Redditometro: non serve la prova dell’uscita di denaro per gli acquisti

Il contribuente può superare la presunzione con cui gli si attribuisce un maggior reddito per il fatto di aver speso molto, semplicemente dimostrando di avere dei risparmi o di aver disinvestito del denaro.

L'accertamento sintetico consente al Fisco di determinare in base a determinati elementi di fatto quello che potrebbe essere il reddito complessivo netto del contribuente tuttavia, deve pur sempre riconoscersi l'ammissibilità di una prova contraria diretta a dimostrare la compatibilità tra il tenore di vita e il reddito dichiarato. I destinatari dell'accertamento sintetico sono - per definizione - soggetti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, sicché ad essi non si può estendere la logica che presiede agli accertamenti fondati sui riscontri con i conti correnti bancari tante operazioni richiedono altrettanti riscontri documentali circa la provenienza o la destinazione essi non sono gravati di fornire la puntuale dimostrazione della correlazione causale tra il loro tenore di vita e la disponibilità di risorse prive di rilevanza fiscale. Nel redditometro, ai fini della prova contraria, non è necessaria la dimostrazione dell’esborso finanziario sostenuto per gli incrementi patrimoniali essendo sufficiente la prova della mera esistenza della capacità di reddito. Il privato, infatti, non è obbligato alla tenuta delle scritture contabili e, pertanto, non si può gravare allo stesso di fornire la correlazione tra il tenore di vita e la disponibilità di risorse prive di rilevanza fiscale. Tali principi sono stati statuiti dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 7339 del 10 aprile 2015. Il caso. Il Fisco ha notificato un accertamento da redditometro, emesso nei confronti di un contribuente, fondato sulla presunta capacità di spesa desumibile dall’acquisto di 3 appartamenti intestati al coniuge fiscalmente a carico e di una autovettura di grossa cilindrata. I giudici di merito tributari hanno appurato che il denaro necessario ai predetti acquisti derivava, oltre che dai rilevanti redditi dichiarati negli anni, anche da rimborsi di finanziamenti effettuati in precedenza a favore di 2 società. In particolare , essi hanno ritenuto che la documentazione prodotta era idonea a giustificare gli investimenti effettuati. Il Fisco ha proposto ricorso in Cassazione lamentandosi che il Collegio di secondo grado aveva erroneamente applicato la norma poiché l’art. 38 d.P.R. n. 600/73, vigente al tempo, prevedeva che per vincere la presunzione era necessaria la prova del concreto impiego delle somme in contestazione. Gli Ermellini, con la citata sentenza, hanno confermato le decisioni di merito, disattendendo l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale occorre la prova dell’esatta coincidenza tra l’uscita di denaro rispetto al reddito asseritamente utilizzato. I giudici di legittimità hanno innanzitutto evidenziato che l’art. 38 non contempla un tale contenuto necessario” dell’onere della prova che incombe a carico del contribuente e ciò è palese, non solo dal testo letterale, ma anche da un’interpretazione logica che alla stessa va data. Gravando il contribuente di una simile giustificazione significherebbe imporre un rigore probatorio capace di confinare con una probatio diabolica ”, troppo ardua”. Infatti, il denaro è un bene fungibile e, pertanto, è quasi impossibile tenere traccia degli esatti percorsi dello stesso. È logico peraltro ritenere che il contribuente possa avere adoperato per i suoi acquisti di beni e servizi proprio i redditi che sono stati puntualmente dichiarati, sapendo di poter poi contare per affrontare le residue ed ordinarie esigenze della vita su quelli fiscalmente irrilevanti o comunque già oggetto di prelievo alla fonte. Peraltro l’accertamento sintetico si basa su presunzioni fondate sull’incompatibilità tra il tenore di vita ed il reddito dichiarato e, pertanto, è ovvio che la prova contraria non può che riguardare la dimostrazione dell’esatto opposto, ossia la compatibilità” del reddito rispetto alle spese. In ogni caso, i destinatari di questo tipo di accertamento sono soggetti non tenuti alle scritture contabili, dovendosi così escludere che possano fornire la dimostrazione della correlazione tra reddito speso ed uscite. Conclusioni. Secondo un preciso orientamento giurisprudenziale il contribuente può provare che l’acquisto dei beni di lusso che gli vengono contestati è stato fatto con disponibilità finanziarie esenti o con ritenuta alla fonte, ad esempio grazie ad una donazione o grazie al possesso di titoli, senza che sia necessario dimostrare che l’acquisto sia stata effettuato con quei soldi. Al contribuente che si trovi di fronte alla contestazione di incrementi patrimoniali da parte del Fisco, basta dimostrare il possesso di proventi che siano già stati