 d.lgs. 546/92, artt. 24 comma 2 e 111 comma 2 Cost. le dichiarazioni di terzi raccolte nel corso di controlli effettuati dalla Gdf abbiano valore di prova nel processo tributario e se, di conseguenza, si possa ritenere assolto da parte dell'Amministrazione finanziaria il suo onere probatorio solo attraverso l'impiego di tali dichiarazioni. Il motivo non ha pregio. La CTR, come si è già evidenziato, ha fondato la propria statuizione in ordine alla effettiva sede dell'amministrazione della contribuente su una pluralità di elementi sia di carattere documentale, quali, a titolo esaemplificativo, l'esame della contabilità, dei documenti afferenti ai rapporti con fornitori e terzi, la documentazione bancaria, i verbali del CdA, rinvenuti in occasione dell'accesso effettuato dalla Guardia di Finanza e trasfusi nel pvc, sia delle dichiarazioni rese da terzi ai militari della Guardia di Finanza. Come questa Corte ha già affermato tali dichiarazioni sono senz'altro ammissibili nel processo tributario e vi trovano ingresso come elementi indiziari che concorrono a formare il convincimento del giudice nel complesso delle altre risultanze probatorie Cass. 23397/2011 . Ed invero nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall'articolo 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, numero 546 si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice Cass.8369/2013 . Con il quinto motivo si denunzia l'omessa motivazione su fatti controversi e decisivi, in relazione all'articolo 360 numero 5 cpc, sotto il profilo dell'omesso esame di prove documentali idonee a dimostrare la residenza fiscale statunitense di Agriamerica e l'immissione in consumo dei beni da essa ceduti. Pure tale motivo non è fondato. La CTR ha infatti espressamente affermato l'irrilevanza ed inidoneità della documentazione prodotta dalla contribuente a superare gli elementi di prova, ritenuti per la loro gravità, univocità e specifica rilevanza adeguati a provare che si trovava in Italia la sede effettiva dell'amministrazione della contribuente. La Corte, con argomentazioni logiche e coerenti, sulla base di attento esame e valutazione dei dati emergenti dalle risultanze istruttorie, di cui ha dato dettagliatamente conto in motivazione, ha evidenziato come la sede dell'amministrazione della società fosse in Monopoli. Non è dunque ravvisabile il vizio di insufficiente motivazione che sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento. L'omessa motivazione, al contrario, non può consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui un valore legale è assegnato alla prova ex plurimis Cass. numero 6064/08 . Con il sesto motivo di ricorso la contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4, 23 par. 3 della Convenzione Italia-Usa chiedendo a questa Corte di dire se contrariamente a quanto sostenuto dalla CTR, in presenza di un soggetto avente la doppia residenza in Italia e negli Usa il nostro paese sia obbligato, in base agli artt. 1, 4 e 23 della Convenzione Italia-Usa a riconoscere d'ufficio la deduzione sul reddito assolta negli Usa dall'imposta sul reddito italiana . Il motivo non ha pregio. Risulta infatti destituito di fondamento lo stesso presupposto di fatto posto a fondamento del motivo dedotto, vale a dire la doppia residenza della contribuente. La CTR ha, al contrario , affermato, con valutazione di merito che, come si è visto, deve ritenersi congruamente motivata e dunque incensurabile in questa sede, che l'effettiva ed unica residenza fiscale della contribuente era in Italia, stante il carattere fittizio e meramente formale della sede negli Usa. Da qui ai sensi dell'articolo 87 comma 3 TUIR poi divenuto, con la rinumerazione operata dal D.lgs. 344/2003, articolo 73 comma 3 la qualità della contribuente di soggetto passivo dell'imposta nel nostro paese. Non appare dunque ravvisatale la doppia residenza della contribuente invocata nel motivo. In ogni caso, sulla base dello stesso tenore letterale della Convenzione deve ritenersi che la deduzione dalle imposte non possa che effettuarsi nelle forme e secondo le modalità previste dall'articolo 15 TUIR. Questa Corte ha già affermato che nell'ipotesi di cui all'articolo 15 comma 3 TUIR nella formulazione anteriore alla nuova numerazione riguardante la detrazione delle imposte pagate su redditi prodotti all'estero, la decadenza ivi prevista è espressamente collegata al fatto formale della omessa richiesta della detrazione nella dichiarazione dei redditi Cass. 18371/05 . Con il settimo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 10 comma 1 Cost. e 75 Dpr 600/73 , nonché dell'articolo 128 TUIR, in relazione all'articolo 360 numero 3 cpc, chiedendo alla Corte di dire se , contrariamente quanto sostenuto dalla CTR, in applicazione degli artt. 10 comma 1 Cost., 75 e 128 TUIR , nel contrasto tra la normativa italiana articolo 15 TUIR nel testo vigente ratione temporis e la normativa dettata dalla Convenzione Italia-Usa artt. 1,4, e 23 il giudice italiano sia tenuto a risolvere il contrasto applicando la seconda anziché la prima. La reiezione del precedente motivo assorbe il presente. Si è infatti già evidenziato che la sentenza impugnata ha affermato che la sede effettiva della contribuente era in Italia da ciò l'assoggettamento della contribuente all'imposizione nel