Studi di settore salvi con scritture “regolari”

L’accertamento basato sugli studi di settore è legittimo anche quando le scritture contabili sono all’apparenza regolari, salvo che il contribuente non dimostri, mediante idonea documentazione, l’infondatezza della presunzione di maggior reddito.

Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 24482 del 18 novembre 2014. Il caso. Il Fisco ha notificato un avviso di accertamento ai fini IVA, IRAP e IRPEG con riguardo alla produzione di lamierati di ferro zincato. L’Ufficio ha tenuto conto delle giustificazioni addotte dalla contribuente nella fase del contraddittorio amministrativo riducendo, di conseguenza, l’accertato. Il contribuente non ha fornito in giudizio elementi a sostegno e riscontro dei propri assunti. Il giudice del gravame ha ritenuto legittima la ripresa fiscale perché basata su elementi riscontrati dall’Amministrazione in ordine al notevole scostamento dell’imponibile dichiarato rispetto a quello accertato mediante il criterio dello studio di settore. Accertamento induttivo anche in presenza di una contabilità formalmente in regola? Gli Ermellini hanno rilevato l’inammissibilità delle censure formulate in ricorso poiché carenti sotto il profilo dell’autosufficienza. Inoltre, la Suprema Corte di Cassazione ha puntualizzato che in tema di IVA, come delle altre imposte, l'art. 62- sexies , comma 3, d.l. n. 331/03, convertito dalla Legge n. 427, nel prevedere che gli accertamenti condotti ai sensi dell'art. 54 d.P.R. n. 633/72 possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta o dagli studi di settore elaborati ai sensi dell'art. 62 bis dello stesso d.l. n. 331 cit., autorizza l'Ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte gravi incongruenze”, a procedere all'accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste dall'art. 54 e, in particolare, anche in presenza di una contabilità formalmente in regola, con conseguente ammissibilità della stessa tipologia accertativa oltre le ipotesi già previste dal successivo art. 55 del decreto IVA. Invero, i cosiddetti studi di settore, direttamente derivanti dai redditometri” o coefficienti di reddito e di ricavi”, idonei a fondare semplici presunzioni, sono da ritenere supporti razionali offerti dall'Amministrazione finanziaria al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari ISTAT, nei quali è possibile attingere dati medi presuntivamente esatti che possono essere utilizzati dall'Ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l'infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente, come nella specie. Studi di settore I parametri e gli studi di settore, applicati nelle procedure di accertamento tributario standardizzato, costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata ex lege , ma nasce dal contraddittorio con il contribuente, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'avviso di accertamento, che deve essere motivato esponendo le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell'attività accertativa siano stati disattesi. Gli studi di settore costituiscono indici rilevatori di possibili antinomie nel comportamento fiscale del contribuente sotto il profilo della divergenza dell’ammontare dei ricavi rispetto all’elaborazione statistica che determina un livello definito normale” di redditività. Peraltro, in ossequio al principio di capacità contributiva, lo scostamento deve assumere connotato di grave incongruenza e, conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria è tenuta alla verifica in contraddittorio della situazione economica del contribuente al fine di accertare la compatibilità fra l’effettiva capacità reddituale del contribuente e gli elementi desumibili dagli studi. In questa ottica, l’ordinamento tributario non ammette che l’elaborazione statistica di cui allo studio di settore assuma automatica valenza ai fini della rettifica del reddito dichiarato dal contribuente esso rimane delimitato a mezzo di accertamento e non di determinazione della base imponibile con natura di presunzione semplice. L’obiettivo della funzione impositiva è, infatti, assicurare il concorso alle spese pubbliche in relazione alla reale e concreta capacità contributiva incorrendo perciò nel vizio di nullità l’avviso di accertamento che non sia preceduto dall’attività di adeguamento dei dati dello studio alla realtà del contribuente debitamente descritta in sede di redazione della motivazione. L'Amministrazione finanziaria che intende procedere ad accertamento induttivo con ricorso all'applicazione dei parametri è chiamata a dimostrare, anche sulla base degli elementi offerti in sede di contradditorio, l'utilizzabilità degli specifici parametri richiamati in relazione all'attività economica in concreto svolta dal contribuente e dalla stessa individuata. La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore richiede che la motivazione dell'atto di accertamento non si esaurisca nel rilievo dello scostamento tra il dichiarato e quanto desumibile dall'applicazione dei parametri o degli studi di settore, ma sia integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso tuttavia assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla base della sola applicazione degli standards, dando conto dell'impossibilità di costituire contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare nel quadro probatorio la mancata risposta all'invito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 5 – 18 novembre 2014, numero 24482 Presidente Cicala – Relatore Bognanni Svolgimento del processo 1. La società P. s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza numero 182/10/10, pubblicata il 14 luglio 2010, della commissione tributaria regionale dell'Abruzzo, sez. stacc. di Pescara, che rigettava l'appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, sicché l'opposizione relativa all'avviso di accertamento per le imposte Irpeg, Irap e Iva, riguardanti il 2004, in ordine alla produzione di lamierati in ferro zincato, veniva respinta. In particolare la CTR osservava che l'applicazione dello studio di settore era legittima, dal momento che si basava su specifici elementi riscontrati dall'amministrazione in ordine al notevole scostamento dell'imponibile dichiarato rispetto a quello accertato mediante il criterio dello studio di settore, anche perché l'agenzia aveva tenuto conto delle dichiarazioni addotte nella fase del contraddittorio amministrativo nel rideterminare il medesimo riducendolo. Né l'appellante aveva fornito ulteriori elementi a sostegno e riscontro dei suoi assunti in secondo grado. L'agenzia delle entrate resiste con controricorso. Motivi della decisione 2. Col motivo addotto circa il motivo del ricorso la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 62 sexies DL. numero 331/93, conv. dalla L. numero 427/93, oltre che insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all'art. 360, nnumero 3 e 5 cpc, in quanto il giudice di appello non considerava che lo studio di settore non era applicabile nella fattispecie, posto che lo scarto non era costituito dal grave scostamento richiesto dalla normativa, senza che sul punto avesse fornito contezza del giudizio. Né vagliava la doglianza inerente alla carente motivazione dell'atto impositivo, dal momento che gli elementi dedotti dai dati statistici erano astratti e non supportati da quelli in concreto, da fornirsi da parte dell'appellata agenzia, atteso che i costi per l'acquisto del ferro zincato erano aumentati nel frattempo sino al 50%, senza che il prodotto venduto avesse subito un aumento nel prezzo. Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. A Invero, com'è noto, nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate, e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione stessa, come nella specie Cfr. anche Cass. Sentenze numero 21611 del 20/09/2013™ numero 20355 del 2008 . B Quanto al secondo aspetto, la censura è carente di autosufficienza, dal momento che la ricorrente non ha riportato il tratto del ricorso in appello con cui avrebbe addotto la mancanza di motivazione dell'avviso di accertamento, né ha riprodotto il contenuto di quest'atto impositivo. Anche questa Corte al riguardo ha statuito che l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 366, primo comma, numero 4 cod. proc. civ. , qualunque sia il tipo di errore in procedendo o in judicando per cui è proposto, non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, come nella specie V. pure Cass. Sent. 31/05/2011, numero 20454 del 2005 . C In ogni caso - ad abundantiam - la doglianza è comunque infondata. Infatti in tema di IVA, come delle altre imposte, l'art. 62 sexies, comma 3, del d.l. 30 agosto 1993, numero 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, numero 427, nel prevedere che gli accertamenti condotti ai sensi dell'art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis dello stesso d.l. numero 331 cit., autorizza l'ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte gravi incongruenze , a procedere all'accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste dall'art. 54 e, in particolare, anche in presenza di una contabilità formalmente in regola, con conseguente ammissibilità della stessa tipologia accertativa oltre le ipotesi già previste dal successivo art. 55 del d.P.R. numero 633 del 1972. Invero i cosiddetti studi di settore introdotti dagli artt. 62 bis e 62 sexies del d.l. numero 331 del 1993, direttamente derivanti dai redditometri o coefficienti di reddito e di ricavi previsti dal d.l. 2 marzo 1989, numero 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, numero 154, idonei a fondare semplici presunzioni, sono da ritenere supporti razionali offerti dall'amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti, che possono essere utilizzati dall'ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l'infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente, come nella specie Cfr. anche Cass. Ordinanza numero 13/02/2014, Sent. numero 5977 del 2007 . Pertanto, alla luce di quanto più sopra enuncia impugnata risulta motivata in modo giuridicamente guato sul punto. 3. Ne discende che il ricorso va rigettato. 4. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio a favore della controricorrente, e che liquida in €2.500,00 duemilacinquecento/00 per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.