sottoposti a tassazione o fiscalmente irrilevanti per una entità in grado di giustificarne la spesa, senza dover dimostrare l'esistenza del nesso causale tra reddito e spesa sostenuta. In caso di contestazione, il contribuente deve dimostrare di aver effettuato un disinvestimento nell'anno in corso o nei quattro precedenti, oppure che l'investimento contestato derivi dall'utilizzo di redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta, o ricorrendo all'utilizzo di quelli che sono legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile. Ne consegue che nessun'altra prova deve dare la parte contribuente circa l'effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell'esistenza di tali redditi. Cass., civ. Sez. V, n. 6396/2014 . Secondo diverso orientamento, in tema di accertamento sintetico, il contribuente deve dimostrare sia l'esistenza di redditi legittimamente non indicati dalla dichiarazione, sia l'utilizzo proprio di tali somme per le spese contestate. In tema di accertamento sintetico, ai fini dell'ammissibilità della prova liberatoria a carico del contribuente dalla presunzione di maggior reddito derivante dalle spese per incrementi patrimoniali, non è sufficiente la prova della sola disponibilità di redditi, e men che mai di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta , ma è necessaria anche la prova che la spesa per incrementi patrimoniali sia stata sostenuta, non già con qualsiasi altro reddito ovviamente dichiarato , ma proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta . Una interpretazione conforme alla ratio dell'art. 38, d.P.R. n. 600/1973 in tema di accertamento sintetico non può postulare, infatti, una scissione tra la dimostrazione documentale del possesso dei redditi determinati sinteticamente dall'Ufficio - in base al fatto che il contribuente abbia sostenuto una spesa per incrementi patrimoniali - e la prova dell'impiego materiale di tali redditi, perché senza la dimostrazione del nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa per incrementi patrimoniali tale spesa siccome indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la forza della presunzione posta a suo svantaggio dalla norma Cass., civ. Sez. V, 20-03-2009, n. 6813/2009 . Secondo tale impostazione la mancata dimostrazione del nesso eziologico tra spesa e reddito comporta l’impossibilità di superare la prova contraria Cass., n. 23785/2010 e n. 4183/2013 . Con la pronuncia n. 8995/2014, gli Ermellini hanno ulteriormente chiarito che il contribuente deve dimostrare che l'entità di questi ulteriori redditi e la durata del loro possesso abbiano consentito il sostenimento delle spese considerate dall'ufficio l’onere probatorio richiesto dalla norma, non risulta particolarmente oneroso, potendo essere fornito, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare – in termini di durata” e non di semplice transito” – il possesso dei redditi contestati. Il possesso prolungato di redditi esenti o comunque non risultanti dalla dichiarazione presentata è sufficiente per provare lo scostamento di maggior reddito ai fini del redditometro. È necessario, in altre parole, escludere che quel denaro sia stato investito in altro e che quindi sia solo temporaneamente transitato sui conti correnti del contribuente. Siffatto chiarimento è di estrema attualità, poiché anche nella nuova versione del redditometro per l’anno 2010, gli uffici pretendono prova concreta dell'utilizzo dei disinvestimenti, tra l'altro trascurando che soprattutto per le spese ordinarie è impossibile riuscire a dimostrarlo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, sentenza 4 marzo – 10 aprile 2015, numero 7339 Presidente Cicala – Relatore Caracciolo Svolgimento del processo 1. Gli atti del giudizio di legittimità. La CTR di Milano ha respinto l’appello dall’Agenzia proposto contro la sentenza numero 167/46/2010 della CTP di Milano che aveva accolto il ricorso di G.G. contro avviso di accertamento per IRPEF 2005, avviso emesso a seguito di accertamento sintetico di genere presuntivo fondato sulla capacità di spesa desunta dall’acquisto di tre appartamenti intestati al coniuge fiscalmente a carico del contribuente e dall’acquisto di una autovettura di grossa cilindrata. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo. La parte intimata si è costituita con controricorso e ricorso incidentale che è privo delle caratteristiche minime necessarie ai fini di consentire che lo si consideri tale, siccome manca la imprescindibile identificazione di uno dei motivi di impugnazione tra quelli tassativamente identificati dall’articolo 360 cpc . Il ricorso è stato esaminato dal relatore designato ai sensi dell’articolo 380 cpc e fatto oggetto di proposta di definizione con la procedura di cui all’articolo 375 cpc ma il collegio designato per la trattazione camerale ne ha disposto la rimessione in pubblica udienza, ritenuto che non sussistessero i presupposti per la trattazione camerale. Non sono state depositate memorie illustrative. La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 4.3.2015. 