Per l’accertamento alla società sono sufficienti le dichiarazioni dell’amministratore

Le dichiarazioni rese dall’amministratore durante una verifica nella sede legale di una società rappresentano un elemento concreto tramite il quale si può fondare un accertamento che ricostruisca un maggior imponibile ai fini IVA e delle imposte dirette.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5931 del 25 marzo 2015, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha affermato che per l’accertamento del maggior reddito di impresa sono sufficienti le dichiarazioni dell’amministratore della società, effettuate durante una verifica della Guardia di Finanza, nella sede della società. L’accertamento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, era stato emesso nei confronti di una associazione sportiva si trattava di una scuola di karatè il cui Vice-Presidente, al momento della verifica, aveva dichiarato agli agenti di aver degli utili conseguiti dall’associazione stessa, su un libretto di risparmio. Il fatto. Nel dicembre del 2004 venivano notificati ad una associazione 8 avvisi di accertamento, con i quali l'Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione le somme dovute per IRPEG, IRAP ed IVA, oltre interessi e sanzioni, in relazione agli anni che andavano dal 1996 al 2002. Gli atti impositivi erano impugnati dal contribuente davanti alla Commissione Tributaria Provinciale che li accoglieva. L’Agenzia delle Entrate, a sua volta, impugnava la sentenza dei giudici di prime cure davanti alla Commissione Tributaria Regionale anche il giudice di secondo grado respingeva il ricorso perché riteneva mancante agli atti la prova, da parte delle stesse Entrate, della natura commerciale dell'attività svolta dall' associazione, ai sensi dell'ex art. 111 ora 148 , d.p.r. n. 917/86. Avverso la sentenza sfavorevole, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione. Nel ricorso l’Agenzia delle Entrate si sofferma principalmente sulla censura della pronuncia della CTR, relativa alla mancata dimostrazione da parte dell'Ufficio del conseguimento di avanzi di gestione da parte dell’Associazione , la cui mancata distribuzione agli associati condiziona, ai sensi dell'ex art. 111, commi 3 e 4 quinquies , lett. a nel testo applicabile ratione temporis , la configurabilità come non commerciali delle attività effettuate a favore degli iscritti a tali associazioni, con conseguente non ascrivibilità al reddito complessivo dell'ente , delle somme versate dagli associati stessi a titolo di quote o contributi associativi. La CTR avrebbe errato, secondo l’Agenzia delle Entrate ricorrente, nel ritenere che l'Amministrazione finanziaria sia gravata dall'onere di provare l'esistenza degli avanzi di gestione per gli anni in contestazione, di cui è menzione nel disposto dell'art. 111 , commi 3 e 4 quinquies , lett. a , d.p.r. n. 917/86 nel testo applicabile ratione temporis , avanzi, peraltro, erroneamente individuati dal giudice di appello nella differenza tra entrate finanziarie ed uscite della stessa natura che configuri un reddito ed infatti, l'onere di dimostrare sia l'assenza di avanzi di gestione, sia la mancata distribuzione degli stessi, ove esistenti, agli associati, graverebbe, ad avviso dell'Agenzia delle Entrate, esclusivamente sull'Associazione. Gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato. I giudici di legittimità osservano, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, che gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dall’ex art. 111, d.p.r. n. 917/1986 temporalmente applicabile alla fattispecie , in materia di IRPEG/IRES, e dall’art. 4, d.p.r. n. 633/1972, in materia di IVA, come modificati, con evidente finalità antielusiva, dall’art. 5, d.lgs. n. 460/97, a condizione non solo dell’inserimento, nei loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell'art. 5, d.lgs. n. 460/97 , ma anche dell'accertamento, che va effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione, che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse. La Cassazione osserva che gli enti di tipo associativo non godono, in realtà , di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, come si evince dall'ex art. 111, comma 2, d.p.r. n. 917/86, potendo anche le associazioni senza fini di lucro e tra esse le associazioni sportive dilettantistiche svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. Il citato ex art. 111 , comma 1, in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo, costituisce, in sostanza, una deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del medesimo d.p.r., secondo cui l'IRPEG/IRES si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche. Ne discende, pertanto, che 1’onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, ossia 1'associazione, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 c.c I giudici di legittimità evidenziano che, nel caso in esame, a fronte degli elementi di prova offerti dall'Amministrazione tra i quali, la prima nota recante l'indicazione degli avanzi di gestione, risultanti dal saldo attivo di cassa del periodo in contestazione, le dichiarazioni della Vice-presidente della associazione, la CTR ha del tutto erroneamente fatto carico all'Ufficio di fornire ulteriori probanti elementi” che possano individuare la sussistenza di redditi, invertendo l'onere della prova e confondendo gli elementi reddituali attivi e passivi e gli avanzi di gestione, ai quali fa riferimento il co. 4 quinquies , dell'ex art. 111 d.p.r. n. 917/86. Per la Cassazione è evidente, che, per un verso, non era l'Amministrazione a dover fornire ulteriori elementi di prova, ma semmai la contribuente a dover provare il diritto all'esenzione, per altro verso, che il thema probandum ” non poteva comunque incentrarsi sulla sussistenza di elementi attivi e quelli passivi di natura reddituale , secondo l'assunto della CTR, ma sulla sussistenza, o meno, di avanzi attivi di gestione desumibili dal saldo attivo di cassa, e sulla loro eventuale distribuzione. A fronte dei suindicati elementi di prova presuntiva forniti dall'Amministrazione finanziaria, 1' Associazione non ha, per contro, fornito prova alcuna della destinazione degli avanzi di gestione, non essendo stato prodotto neppure il libretto al risparmio, sul quale la stessa Vice-presidente aveva ammesso fossero stati versati detti avanzi di gestione, ai fini del necessario riscontro in ordine alla sua intestazione. Infine, la CTR ha ritenuto carente la prova circa l'effettivo conseguimento di avanzi di gestione, sebbene fosse stata rilasciata dalla Vice-presidente dell'associazione , una dichiarazione di ammissione circa il conseguimento di detti avanzi ed il loro versamento su un libretto a risparmio. Tale dichiarazione, in quanto resa a funzionari della stessa Amministrazione finanziaria, avrebbe, per contro, a parere dell’Agenzia delle Entrate , valore di prova legale, ai sensi dell'art. 2735 c.c La Cassazione, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, evidenzia che le dichiarazioni rese in sede di verifica dal legale rappresentante di una società possono, anche da sole, fondare l'accertamento di un maggior imponibile ai fini dell'IVA e delle imposte dirette. Tali dichiarazioni non rivestono, invero, la natura di mere dichiarazioni testimoniali, in quanto il rapporto di immedesimazione organica che lega il rappresentante legale alla società rappresentata esclude che il primo possa essere qualificato come testimone, in riferimento ad attività poste in essere dalla seconda esse possono, invece, essere apprezzate come una confessione stragiudiziale, e costituiscono pertanto prova non già indiziaria, ma diretta, del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri. La Cassazione, in conclusione, accoglie il ricorso delle Entrate per i giudici di legittimità anche se a tali dichiarazioni non è possibile attribuire il valore di confessione, per difetto di legittimazione della dichiarante ex art. 2731 c.c., non potrebbero non riconoscersi l'utilizzabilità delle stesse, ai fini della decisione, quanto meno quale elemento indiziario e presuntivo.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 8 aprile 2014 – 25 marzo 2015, n. 5931 Presidente Bielli – Relatore Valitutti Ritenuto in fatto 1. A seguito di processo verbale di constatazione del 2.12.04, venivano notificati alla Associazione N.S., Scuola di karaté otto avvisi di accertamento, con i quali l'Ufficio recuperava a tassazione le somme dovute per IRPEG, IRAP ed IVA, oltre interessi e sanzioni, in relazione agli anni dal 1996 al 2002. 2. Gli atti impositivi venivano impugnati dal contribuente, con separati atti introduttivi, dinanzi alla la CTP di Como, che, riuniti i ricorsi, li accoglieva. 