La riscossione tramite ruolo deve tener conto della sentenza di annullamento parziale o totale dell’atto impositivo

L'iscrizione a ruolo è atto della riscossione che si forma in base ai contenuti degli atti della procedura di accertamento dell'imponibile, secondo la triade dichiarazione-avviso-sentenza. In mancanza, o in difformità di tale accertamento, l'iscrizione a ruolo è illegittima. E il principio deve trovare applicazione anche laddove il contrasto in ordine all'accertamento abbia imposto l’intervento giurisdizionale. Se la definizione dell'imponibile è conseguente alla sentenza, l’iscrizione a ruolo, avente a presupposto l'atto amministrativo tributario, più non rileva, in quanto una nuova iscrizione va effettuata in base alla sentenza, della quale statuizione deve riprodurre il contenuto. Il processo tributario è un giudizio di impugnazione e la relativa sentenza non può che avere effetti nei confronti dell'atto impugnato e del relativo contenuto. Laddove il giudice tributario annulli in parte un atto impositivo ordinando la riliquidazione delle somme, il titolo in base al quale l'ente può riscuotere gli importi non è più l'atto in origine emanato bensì la sentenza. Infatti dopo la sentenza, viene meno il titolo esecutivo formato in base all'avviso di accertamento in quanto una nuova iscrizione va effettuata in base alla sentenza, della quale statuizione deve riprodurre il contenuto .

Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24092 del 12 novembre 2014. La vicenda. Il giudice del gravame ha precisato che l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione era stato in precedenza parzialmente annullato, con sentenza passata in giudicato formale, e che, pertanto, l’avviso stesso non era sopravvissuto alla sentenza che aveva imposto all’ufficio la riliquidazione dell’imposta di successione in particolare, la sentenza aveva fatto perdere all’originario avviso di liquidazione qualsiasi efficacia, essendo quello tributario un giudizio di impugnazione, e non essendo stata la sentenza impugnata dall'amministrazione soccombente. Le cartelle, sulla cui base era stato intimato il pagamento di interessi e aggio, erano state del resto notificate dopo la sentenza, per la riscossione dell''imposta sulla base dell'originario e già caducato avviso di liquidazione. In definitiva, la sentenza passata in giudicato, oltre a ridimensionare la pretesa contenuta nell'avviso di liquidazione, ha imposto all'ufficio di provvedere alla riliquidazione dell'importo dovuto, facendo, in tal modo, perdere all'originario avviso di liquidazione la relativa efficacia. Le cartelle di pagamento, che hanno poi determinato l'intimazione relativa agli interessi di mora e all'aggio di riscossione, in quanto notificate dopo la sentenza, avevano perso ogni validità, visto che con esse era stata chiesta l’imposta sulla base dell'originario e tuttavia caducato avviso di liquidazione. I punti fermi del processo tributario. Gli Ermellini, con la citata pronuncia, hanno confermato le conclusioni del giudice del gravame. L’iter logico giuridico adottato dalla suprema Corte ha evidenziato i seguenti capisaldi • Oggetto del processo tributario è la verifica della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in tale atto indicati. • Il processo tributario è un processo cd. di impugnazione-merito”, non diretto cioè alla mera eliminazione dell'atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione sul rapporto in funzione sostitutiva. • La sentenza passata in giudicato non determina la sopravvivenza delle parti degli avvisi di liquidazione per le quali il ricorso non era stato accolto. • A seguito della sentenza, passata in giudicato gli avvisi impugnati perdono la loro efficacia di atti impositivi, essendo i contribuenti tenuti ad adempiere l’obbligazione non già nei termini derivati dagli atti, sebbene nei termini imposti dalla sentenza. • Consegue che, fino alla riliquidazione demandata all'amministrazione , l’obbligazione di pagamento, tratta dagli avvisi di liquidazione , non può in modo alcuno essere considerata esigibile. • In coerenza con la natura sostitutiva della sentenza del giudice tributario, le cartelle erano da ritenere caducate a seguito dell'ordine di adeguamento impartito nella sentenza emessa a conclusione del relativo giudizio. E un titolo annullato non può costituire base di un'intimazione avente data dalla sua notifica, finanche ove aggiornata contabilmente sulla base delle quote residuate dopo i provvedimenti di sgravio. Viene difatti meno la legittimità dell'iscrizione a ruolo e, di conseguenza, l'onere di pagamento da essa derivante, ivi compreso quello relativo all'aggio.