2. La motivazione della sentenza impugnata. La CTR Lombardia ha motivato la decisione ritenendo che la documentazione agli atti di causa per il periodo dal 2003 al 2008 apparisse idonea a giustificare gli investimenti immobiliari effettuati nel periodo si trattava di rimborsi di finanziamenti effettuati in precedenza a favore di due società, oltre ai redditi dichiarati in somme cospicue, per importi complessivi che risultavano congrui per giustificare gli investimenti , in ragione di movimentazioni bancarie desunte dagli estratti-conto allegati in copia all’ appello incidentale di parte contribuente. 3. Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico motivo e si conclude previa indicazione del valore della lite in € 132.108,20 con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni consequenziale pronuncia anche in ordine alle spese di lite. Motivi della decisione 4. Il motivo dell’impugnazione. Con il motivo unico di impugnazione improntato alla violazione dell’articolo 38 comma 6 del DPR numero 600/1973 e dell’articolo 2697 cod. civ. la ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto sufficiente da parte del contribuente -ai fini di vincere la presunzione di legge la prova di percezione di adeguati redditi esenti o di redditi già soggetti a ritenuta alla fonte ai fini di giustificare gli incrementi patrimoniali, senza richiedere anche la necessaria prova del concreto impiego di detti redditi nell’effettuazione delle spese, mediante la specifica dimostrazione dell'impiego proprio di quelle somme che ne avevano costituito il frutto. La censura appare infondata e da disattendersi. La parte ricorrente menziona a sostegno della propria doglianza la pronuncia di questa Corte numero 6813/2009 massimata come di seguito In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’articolo 38, sesto comma, del d.P.R. numero 600 del 1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e non già con qualsiasi altro reddito dichiarato , orientamento al quale hanno poi aderito Cass. sez.5 numero 23785 del 24.11.2010, Cass. sez.6-5, Ordinanza numero 2010 del 29.1.2014 e -solo come premessa argomentativa ai fini della reiezione dell’impugnazione proposta dall’Agenzia Cass. sez. 5, Sentenza numero 3111 del 12.2.2014, orientamento che non può avere qui seguito e costituire condivisibile ricostruzione esegetica della disciplina normativa invocata a supporto del motivo di impugnazione. E ciò, non soltanto perché il testo del comma sesto del menzionato articolo 38 nella versione applicabile ratione temporis, antecedente alla recente novella introdotta dall’articolo 22 del D.L. numero 78/2010 non contempla affatto un tale contenuto necessario dell’onere di prova che incombe a carico della parte contribuente per effetto dell’inversione disposta dalla norma Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. L'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione , così che esso si estenda alla dimostrazione della stretta correlazione tra spese e somme derivanti da redditi esenti o già soggetti a ritenuta alla fonte, ma anche perché vi sono argomenti logici, a valenza di interpretazione sistematica, che depongono a sfavore di un così rigoroso tenore dell’onere di prova. Da un canto, la tesi che ha trovato accoglimento nella pronuncia dianzi menzionata finirebbe per spostare il baricentro della prova contraria addossata al contribuente dall’ambito della astratta compatibilità tra spese/tenore di vita e reddito fiscalmente non rilevante al vero e proprio nesso causale tra le due connesse entità, e ciò fino ad imporre al contribuente un rigore probatorio capace di confinare con la probatio diabolica ed infatti, se il danaro è l’ente fungibile per eccellenza, riuscire a tenerne tracciati i percorsi, quasi alla stregua di quanto è imposto per i prodotti alimentari nel sistema di tutela delle denominazioni d’origine, appare davvero evenienza troppo ardua. Ciò appare immediatamente percepibile con riferimento alla modalità dell’accertamento redditometrico puro non essendoci davvero modo per comprovare come sia stata sostenuto l’onere economico della disponibilità di beni o servizi a godimento perdurante nel tempo o periodicamente ricorrente, specie perché si tratta di una spesa presunta in ragione di dati di normalità economica e non necessariamente sostenuta in pecunia o valori correnti, e comunque non fisicamente identificata , ma non può risultare meno vero anche in riferimento alla modalità di accertamento redditometrico sintetico , atteso che è del tutto conforme alla logica che il contribuente possa avere adoperato per i suoi acquisti di beni e servizi proprio i redditi che sono stati puntualmente