3. L'appello avverso tale pronuncia, proposto dall' Agenzia delle Entrate, veniva, del pari, disatteso dalla CTR della Lombardia, con sentenza n. 52/34/07, depositata il 13.7.07, con la quale il giudice di seconde cure - confermando la pronuncia dei primi giudici - riteneva mancante agli atti la prova, da parte dell'Ufficio, della natura commerciale dell'attività svolta dall' associazione, ai sensi dell'art. 111 del d.P.R. 917/86, nel testo applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis. 4. Per la cassazione della sentenza n. 52/34/07 ha, quindi, proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate articolando cinque motivi. La contribuente ha replicato con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. 1.1. Rileva, invero, la ricorrente che la CTR si sarebbe pronunciata d'ufficio, in violazione del disposto dell'art. 112 c.p.c., sulla mancata dimostrazione da parte dell'Ufficio del conseguimento di avanzi di gestione da parte della contribuente, la cui mancata distribuzione agli associati condiziona - ai sensi dell'art. 111, co. 3 e 4, quinquies, lett. a nel testo applicabile ratione temporis - la configurabilità come non commerciali delle attività effettuate a favore degli iscritti a tali associazioni, con conseguente non ascrivibilità al reddito complessivo dell'ente delle somme versate dagli associati stessi a titolo di quote o contributi associativi. 1.2. Nel giudizio dinanzi alla Commissione di prime cure, invero, sarebbe stato discusso, ad avviso della ricorrente, il solo profilo concernente la mancanza di prove circa l'effettiva distribuzione agli associati, da parte della Associazione N.S., di detti avanzi di gestione, e non anche quello del mancato conseguimento di detti avanzi. 2. Il motivo è infondato. 2.1. Il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre, infatti, quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione petitiun e causa petendi e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto petitum immediato , ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso petitum mediato . Ne discende che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato Cass. 455/11 6757/11 19424/13 . 2.2. Orbene, nel caso di specie, avendo l'Amministrazione eccepito - fin dal giudizio di prime cure, come si desume dall’impugnata sentenza - che gli avanzi di gestione conseguiti dall'Associazione N.S. erano stati distribuiti, essendo stati depositati su un libretto ritenuto dall'Ufficio intestato ad uno dei soci, è del tutto evidente che il profilo relativo alla prova del conseguimento di tali avanzi riveste carattere logicamente preliminare rispetto all'accertamento circa la loro eventuale distribuzione. Sicché non può dirsi che la pronuncia del giudice di appello, nell'esaminare tale profilo preliminare, abbia investito un bene della vita non appartenente al thema decidendum, fin dal primo grado del giudizio. 2.3. La censura va, pertanto, rigettata. 3. Con il secondo e terzo motivo di ricorso - che, per la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente - l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 d.P.R. 917/86 ora 148 e 2697 c.c., in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. 3.1. Avrebbe, invero, errato la CTR - a parere della ricorrente - nel ritenere che l'Amministrazione finanziaria sia gravata dall'onere di provare l'esistenza degli avanzi di gestione per gli anni in contestazione, di cui è menzione nel disposto dell'art. 111, co. 3 e 4 quinquies, lett. a d.P.R. 917/86 nel testo applicabile ratione temporis , avanzi, peraltro, erroneamente individuati dal giudice di appello nella differenza tra entrate finanziarie ed uscite della stessa natura che configuri un reddito Ed infatti, l'onere di dimostrare sia l'assenza di avanzi di gestione, sia la mancata distribuzione degli stessi - ove esistenti - agli associati, graverebbe, ad avviso dell'Agenzia delle Entrate, esclusivamente sull'associazione. 3.2. Con la conseguenza che, una volta dimostrata dall'Amministrazione l'esistenza di detti avanzi di gestione, sia in quanto desumibili dalla prima nota contenente l'indicazione delle entrate e delle uscite di cassa nel periodo controverso, sia in quanto versati, per riconoscimento della stessa vicepresidente dell' associazione, su un libretto a risparmio, da presumersi - in difetto di ulteriori indicazioni - intestato a qualcuno degli associati, sarebbe stato onere della N.S. fornire la prova della mancata distribuzione di tale avanzi di gestione agli associati. 