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 1 ottobre – 12 novembre 2014, n. 24092 Presidente Merone – Relatore Terrusi Svolgimento del processo Con sentenza n. 65-42-2008, depositata il 5-6-2008 e non notificata, la commissione tributaria regionale della Lombardia ha confermato, seppur riducendo l’importo, il diritto degli eredi P. al rimborso di quanto pagato a seguito di un'intimazione emessa da Equitalia Esatri s.p.a., per la riscossione degli interessi di mora indicati in alcune cartelle di pagamento e per la corresponsione dell'aggio sulle cartelle dette. Per quanto rileva, la commissione tributaria regionale ha evidenziato che la pretesa era originata da avvisi di liquidazione dell'imposta di successione in morte di G.P., in relazione ai quali la commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 138 del 2001, passata in giudicato per mancata impugnazione, aveva riconosciuto fondati, almeno in parte, gli assunti dei contribuenti, ordinando all'ufficio di procedere alla riliquidazione dell'imposta sulla base di quanto statuito. La commissione regionale ha quindi osservato che l'avviso di liquidazione non poteva dirsi sopravvissuto alla sentenza che ne aveva statuito l'erroneità, e non aveva implicato l'obbligo dei contribuenti di rideterminarsi al riguardo e di provvedere al relativo pagamento. Invero la richiamata sentenza n. 138-01, imponendo all'ufficio la riliquidazione dell'imposta, aveva fatto perdere all'originario avviso qualsivoglia efficacia, essendo quello tributario un giudizio di impugnazione, e non essendo stata la sentenza impugnata dall'amministrazione soccombente. Le cartelle, sulla cui base era stato intimato il pagamento di interessi e aggio, erano state del resto notificate dopo la sentenza, per la riscossione dell''imposta sulla base dell''originario e già caducato avviso di liquidazione e della sentenza non avevano tenuto conto. A ogni modo la commissione ha ravvisato un errore nel computo della somma rimborsabile, e l'ha quindi ridotta in misura corrispondente. Ha proposto ricorso per cassazione l'agenzia delle entrate, articolando due motivi di censura. Gli intimati hanno replicato con controricorso e hanno proposto tre motivi di ricorso incidentale. Si è costituita anche Equitalia Esatri s.p.a., proponendo ricorso incidentale adesivo alle censure svolte dall'amministrazione nel ricorso principale. Motivi della decisione I. Il ricorso principale consta di due motivi, conclusi da quesiti e rubricati come i violazione dei principi generali del processo tributario in tema di poteri del giudice tributario e di natura del processo, artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. e ii insufficiente motivazione su fatto controverso art. 360, n. 5, c.p.c. . Il fulcro delle doglianze riguarda l’interpretazione data dalla commissione tributaria al giudicato di cui alla evocata sentenza n. 138-01. Sostiene la ricorrente che la sentenza aveva accolto solo parzialmente il ricorso dei contribuenti per ragioni non di ordine formale e che aveva ridotto l'imposta dovuta senza espressamente dichiarare l’annullamento parziale o meno degli atti tributari. Conseguentemente, gli avvisi erano sopravvissuti alla decisione per le parti in cui il ricorso non era stato accolto e dunque avevano comportato la legittimità delle cartelle di pagamento in proporzione delle imposte non dichiarate indebite dalla commissione tributaria provinciale e, appunto, non fatte oggetto di sgravio. Da tale legittimità si sarebbe dovuta rilevare la debenza degli aggi e degli interessi di mora maturati in proporzione delle imposte ancora dovute, essendo state le imposte pagate dai contribuenti solo dopo il ricalcolo conseguente allo sgravio parziale. II. Occorre avvertire che alla tesi del ricorrente principale ha fatto riscontro quella identica e fondata sugli stessi testuali motivi di Esatri s.p.a., di cui al controricorso contenente ricorso incidentale adesivo. Il ricorso incidentale di Esatri s.p.a. è ammissibile in base a sez. un. n. 24627-07, cui il collegio intende dare continuità. In sostanza i ricorsi incidentali tardivi sono ammissibili, non solo nella versione della controimpugnazione per la quale rileva l'art. 334, 1° co., c.p.c. , ma anche nella versione della impugnazione adesiva, le volte in cui il ricorso principale abbia messo comunque in discussione come nel caso di specie l'assetto di interessi derivante dalla sentenza confermativa di una condanna solidale, alla quale era stata prestata acquiescenza assetto che, se quell'impugnazione fosse accolta, potrebbe comportare, finanche in cause formalmente scindibili, una modifica delle situazioni giuridiche originariamente accettate dalla concessionaria