Se le condizioni per dedurre i costi per acquisti in “paradisi fiscali” non sono rispettate …

Ove i requisiti per la deducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intrattenute con Paesi a fiscalità privilegiata non siano integrati, trova applicazione il regime sanzionatorio previsto dall’art. 1, l. n. 296/2006, espressamente applicabile anche alle operazioni pregresse, e non quello meno grave di cui all’art. 8, comma 1, d.lgs. n. 417/97.

E’ quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8210/15 depositata il 22 aprile. Il caso. La controversia da cui origina la pronuncia della Cassazione in commento, ha ad oggetto l’impugnazione di alcuni avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva determinato un maggior reddito imponibile in capo ad una S.p.a., in quanto riteneva indeducibili i costi relativi al’acquisto di materie prime in Paesi a fiscalità privilegiata, ricomprendendoli dunque a tassazione. La CTR Lombardia, in riforma della sentenza di primo grado, annullava gli avvisi impugnati, applicando la sanzione prevista dall’art. 8, comma 1, d.lgs. n. 417/97. Riteneva il giudice dell’appello che l’Ufficio aveva omesso di notificare alla contribuente l’apposito avviso con cui doveva essere concesso un termine per dimostrare che le imprese estere svolgevano la propria attività – industriale o commerciale effettiva - principalmente nel mercato del Paese a fiscalità privilegiata ove avevano la sede. Affermava inoltre che la mancata separata indicazione degli stessi costituiva una mera irregolarità formale, suscettibile di correzione da parte del contribuente, con applicazione della sola sanzione prevista dall’art. 8 cit L’Agenzia delle Entrate propone ricorso innanzi alla Cassazione. La possibilità di dimostrare l’effettività delle operazioni. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la ritenuta violazione della norma che impone all’Ufficio l’invio dall’avviso a fornire la prova dell’effettività delle operazione, prima di procedere all’emissione degli avvisi di accertamento. La disciplina vigente all’epoca, in particolare l’art. 110 TUIR, prevedeva due condizioni per la deduzione dei costi relativi ad operazioni commerciali intrattenute con paesi a fiscalità privilegiata e cioè l’effettività e concretezza delle stesse e l’indicazione separata dei costi. Nel caso in esame, l’Ufficio contestava solo questa seconda condizione, la cui mancanza era sufficiente a rendere indeducibili i costi, con la conseguente superfluità dell’avviso di cui la CTR aveva rilevato l’omissione, risultando pertanto fondato il motivo di ricorso. Le dichiarazioni integrative. Con ulteriore doglianza la ricorrente afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la dichiarazione integrativa presentata dalla contribuente in data successiva a quella dei verbali di contestazione, non poteva escludere l’applicabilità della diversa e più grave sanzione di cui al comma 3 – bis del citato art. 8, come previsto dall’art. 1, comma 303, l. finanziaria 2007, espressamente applicabile anche alle operazioni pregresse. Come il primo, anche il secondo motivo di ricorso risulta fondato. La Cassazione ritiene infatti di dover dare continuità all’orientamento secondo il quale, dopo la contestazione della violazione, risulta preclusa ogni possibilità di regolarizzazione. In caso contrario l’istituto della correzione cesserebbe di essere un rimedio per ovviare ad eventuali errori del contribuente, per trasformarsi in un mero strumento elusivo delle sanzioni legislativamente previste. Ritenuta quindi l’invalidità delle dichiarazioni integrative fornite dalla contribuente e posta l’applicabilità delle ius superveniens di cui alla l. n. 296/2006, art. 1, comma 303, in tema di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni poste in essere con Paesi a fiscalità privilegiata, anche se non separatamente indicati e anche alle operazioni pregresse, la Corte rileva l’errore in cui è incorsa la CTR con l’applicazione della sanzione meno grave di cui al comma 1 dell’art. 8 cit., mentre doveva trovare applicazione il più incisivo regime sanzionatorio previsto dalla normativa sopravvenuta. Per questi motivi, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia ad una diversa sezione della CTR Lombardia.