3.3. Le censure sono fondate. 3.3.1. Va osservato, infatti, che gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dagli art. Ili del d.P.R. n. 917 del 1986 temporalmente applicabile alla fattispecie , in materia di IRPEG e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA. - come modificati, con evidente finalità antielusiva, dall’art. 5 del d.lgs. n. 460/97 - a condizione non solo dell'inserimento, nei loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell'art. 5 del d. lgs. n. 460 cit. art. 111, co. 4 quinquies , ma anche dell'accertamento - che va effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione - che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse Cass. 11456/10 8623/12 . 3.3.2. Gli enti di tipo associativo non godono, invero, di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale - come si evince dall'art. 111, co. 2, del d.P.R. n. 917/86 - potendo anche le associazioni senza fini di lucro e tra esse le associazioni sportive dilettantistiche, come l’odierna resistente svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. Il citato art. 111, co. 1 - in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce, d'altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del medesimo d.P.R., secondo cui l’IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche. Ne discende, pertanto, che 1Tonere di provare i presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, ossia l'associazione, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 c.c. cfr. Cass. 22598/06 28005/08 8623/12 3360/13 . 3.3.3. Ebbene, nel caso di specie, a fronte degli elementi di prova offerti dall'Amministrazione prima nota recante l'indicazione degli avanzi di gestione, risultanti dal saldo attivo di cassa del periodo in contestazione, dichiarazioni della vicepresidente della associazione , la CTR ha del tutto erroneamente fatto carico all'Ufficio di fornire ulteriori probanti elementi che possano individuare la sussistenza di redditi, invertendo l'onere della prova e confondendo gli elementi reddituali attivi e passivi e gli avanzi di gestione, ai quali fa riferimento il co. 4 quinquies dell'art. 148 d.P.R. 917/86. E' di chiara evidenza, infatti, che, per un verso, non era l'Amministrazione - come dianzi detto - a dover fornire ulteriori elementi di prova, ma semmai la contribuente a dover provare il diritto all'esenzione, per altro verso, che il thema probandum non poteva comunque incentrarsi sulla sussistenza di elementi attivi e quelli passivi di natura reddituale , secondo l'assunto della CTR, ma sulla sussistenza, o meno, di avanzi attivi di gestione desumibili dal saldo attivo di cassa, e sulla loro eventuale distribuzione. 3.3.4. A fronte dei suindicati elementi di prova presuntiva forniti dall'Amministrazione finanziaria, l’Associazione N.S. non ha, per contro, fornito prova alcuna della destinazione degli avanzi di gestione, non essendo stato prodotto neppure il libretto al risparmio, sul quale - come meglio si dirà in prosieguo - la stessa vicepresidente del sodalizio aveva ammesso fossero stati versati detti avanzi di gestione, ai fini del necessario riscontro in ordine alla sua intestazione. 3.4. Per tali ragioni, pertanto, i motivi in esame non possono che essere accolti. 4. Con il quarto e quinto motivo di ricorso - che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente - l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2735 c.c., in relazione all'arte 360, co. 1, n. 3 c.p.c., nonché l'insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. 4.1. Si duole, invero, l'Amministrazione del fatto che la CTR abbia erroneamente - e con motivazione del tutto incongrua - ritenuto carente la prova circa l'effettivo conseguimento di avanzi di gestione, sebbene fosse stata rilasciata dalla vicepresidente dell'associazione, sig.ra P., una dichiarazione di ammissione circa il conseguimento di detti avanzi ed il loro versamento su un libretto a risparmio. Tale dichiarazione, in quanto resa a funzionari della stessa Amministrazione finanziaria, avrebbe, per contro, - a parere della ricorrente - valore di prova legale, ai sensi dell'art. 2735 c.c. 4.2. I motivi sono fondati. 