nostro paese. In ogni caso deve ritenersi che l'articolo 15 TUIR non sia in alcun modo in contrasto con la Convenzione Italia-Usa, in quanto diversi appaiono i diversi ambiti applicativi l'articolo 15 cit. infatti disciplina le modalità, espressamente stabilite a pena di decadenza, con cui il contribuente può far valere nel nostro paese, ove ne sussistano i relativi presupposti, sulla base della menzionata Convenzione, la detrazione dell'imposta cfr. al riguardo Cass. 6108/2011 . Con l'ottavo motivo si denunzia omessa motivazione in relazione all'articolo 360 numero 5 cpc sotto il profilo dell'omessa indicazione delle ragioni per le quali la CTR ha ritenuto prevalente il diritto interno sulla Convenzione negando conseguentemente la spettanza del credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero. Con il nono motivo si denunzia l'omessa motivazione in relazione all'articolo 360 numero 5 cpc, avuto riguardo alla mancata indicazione delle ragioni per le quali la CTR ha dubitato dell'avvenuto pagamento negli Usa delle imposte sul reddito da parte della contribuente. Pure detti motivi che in virtù dell'intima connessione vanno unitariamente esaminati appaiono assorbiti dalla reiezione del sesto motivo e dalla ritenuta carenza della doppia residenza in Italia ed Usa della contribuente. Con il decimo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 7 della Convenzione in relazione all'articolo 360 numero 1 cpc, formulandosi il seguente quesito di diritto Dica codesta Ecc.ma Corte se, contrariamente a quanto sostenuto dalla CTR, la presenza negli Usa di un ufficio amministrativo e di un deposito merci da parte di una società di cui la Commissione assume la residenza fiscale italiana, congiuntamente all'effettuazione di vendite in favore di clienti statunitensi, alla conclusione di contratti commerciali con clienti e fornitori residenti negli Usa, all'avvenuta registrazione e costituzione della società negli Usa ed all'ulteriore espresso riconoscimento da parte del fisco americano dell'esistenza nel territorio americano della società, costituisca quanto meno una stabile organizzazione di tipo materiale ai sensi dell'articolo 5 della Convenzione Italia - Usa . Con l' undicesimo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 , parr. 4 e 5 e dell'articolo 7 della Convenzione in relazione all'articolo 360 numero 3 formulando il seguente quesito di diritto Dica codesta Ecc.ma Corte se, ai sensi dell'articolo 5 par. 4 della Convenzione Italia-Usa costituisca una stabile organizzazione personale di un'impresa residente in uno Stato contraente una persona fisica che eserciti abitualmente nell'altro Stato contraente poteri che le permettano di concludere contratti per conto di tale impresa . Con il dodicesimo motivo si denunzia contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'articolo 360 numero 5 cpc, sotto il profilo dell'asserita insussistenza negli Usa di una stabile organizzazione di tipo personale da parte di Agriamerica. Viene al riguardo formulato il seguente quesito di diritto Dica codesta S.C. se sia adeguatamente motivata la sentenza impugnata in cui il giudice a quo affermi, per un verso , che una società costituita all'estero è residente in Italia per essere prese in Italia le decisioni commerciali riguardanti la vita della società e, per l'altro, che la persona fisica -operante abitualmente all'estero per conto di tale società, avente il potere di concludere contratti per conto di quest'ultima ed inserita organicamente nella struttura della società stessa per ricoprire la carica di vice-presidente - nell'agire per conto di tale società costituisca un agente indipendente ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5 della Convenzione Italia-Usa. I motivi che , in quanto strettamente connessi, vanno unitariamente esaminati sono infondati. La CTR ha infatti escluso sulla base della attenta valutazione delle risultanze istruttorie l'esistenza di una stabile organizzazione negli Usa della contribuente, ritenuta fiscalmente residente in Italia. Premesso che secondo il consolidato orientamento di questa Corte la relativa nozione dev'essere tratta dall'articolo 5 del modello di convenzione OCSE contro la doppia imposizione e dal suo commentario, integrata con i requisiti di centro di attività stabile di cui all'articolo 2 della sesta direttiva Iva 77/388/CEE , definito dalla giurisprudenza comunitaria sentenza Corte di Giustizia 17.7.1997, C - 190/95 come struttura dotata di risorse materiali ed umane Cass. 17206/2006 , la CTR ha evidenziato come non risultasse alcuna stabile struttura negli Usa cui fosse affidata, anche di fatto, la cura di affari della società management . Ha in particolare escluso che lo studio Funaro, pur costituendo la sede ufficiale fosse anche uno stabile centro operativo della società, costituendo piuttosto un mero recapito all'interno di un ufficio di consulenza e rappresentanza fiscale, esercente dunque attività di carattere meramente preparatorio ed ausiliario. Ha al riguardo ribadito come tutte le scelte manageriali e le funzioni direttive e gestionali della società fossero concentrate in Monopoli , mentre negli Usa erano unicamente situati depositi per esposizione e consegna merci. La CTR ha inoltre escluso che l'attività svolta dal signor D.R.A. fosse