dichiarati, sapendo di poter poi contare per affrontare le residue ed ordinarie esigenze della vita su quelli fiscalmente irrilevanti o comunque già oggetto di prelievo alla fonte. D’altronde, anche a voler stare alla sola logica del sistema, non si può che rilevare la costruzione accusatoria, nell'accertamento sintetico, si incentra su presunzioni che sono fondate sulla incompatibilità tra tenore di vita e reddito dichiarato il comma 4 dell’articolo 38 prevede L’ufficio può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato , sicché la prova contraria non può che tendere a dimostrare l’esatto opposto di questo assunto, e perciò la compatibilità tra tenore di vita e reddito dichiarato, compatibilità che non può che essere di genere astratto così da prescindere dalla esatta identificazione del nesso causale tra incassi ed esborsi. Inoltre, i destinatari dell’accertamento sintetico sono -per definizione soggetti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, sicché ad essi non si può estendere la logica che presiede agli accertamenti fondati sui riscontri con i conti correnti bancari tante operazioni, altrettanti riscontri documentali ci devono essere circa la provenienza o la destinazione e non li si può gravare di fornire la puntuale dimostrazione della correlazione causale tra il loro tenore di vita e la disponibilità di risorse prive di rilevanza fiscale. D’altronde, più di recente ma sempre in riferimento alle fattispecie soggette alla disciplina ante novella questa Corte ha evidenziato che, anche con riferimento agli accertamenti sintetici fondati su spese sostenute per incrementi patrimoniali , la prova documentale contraria di cui è onerato il contribuente riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e non anche la dimostrazione del loro impiego negli acquisti effettuati , essendo detta circostanza idonea, da sola, a superare la presunzione dell’insufficienza del reddito dichiarato Cass. sez.5 Sentenza numero 6396 del 19.3.2014 . In un’ottica di interpretazione logico-sistematica, la predetta pronuncia giunge alla conclusione che al contribuente è richiesto di semplicemente vincere la presunzione semplice o legale che sia che il reddito dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti o gli incrementi, con la qual cosa il fatto presuntivo esposto dall'Ufficio cessa di produrre i propri effetti . Per altro verso, ed in un’ottica esegetica di maggiore aderenza al dato letterale normativo, Cass. sez.5 Sentenza numero 8995 del 18.4.2014 poi ripresa da Cass. sez. 5 Sentenza numero 17663 del 6.8.2014 e da Cass. sez.5 Sentenza numero 25104 del 26.11.2014 ha invece affermato che la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’articolo 38 non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del relativo possesso che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta . Tuttavia, affrontare qui la soluzione della questione -oggetto del dibattito intrapreso con i due orientamenti da ultimo menzionati se la prova di entrambe siffatte circostanze sintomatiche sia oggetto di un onere necessario ed ineludibile con riferimento ad entrambe le tipologie di accertamento di tipo redditometrico, ovvero se competa al giudice del merito semplicemente fare adeguata e calibrata valutazione delle risultanze di causa queste si, necessariamente documentali -al fine di valutare se sia da ritenersi integrata, almeno grazie ad una delle due categorie di circostanza contemplate, la prova contraria che la disciplina di legge addossa alla parte contribuente appare del tutto frustraneo, atteso che, per quanto rileva ai fini delle specie di causa, resterebbe argomentazione puramente teorica. Ai fini della soluzione della lite basta infatti ribadire la pura e semplice infondatezza della tesi prospettata dalla parte ricorrente, la quale propone una esegesi normativa che non trova -a parere di questa Corte riscontro alcuno nella lettera e nella ratio della legge, per tutte le ragioni che sono state poste in evidenza nella presente pronuncia e che costituiscono anche i presupposti argomentativi dei due orientamenti da ultimo enunciati, seppure questi ultimi ne facciano poi derivare esiti parzialmente difformi. 5. Conclusioni Non resta che concludere che l’apprezzamento del giudicante, radicato proprio sulla ritenuta idoneità della prova contraria addotta dal contribuente a dimostrare la compatibilità tra complessivi redditi maturati e le spese effettuate per incrementi patrimoniali, non merita cassazione per le ragioni postulate dalla parte ricorrente. L’infondatezza dell’unico motivo giustifica l’integrale rigetto del ricorso principale, con conseguente assorbimento di quello incidentale. La regolazione delle spese di lite è improntata al criterio della soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in € 5.500,00 oltre accessori di legge ed oltre € 100,00 per esborsi.