4.2.1. Va osservato, infatti, che le dichiarazioni rese in sede di verifica dal legale rappresentante di una società possono, anche da sole, fondare l'accertamento di un maggior imponibile ai fini dell’IVA e delle imposte dirette. Tali dichiarazioni non rivestono, invero, la natura di mere dichiarazioni testimoniali, in quanto il rapporto di immedesimazione organica che lega il rappresentante legale alla società rappresentata esclude che il primo possa essere qualificato come testimone, in riferimento ad attività poste in essere dalla seconda esse possono, invece, essere apprezzate come una confessione stragiudiziale, e costituiscono pertanto prova non già indiziaria, ma diretta, del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri Cass. 23816/05 12271/07 22122/10 . 4.2.2. Nel caso concreto, non è in alcun modo controverso tra le parti che la P., vicepresidente dell'associazione, fosse fornita - in virtù della carica rivestita - della capacità di rappresentare l'ente dinanzi ai funzionari dell'Ufficio, in sede di verifica fiscale cfr., per la capacità a rendere confessione perfino del direttore tecnico della società, ove non ne sia disconosciuta la capacità a rappresentare l'ente ex art. 2731 c.c., Cass. 12271/07 . Per il che, in mancanza di elementi di fatto di segno contrario, alle dichiarazioni rese dalla stessa in sede di verifica fiscale, non può che attribuirsi valore di confessione. Ebbene, va rilevato che la predetta P., a precisa domanda dei verbalizzanti circa il conseguimento di avanzi di gestione e la loro distribuzione, rispondeva, con dichiarazione costituente - per le ragioni suindicate - piena prova, quanto meno in ordine alla sussistenza di avanzi di gestione sì, vengono conseguiti avanzi, riversati su un libretto a risparmio . Nulla risulta precisato, peraltro, dalla P. circa l'intestazione di tale libretto, che non risulta neppure esibito ai verbalizzanti, ma è evidente che tale incertezza sul piano probatorio non può che risolversi in danno della parte sulla quale incombeva l'onere della prova, ovverosia - nel caso di specie - sulla stessa Associazione N.S. alla quale la dichiarante appartiene. 4.2.3. Ad ogni buon conto - quand'anche volesse disconoscersi a tali dichiarazioni il valore di confessione, per difetto di legittimazione della dichiarante ex art. 2731 c.c. - non potrebbe non riconoscersi l'utilizzabilità delle stesse, ai fini della decisione, quanto meno quale elemento indiziario e presuntivo. Ed invero, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento - non potendo essere ricomprese nel divieto di prova testimoniale di cui all'art. 7 d.lgs. 546/92, che si riferisce alla sola prova testimoniale, quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio - proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudicante Cass. 8369/13 . 4.2.4. Ebbene, a fronte delle dichiarazioni suindicate e del contenuto della prima nota - recante l'indicazione, per gli anni in contestazione delle somme versate dagli associati, sia a titolo di quota associativa, sia quale contributo specifico per l'attività prestata dal sodalizio per i suoi scopi istituzionali, con conseguente formazione di un cospicuo fondo patrimoniale - la contribuente, sulla quale incombeva il relativo onere, non ha fornito alcun elemento di prova di segno contrario. 4.3. Per tali ragioni, dunque, anche i motivi di ricorso suesposti vanno accolti. 5. L'accoglimento del secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso comporta la cassazione dell'impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell'esercizio del potere di decisione nel merito di cui all'art. 384, co. 1 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente. 6. Da tale pronuncia risulta assorbito il ricorso incidentale della Associazione N.S. la contribuente ha censurato la compensazione, da parte della CTR, delle spese del secondo grado del giudizio. 7. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito. P.Q.M. Rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie gli altri cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto dalla Associazione N.S. Scuola di karaté condanna la resistente alle spese del presente giudizio, che liquida in € 12.000,00, oltre alle spese prenotate a debito dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.