Se c’è stato contraddittorio endoprocedimentale, non si applica il termine dilatorio di 60 giorni

In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il termine dilatorio di 60 giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni determina di per sé, salvo specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito la cui ricorrenza deve essere provata dall’ufficio

È quanto afferma la Cassazione con l’ordinanza n. 6054/15, depositata il 26 marzo. Il caso. Nel caso di specie, la rettifica scaturisce dal mero rilievo di un sensibile scostamento tra le risultanze dello studio di settore e i ricavi dichiarati da una s.r.l A quanto è dato comprendere dalla narrativa dei fatti, viene attuato un contraddittorio tra società contribuente e ufficio procedente nell’ambito della procedura di accertamento con adesione il tentativo di definizione concordata della pretesa si chiude senza un accordo. In sede processuale, la difesa della società contribuente pare fondata su un unico profilo l’atto impositivo sarebbe illegittimo perché emesso prima del decorso del termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000 il c.d. Statuto dei diritti del contribuente” . Le doglianze della società contribuente non trovano accoglimento né in prime cure né in sede di gravame. È sufficiente il contraddittorio attuato nel tentativo di definizione concordata. Nell’ordinanza n. 6054/15, la Corte di Cassazione respinge il ricorso della società contribuente perché manifestamente infondato, con condanna alle spese e al pagamento dell’ulteriore contributo unificato ex art. 13, comma 1 - quater , d.p.r. n. 115/2002. Secondo il Collegio, all’accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore non è applicabile il termine dilatorio di 60 giorni per l’emanazione dell’atto impositivo, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, essendo già prevista, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente. A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, il contraddittorio endoprocedimentale ha trovato concreto e regolare compimento. Agli studi di settore non si applica il termine dilatorio di 60 giorni. In motivazione viene richiamata una sentenza di segno conforme, che si segnala per aver argomentato la propria presa di posizione in maniera meno sintetica. Nella sentenza n. 7960/14, la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha richiamato, in via preliminare, quanto statuito dalla Sezioni Unite nella sentenza n. 18184/13 in materia di accertamento anticipato. In tale occasione, valorizzando – anche sul piano del diritto europeo – il principio del contraddittorio procedimentale, il Giudice di legittimità ha affermato che l’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus , poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva , e che il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito esonerativo dall’osservanza del termine , la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio . Pur riconoscendo a tale principio di diritto una naturale vis espansiva in relazione alla valorizzazione dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente, nella sentenza n. 7960/14 la Cassazione rileva due profili di criticità 1 la pronuncia delle Sezioni Unite si riferisce al termine dilatorio che deve necessariamente intercorrere – salvo l’esistenza di situazioni di particolare urgenza – tra il rilascio al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni ivi previste, cioè accessi, ispezioni o verifiche eseguite nei locali destinati all’esercizio dell’attività, e l’emanazione del relativo avviso di accertamento 2 la procedura di accertamento standardizzato – in particolare, quella fondata sull’applicazione degli studi di settore – prevede la fase del contraddittorio procedimentale a pena di nullità della rettifica Cass., sez. Unite Civ., n. 26635/09 , alla quale il contribuente deve obbligatoriamente essere invitato a partecipare e della quale l’Ufficio procedente deve dar conto – salvo che il contribuente non abbia aderito all’invito – nella motivazione dell’atto impositivo. Negli accertamenti standardizzati sono pienamente garantite la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente nella fase anteriore all’emissione dell’atto impositivo attraverso il rinvio alla procedura di accertamento con adesione. A ciò si aggiunga che nella esaustiva disciplina di tale metodologia accertativa non è possibile rinvenire alcun elemento che possa determinare il configurarsi a carico dell’ufficio procedente di un obbligo di predisposizione del verbale di chiusura dell’istruttoria il cui rilascio costituisce dies a quo per il decorso del termine dilatorio di 60 giorni ex art. 12, comma 7, l. n. 212/2000. Il termine dilatorio non scatta per le indagini a tavolino. Nell’ordinanza n. 21391/14 cfr. anche le sentenze nn. 7598 e 13588 del 2014 , la sesta sezione della Corte di Cassazione ha escluso che il termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000 possa trovare applicazione con riferimento agli avvisi di accertamento emessi ai sensi degli artt. 32, d.p.r. n. 600/1972 e 51, d.p.r. n. 633/1972, per effetto del controllo delle dichiarazioni e della documentazione contabile del contribuente, vale a dire con riguardo alle ipotesi in cui la pretesa impositiva sia scaturita dall’esame di atti sottoposti all’Amministrazione finanziaria dallo stesso contribuente e da essa esaminati in ufficio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 18 febbraio – 26 marzo 2015, n. 6054 Presidente Bognanni – Relatore Perrino In fatto In esito ad un controllo dell'Agenzia delle entrate della dichiarazione fiscale della società, da cui era emerso che l'ammontare dei ricavi dichiarati era sensibilmente diverso da quello derivante dall'applicazione degli studi di settore in relazione all'attività svolta dalla contribuente, e fallito l'accordo volto alla definizione con adesione in seno al contraddittorio appositamente instaurato, l'ufficio ha accertato, ai fini IRES, Iva ed Irap maggiori ricavi, irrogando altresì le relative sanzioni. La locale Commissione tributaria provinciale ha respinto il ricorso proposto avverso l'avviso e quella regionale ha rigettato l'appello della contribuente, rimarcando, per quanto d'interesse, il regolare svolgimento del contraddittorio e l'inapplicabilità del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall'articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente. Avverso questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida ad un unico motivo, illustrato con memoria, al quale l'Agenzia delle entrate replica con controricorso. In diritto 1.- Il ricorso può essere definito in camera di consiglio, risultando manifestamente infondato. 2.- L'infondatezza dell’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., col quale la società lamenta la violazione del 7° comma dell'articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente emerge chiaramente, giusta il principio di diritto affermato dalla Corte in fattispecie similare Cass. 4 aprile 2014, n. 7960 , secondo cui in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, non è applicabile il termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, essendo già prevista, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’avviso . 2.1.- E la sussistenza delle fase necessaria di contraddittorio procedimentale, nella fattispecie regolarmente espletata, rende inapplicabile la giurisprudenza più recente citata in memoria, evidenziando l'inconferenza in relazione al caso in esame degli argomenti sviluppati dall'ordinanza n. 527/15 di questa sezione, richiamata dalla società nel corso della discussione orale, 3. - Il ricorso va in conseguenza respinto. 3.1. - Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti di applicazione dell'articolo 13, comma 1 - quater, del d.p.r. n. 115 del 2002. P.Q.M. Respinge il ricorso e condanna la società contribuente a rifondere le spese di lite sostenute dalla parte costituita, liquidate in euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Dichiara la sussistenza dei presupposti di applicazione dell'articolo 13, comma 1 - quater, del d.p.r. n. 115 del 2002.