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 29 gennaio – 22 aprile 2015, numero 8210 Presidente Cappabianca – Relatore Crucitti Svolgimento del processo Nella controversia avente ad oggetto l'impugnazione di avvisi di accertamento con i quali l'Agenzia delle Entrate aveva determinato un maggior reddito imponibile della Cofermetal s.p.a., per gli anni dal 2002 al 2004, riprendendo a tassazione i costi relativi a materie prime acquistate in Paesi a fiscalità privilegiata Libano, Svizzera e Corea del Sud e ritenuti indeducibili perché non indicati separatamente in dichiarazione, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe ed in riforma delle sentenze di primo grado che avevano rigettato i ricorsi proposti dalla contribuente, ha annullato gli avvisi impugnati, applicando la sanzione prevista dall’articolo 8, comma 1 del d.lgs. numero 417/97. In particolare, il Giudice di appello ha ritenuto che le operazioni commerciali fossero state effettivamente eseguite, ma, ancor prima, ha rilevato che l'Ufficio, violando l'articolo 76, comma 7 ter del T.U.I.R. vigente ratione temporis aveva omesso, antecedentemente all'emissione degli atti impugnati, di notificare alla contribuente l'apposito avviso con il quale viene concesso un termine per fornire la prova che le imprese estere svolgano principalmente un'attività industriale o commerciale effettiva nel mercato del Paese nel quale hanno sede. La Commissione Tributaria Regionale lombarda, dato atto che l'indeducibilità dei costi era stata soppressa dall'articolo 1, comma 301 della legge numero 296/2006, ha, poi, ritenuto che la mancata separata indicazione degli stessi in dichiarazione costituisse una mera irregolarità formale con possibilità, quindi, per il contribuente di correzione attraverso la presentazione di dichiarazione integrativa ai sensi dell'articolo 2, comma 8, del d.p.r. 322/98 ed applicazione della sola sanzione prevista dall’articolo 8, comma 1 del d.lgs. numero 471/97. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, l'Agenzia delle Entrate. La Società ha resistito con controricorso e memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'articolo 110, comma 11, del d.p.r. numero 917/1986, per avere la C.T.R. ritenuta violata tale norma in quanto l'Ufficio non aveva, preventivamente all'emissione degli avvisi di accertamento, notificato al contribuente l'avviso atto a consentire l'offerta di prova in ordine all'effettività delle operazioni. 1.1. Il motivo è fondato. All'epoca in cui vennero emessi gli avvisi di accertamento impugnati, l'articolo 110 del TUIR nel testo vigente ratione temporis prevedeva due concorrenti condizioni affinché il contribuente potesse portare in deduzione i costi rinvenienti da operazioni commerciali intrattenute con imprese aventi sede nei Paesi a fiscalità privilegiata non la sola effettività e concreta esecuzione di dette operazioni ma anche che i costi fossero stati indicati separatamente in dichiarazione. Nella specie, l'Ufficio ebbe a constatare solo detto ultimo inadempimento, sufficiente, all'epoca, da solo a rendere i costi indeducibili, con la conseguenza che l'emissione della comunicazione al contribuente della possibilità di fornire le sue prove era, a quella data e nel particolare caso, superflua. Ne consegue l'irrilevanza, nel caso in esame, della questione, sollevata dalla contro ricorrente relativa ad un'asserita violazione del principio del contraddittorio, alla luce dei principi fissati dalle SS.UU. di questa Corte con la sentenza numero 19667/14. 2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione ad opera della C.T.R. dell'articolo 1, comma 302 e 303 della legge 296/2006, dell'articolo 2, comma 8 d.p.r. 322/1998 e dell'articolo 8, comma 3 bis d.lgs. 471/1997. Secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di appello, la dichiarazione integrativa presentata dalla contribuente, successivamente alle date dei processi verbali di constatazione, non poteva fare venire meno l'applicabilità della diversa e più grave, rispetto a quella applicata dalla CTR, sanzione di cui al comma tre bis del citato articolo 8, come espressamente prevista anche per le operazioni pregresse, dal comma 303 dell'arti della legge finanziaria 2007. 