per la riscossione. III. Il ricorso principale è tuttavia infondato. La tesi della commissione tributaria regionale è riassunta nella duplice considerazione a che il processo tributario è un giudizio di impugnazione e b che la relativa sentenza non può che avere effetti nei confronti dell'atto impugnato e del relativo contenuto . Invero la commissione ha affermato che nel caso in esame la sentenza n. 138/01 oltre a ridimensionare la pretesa contenuta nell'avviso impugnato, ha imposto all'ufficio di provvedere alla riliquidazione dell'importo dovuto, facendo, in tal modo, perdere all'originario avviso di liquidazione la relativa efficacia . Da qui ha desunto che le cartelle di pagamento, che hanno poi determinato l'intimazione relativa agli interessi di mora e all'aggio di riscossione di cui è causa , in quanto notificate dopo la sentenza, avevano perso ogni validità, visto che con esse era stata chiesta l’imposta sulla base dell'originario e tuttavia caducato avviso di liquidazione. IV. La conclusione, sebbene con le precisazioni che seguono, va confermata. Oggetto del processo tributario, atteso il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, non è l'accertamento dell1 obbligazione tributaria in quanto tale, da condursi attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa a prescindere, cioè, dalle risultanze dell'atto impugnato . E' piuttosto la verifica della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato v., ex jnultis, Cass. n. 23064-06 n. 9754-03 , e alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in tale atto indicati. Il dianzi detto principio completa il quadro della definizione del processo tributario come processo cd. di impugnazione-merito , non diretto cioè alla mera eliminazione dell'atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione sul rapporto in funzione sostitutiva v. per tutte Cass. n. 26157-13 n. 13034-12 n. 13868-10 n. 25376-08 . Simile premessa rende ragione sotto due punti di vista dell'infondatezza della tesi della ricorrente. Questa afferma che il nodo cruciale della controversia risiedeva nell'interpretazione della sentenza n. 138-44 2001 della commissione tributaria provinciale di Milano, passata in giudicato, in quanto a suo dire quella sentenza aveva determinato la sopravvivenza delle parti degli avvisi di liquidazione per le quali il ricorso non era stato accolto. Una simile affermazione si pone in contrasto con l'insegnamento di questa corte tratto dai principi appena ricordati, dal momento che quei principi giustificano esattamente la diversa interpretazione del titolo, dalla commissione tributaria implicitamente ritenuta mercé l'assunto che, a seguito della sentenza, gli avvisi impugnati perdono la loro efficacia di atti impositivi, essendo infine i contribuenti tenuti ad adempiere l’obbligazione non già nei termini derivati dagli atti, sebbene nei termini imposti dalla sentenza. Consegue che, fino alla riliquidazione demandata all'amministrazione atteso il giudicato, non interessa qui indagare fino a che punto un simile mandato fosse giuridicamente consentito , l’obbligazione di pagamento, tratta dagli avvisi, non potevasi in modo alcuno considerare esigibile. V. E' errato affermare come invece è stato fatto dall'amministrazione ricorrente che, siccome annullati solo parzialmente, gli avvisi avrebbero continuato a produrre effetti anche dopo la sentenza n. 138/44/2001 e non è condivisibile l'ulteriore consequenziale rilievo che le cartelle di pagamento, sia pure errate per eccesso, in quanto richiedenti l'intera somma indicata nell'avviso di liquidazione, erano comunque legittime per la somma risultante dall'annullamento parziale . Il punto nodale della causa imponeva di considerare la cronologia dei fatti, i quali emergono dalla stessa esposizione della ricorrente. Se, da un lato, risulta che la commissione tributaria provinciale di Milano, con la più volte citata sentenza n. 138 del 2001, a conclusione del giudizio di impugnazione instaurato in relazione agli avvisi di accertamento dell'imposta di successione, aveva accolto le domanda dei contribuenti a di detrazione dell'importo di lire 8.686.051.625, relativo a titoli esenti e b di decurtazione dall'imponibile del 50 % dei beni cointestati sicché aveva accolto la domanda di annullamento dell'imposta globale e aveva demandato all'ufficio la riliquidazione dell'imposta dovuta in ragione della decisione dall'altro, risulta pure che, dopo la sentenza, erano state notificate le cartelle di pagamento ancora parametrate al debito globale di cui agli avvisi di liquidazione e che, all'esito del giudizio di impugnazione, ulteriormente promosso contro le medesime, il giudice tributario