riconducibile alla nozione di stabile organizzazione dell'impresa, risultando che, al di là della qualifica formale, il D.R. aveva svolto, per conto della contribuente, attività di intermediazione commerciale in modo indipendente, come confermato dalle fatture emesse nei confronti dell'impresa in relazione a detta attività. Non risulta dunque l'elemento qualificante della stabile organizzazione, costituito dalla prova che il D.R. esercitasse abitualmente, ed al di fuori di un rapporto di agenzia, il potere di concludere negli Usa contratti in nome e per conto dell'impresa. Con il tredicesimo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 comma 1 l. 241/90, articolo 7 l. 212/00, 56 ult. c. dpr 633/72 , nonché dell'articolo 111 comma 2 Cost., in relazione all'articolo 360 numero 3 cpc, formulando il seguente quesito Dica codesta Ecc.ma Corte se, in base agli artt. 3 comma 1 l. 241/90, 7 comma 1 l. 212/00, 56 ult. c. Dpr 633/72, nonché in base all'articolo 111 comma 2 Cost., sia vietato al giudice tributario integrare le ragioni di fatto e/o in diritto della pretesa recata dall'avviso di accertamento emesso dall'A.F. e sottoposto al suo esame a seguito dell'impugnazione promossa dal privato. Il motivo è inammissibile per genericità del quesito di diritto. Questo giudice di legittimità ha infatti più volte affermato che il quesito di diritto dev'essere formulato, ai sensi dell'art, 366 bis cpc, in termini tali da costituire una sintesi logico - giuridica unitaria della questione, onde consentire alla Corte di cassazione l'enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata Cass. Ss.Uu. numero 21672/2013 , con la conseguenza che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia Cass. numero 7197/09 e si risolva nella generica richiesta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma Cass. numero 4044/09 . Il quesito deve al contrario investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto Cass. Ss Uu 28356/08 . Va dunque ribadita l'inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva, come nel caso di specie, in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo senza un concreto riferimento alla specifica questione sottoposta all'esame della Corte Cass. Ss. Uu. numero 21672/2013 . Con il quattordicesimo motivo, si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7 comma 2 Dpr 633/72, lamentando che nel ritenere effettuate nel territorio italiano cessioni di beni mobili sia stata data rilevanza al luogo di residenza del cedente o al luogo in cui si era perfezionato il contratto piuttosto che al luogo in cui i beni si trovavano all'atto della cessione. Con il quindicesimo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 ult. comma e 8 comma 1 Dpr 633/72 in relazione all'articolo 360 numero 3 cpc formulando il seguente quesito di diritto Dica codesta Ecc.ma Corte se, in forza del combinato disposto degli artt. 7 ult. c. e 8 comma 1 Dpr 633/72, costituiscano operazioni imponibili Iva le cessioni di beni mobili esportati dall'Italia verso paesi extracomunitari. I motivi che stante la loro intima connessione vanno unitariamente esaminati sono fondati. La CTR ha infatti fatto discendere dall'accertata residenza fiscale in Italia della contribuente e dal fatto che verosimilmente in Monopoli si erano perfezionati i contratti di cessione assoggettamento ad Iva di tutte le cessioni effettuate nell'esercizio d'impresa in Italia. Tale assunto appare in contrasto con gli artt. 7 ed 8 Dpr 633/72 in forza dei quali affinché si realizzi un'operazione rilevante ai fini Iva occorre che la cessione sia effettuata nel territorio dello Stato, ed il relativo criterio di collegamento è costituito dalla presenza del bene nel territorio suddetto. Quanto invece alle operazioni relativi agli scambi con l'estero, ai sensi dell'articolo 8 Dpr 633/72, la disciplina è ispirata al principio di detassare i beni in uscita ed i servizi a questi connessi e di applicare l'Iva italiana in entrata. A tali principi non risulta essersi ispirata la sentenza della CTR che ha erroneamente fondato l'imponibilità delle operazioni ai fini Iva sulla circostanza dell'effettiva sede in Italia dell'impresa, omettendo di valutare la sussistenza del presupposto fondamentale dell'imponibilità ai fini Iva delle operazioni, vale a dire la presenza dei beni in Italia e la circostanza che detti beni, ai sensi dell'articolo 8 Dpr 633/72, non fossero oggetto di cessione a paesi extra-Europei. La sentenza della CTR va dunque cassata in parte qua. L'accoglimento di tali motivi e conseguente cassazione della sentenza impugnata assorbe l'ultimo motivo con cui si censura la statuizione di condanna della contribuente alla refusione delle spese di lite. In conclusione, accolti il quattordicesimo e quindicesimo motivo di ricorso, assorbito l'ultimo e respinti gli altri, la sentenza va cassata in parte qua e rinviata per un nuovo esame, limitatamente ai motivi accolti innanzi ad altra sezione della medesima CTR, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il quattordicesimo e quindicesimo motivo del ricorso della contribuente, assorbito l'ultimo e respinti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia per un nuovo esame innanzi ad altra sezione della medesima CTR , che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.