2.1. Il motivo è fondato. Va, invero, data continuità all'orientamento già espresso in materia da questa Corte Cass. numero ri 5398/2012 1158/2014 20081/2014 secondo cui dopo la contestazione della violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, essendo indubbio che ove ciò fosse possibile, la correzione stessa cesserebbe di essere un rimedio accordato dal legislatore per ovviare ad un errore del contribuente per trasformarsi in mezzo elusivo delle sanzioni predisposte dal legislatore per l'inosservanza delle disposizioni relative alla compilazione della dichiarazione dei redditi. E ciò, a maggior ragione, laddove di consideri che nel caso in specie, fa separata indicazione in dichiarazione, in quanto preordinata ai controlli, non integra, come invece ritenuto dal Giudice di merito, mera irregolarità formale. Ritenuta, pertanto, l'invalidità delle dichiarazioni integrative presentate dalla contribuente e, preso atto che nella specie non risulta censurata l'applicabilità dello ius superveniens costituito dalla legge numero 296/2006 articolo 1 comma 301 in punto di deducibilità dei costi rinvenienti da operazioni poste in essere con imprese aventi sede in Paesi a fiscalità privilegiata, anche se non separatamente indicati in dichiarazione, alle operazioni pregresse ne consegue l'errore in cui è incorsa la Commissione tributaria lombarda nell'applicare la più lieve sanzione di cui all'articolo 8, comma 1 dei d.lgs. 471/97 laddove il comma 303 dell'articolo 1 della legge citata è chiaro nel disporre l'applicazione, alle operazioni pregresse, del nuovo regime sanzionatorio introdotto dal precedente comma 302 ovvero la sanzione di cui al comma 3 bis dell'articolo 8 d.lgs. citato. 3. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di legge, la ricorrente rileva l'errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nell'annui lare integralmente gli avvisi di accertamento e ritenere, quindi, implicitamente deducibili i costi laddove lo ius superveniens subordina tale deducibilità pur sempre alla prova che l'impresa estera svolga prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse abbiano avuto concreta esecuzione, laddove l'Ufficio aveva sempre contestato la sussistenza di tali presupposti nel caso in esame. Al contrario, secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. si era limitata a ritenere che le operazioni erano effettive, laddove solo tale presupposto non era sufficiente dovendosi fornire, altresì, la prova anche di un contestuale interesse economico ovvero le imprese estere svolgessero una prevalente attività commerciale. 4. Con il quarto motivo si deduce la medesima violazione di legge per avere il Giudice di appello ritenuto che le bolle doganali e le relative fatture costituissero prova sufficiente dell'effettività dello svolgimento delle operazioni laddove l'Ufficio aveva contestato che per dimostrare la concreta esecuzione delle operazioni la documentazione contabile non era sufficiente dovendosi fornire la prova che le materie prime acquistate fossero state concretamente utilizzate dalla contribuente nel processo produttivo. 5. Infine, con il quinto motivo si denunzia la sentenza impugnata di insufficiente motivazione per non avere la C.T.R. chiarito le ragioni per le quali i documenti offerti fatture e bolle doganali fornivano la prova dell'effettività delle operazioni laddove l'Ufficio aveva contestato tale rilevanza sulla base dell'argomentazione già illustrata nell'esame del precedente mezzo. 6. I mezzi, trattati congiuntamente siccome involgenti sotto diversi profili la medesima questione ovvero la sussistenza delle condizioni richieste dall'arti 10, comma 11 TUIR , vanno incontro alla sanzione di inammissibilità. Dal contenuto degli atti impositivi impugnati come riportati da entrambe le parti e dall'accertamento compiuto sul punto dalla sentenza impugnata, emerge che con gli avvisi di accertamento l'Ufficio ebbe a contestare, quale causa di indeducibilità dei costi, solo la mancata separata indicazione delle operazioni di importazione, non sollevando alcun rilievo in ordine alla loro effettività ovvero concreta esecuzione. 6.1. Ora, la particolare natura impugnatoria del giudizio tributario fa sì che il relativo ambito rimanga circoscritto al contenuto dell'atto impugnato e delimitato dai motivi di impugnazione, laddove con i mezzi di ricorso, rassegnati da ultimi, si introduce un'inammissibile ampliamento del thema decidendum. 7. In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, in accoglimento del primo e del secondo motivo, inammissibili i restanti, la sentenza impugnata va cassata e va disposto il rinvio a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia affinché, alla luce degli esposti principi, riesamini la vicenda processuale in punto di sanzioni e liquidi le spese del grado. P.Q.M. La Corte, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese processuali, a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.