aveva condannato l'amministrazione ad adeguare le cartelle secondo il dispositivo della sentenza n. 138 del 2001. La riliquidazione dell'imposte in misura conforme al giudicato era infine avvenuta con provvedimento detto di sgravio del 17-12-2002, a fronte del quale i contribuenti avevano eseguito i dovuti pagamenti. Finanche allora dandosi per scontato che come la ricorrente afferma la concessionaria per la riscossione abbia richiesto, con le intimazioni oggetto della presente causa, il pagamento degli interessi di mora e l'aggio, sulla base di un aggiornamento contabile avente data dalla notifica delle cartelle suddette, ma attinente alle sole quote iscritte residuate dopo i provvedimenti dì sgravio, nonché dei pagamenti registrati , resta il fatto che una tale pratica intimativa era comunque illegittima. Essa, difatti, aveva a presupposto la persistente validità delle cartelle medesime, mentre, in coerenza con la natura sostitutiva della sentenza del giudice tributario, le cartelle erano da ritenere caducate a seguito dell'ordine di adeguamento impartito nella sentenza emessa a conclusione del relativo giudizio. E un titolo annullato non può costituire base di un'intimazione avente data dalla sua notifica, finanche ove aggiornata contabilmente sulla base delle quote residuate dopo i provvedimenti di sgravio. Viene difatti meno la legittimità dell'iscrizione a ruolo e, di conseguenza, l'onere di pagamento da essa derivante, ivi compreso quello relativo all'aggio. A tal riguardo è opportuno precisare che l'iscrizione a ruolo è atto della riscossione che si forma in base ai contenuti degli atti della procedura di accertamento dell'imponibile, secondo la triade dichiarazione-avviso sentenza. In mancanza, o in difformità di tale accertamento, l'iscrizione a ruolo è illegittima. E il principio deve trovare applicazione anche laddove il contrasto in ordine all'accertamento abbia imposto l’intervento giurisdizionale. Se la definizione dell'imponibile è conseguente alla sentenza, l’iscrizione a ruolo, avente a presupposto l'atto amministrativo tributario, più non rileva, in quanto una nuova iscrizione va effettuata in base alla sentenza, della quale statuizione deve riprodurre il contenuto. Da qui il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo di Esatri s.p.a., che replica le censure . VI. Eguale sorte spetta al ricorso incidentale tardivo dei contribuenti. Il ricorso incidentale attinge, da un lato, il capo della sentenza d'appello che ha escluso la responsabilità processuale aggravata dell' amministrazione e, dall'altro, il capo che ha rideterminato la somma dovuta in favore degli eredi P. in misura inferiore alla domanda di rimborso. Esso risulta affidato a tre motivi rubricati come a insufficiente motivazione della sentenza si fatto controverso art. 360, n. 5, c.p.c. b vizio di ultrapetizione e violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. c ancora insufficiente motivazione su altro profilo, ritenuto decisivo per il giudizio. E' decisivo osservare che aa il primo motivo incoerentemente denuncia ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. i profili giuridici della controversia incentrati sul quesito se sia fonte di responsabilità aggravata il comportamento dell'ufficio che ha determinato l’emissione di un avviso di liquidazione senza notificare i provvedimenti sospensivi della riscossione non dunque i profili di fatto laddove il vizio di motivazione, rilevante in cassazione, può essere impiegato solo per ottenere un sindacato indiretto sull'accertamento di fatti bb il secondo è inammissibile per genericità di formulazione del quesito che lo conclude, sostanzialmente tradotto in mero interpello sulla portata di un principio codicistico se è corretta, in relazione all'art. 112 c.p.c. e all'art. 56 del d.lgs. n. 546-1992, la sentenza che pronuncia su una domanda non formulata da nessuna parte nel corso dei precedenti gradi di giudizio, rideterminando per tale ragione le somme definite nel primo grado ed è in ogni caso infondato in quanto la rideterminazione della sorte capitale richiesta a rimborso poteva essere fatta d'ufficio dal giudice tributario, attenendo al quantum debeatur rispetto a una pretesa contestata dall'amministrazione in toto cc il terzo è inammissibile per la stessa ragione del primo, essendo anche in tal caso denunciati ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. i profili giuridici della controversia, circa questa volta il potere giudiziale di rideterminazione di importi in asserito difetto di domanda. VII. I ricorsi vanno dunque rigettati. L’esito determina la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e compensa le spese processuali.