La donazione al figlio necessita di prova

E’ legittimo l’accertamento sintetico nei confronti del contribuente che sostiene di avere ricevuto la provvista necessaria all’acquisto di un’automobile dalla propria madre. La donazione deve essere dimostrata.

Tale principio è stato statuito dalla sentenza del 24 luglio 2014, n. 16832, della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria. Il caso. Ad un contribuente , proprietario di 4 automobili e di un immobile, è stato notificato un atto impositivo ai fini IRPEF per il 1998. Il giudice di prima istanza ha annullato la pretesa tributaria ritenendo che il contribuente aveva giustificato la diversa capacità contributiva, poiché una delle autovetture risultava immatricolata a favore di altro soggetto sin dal 1997, mentre un’altra era stata acquistata mediante la donazione di somme di denaro della madre che, a sua volta, le aveva ricevute quali indennizzo per un sinistro. Il giudice del gravame ha ritenuto privo di riscontro l’atto di liberalità del genitore, per mancanza di prova scritta. In particolare, secondo la sentenza di gravame, la sussistenza di una discrasia temporale tra la data di immatricolazione dell’autovettura novembre 1997 e quella della transazione gennaio 1998 , in virtù della quale la madre del contribuente avrebbe conseguito l’indennizzo di un sinistro,è tale da rendere non plausibile la tesi difensiva secondo cui tale somma sarebbe stata utilizzata per l’acquisto dell’autovettura . Presunzione di capacità contributiva. Gli Ermellini, con la sentenza in commento, hanno ritenuto infondato il ricorso in Cassazione del contribuente, con conseguente conferma della sentenza di secondo grado. Essi hanno sottolineato che, in tema di accertamento dei redditi, costituiscono - ai sensi dell’art. 2, d.p.r. n. 600/73, nel testo applicabile nella fattispecie ratione temporis - elementi indicativi di capacità contributiva, tra gli altri, specificamente la disponibilità in Italia o all’estero di autoveicoli, nonché di residenze principali o secondarie . La disponibilità di questi beni costituisce, quindi, una presunzione di capacità contributiva da qualificare legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c. perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto certo di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva mentre grava sul contribuente fornire la prova di redditi non imponibili idonei al mantenimento ivi compreso l’originario acquisto del possesso di tali beni . Prova delle liberalità. In base ai principi fissati dall’art. 38, comma 6, d.p.r. n. 600/73, la prova delle liberalità che hanno consentito in tutto o in parte l’incremento patrimoniale deve essere documentale e conseguentemente la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al loro contenuto Cass. n. 24597/2010 . Si richiede la prova documentale atta a collegare la stessa provvista, fornita dai congiunti, all’incremento patrimoniale realizzato. La tracciabilità del pagamento risponde ad una esigenza che non può essere disattesa neppure nei rapporti tra parenti o affini. La disponibilità finanziaria necessaria per far fronte agli investimenti può provenire anche da una donazione indiretta enunciata nell’atto. In tal caso il prezzo di acquisto di un bene viene fornito da un familiare o da un terzo mediante strumenti negoziali diversi dalla donazione ma ugualmente caratterizzati dalla volontà di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale per spirito di liberalità donazioni indirette . L’enunciazione di tali liberalità nell’atto che realizza l’incremento patrimoniale, mediante l’intervento del disponente, il quale mette a disposizione la somma utilizzata dal beneficiario per realizzare l’incremento patrimoniale, vale normalmente a dimostrare il collegamento tra il predetto incremento e la disponibilità finanziaria presupposta. Una consuetudine familiare - come quella di aiutare economicamente un figlio - non può infatti assurgere al rango di fatto notorio , ex art. 115, comma 2, c.p.c., consentendo così al giudice di ritenere l’esistenza dell’atto di liberalità, quindi di annullare l’accertamento. Ai sensi dell’art. 115 c.p.c., il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita comma 1 . Il giudice può, tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza comma 2 . La nozione di comune esperienza fatto notorio , comportando una deroga al principio dispositivo e al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va intesa in senso rigoroso, cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile. Da ciò deriva che non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio. Non si può includere nella nozione di comune esperienza un evento o una situazione soltanto probabile quale la mera prassi familiare di liberalità da parte dei genitori in favore dei figli . Cass., sentenza n. 14063/14, depositata il 20 giugno. .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 29 aprile – 24 luglio 2014, n. 16832 Presidente Cappabianca – Relatore Cricitti Svolgimento del processo L'Ufficio di Roma dell'Agenzia delle Entrate notificava a P. F. avviso di accertamento per IRPEF dell'anno di imposta 1998. L'atto impositivo scaturiva dall'applicazione dei coefficienti stabiliti dai relativi decreti ministeriali agli elementi di capacità contributiva individuati, anche all'esito della risposta del contribuente a questionario, nella proprietà di quattro autovetture e di un immobile. Il ricorso proposto avverso l'atto impositivo veniva accolto dalla C.T.P. la quale riteneva che il contribuente avesse giustificato la diversa capacità contributiva in quanto una delle autovetture risultava immatricolata a favore di altro soggetto sin dal 1997, mentre altra autovettura era stata acquistata grazie alla donazione di somme di denaro della madre la quale, a sua volta, le aveva ricevute quali indennizzo di un sinistro. La decisione, appellata dall'Ufficio, veniva parzialmente riformata dalla C.T.R. del Lazio con la sentenza indicata in epigrafe. In particolare, il Giudice di appello, rigettata l'eccezione, sollevata dal contribuente, di giudicato interno che si sarebbe formato sull'effettività della donazione, riteneva legittimo il ricorso all'accertamento sintetico. Nel merito, dato atto che un'autovettura risultava già in proprietà di altro soggetto sin dal 19971, la C.T.R. rilevava che la donazione, oltre ad essere nulla per mancanza di prova scritta, non poteva giustificare l'acquisto di altro automezzo per la discrasia temporale riscontrata tra i documenti posti a base dell'assunto. Avverso la sentenza ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, il contribuente cui ha resistito con controricorso l'Agenzia delle Entrate. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce che - avendo l'Ufficio prestato acquiescenza all'accertamento operato dalla C.T.P. sulla dazione della somma necessaria all'acquisto di un'autovettura da parte della madre - la sentenza impugnata, nel capo in cui aveva dichiarato la nullità della suddetta donazione, contrasterebbe con il giudicato interno formatosi sul punto e, quindi, sarebbe nulla, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell'art. 2909 c.c., e art. 324 c.p.c 2.La sentenza impugnata sarebbe, altresì, nulla come dedotto con il secondo motivo perchè avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile l'appello. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, l'Ufficio prestando acquiescenza alla sentenza di primo grado nella parte in cui veniva accertata la sussistenza ed efficacia della donazione avrebbe reso incontrovertibile, ai sensi dell'art. 2909 c.c., e art. 325 c.p.c., la dimostrazione che il maggior reddito accertato era, in realtà, formato da proventi non soggetti ad imposte sui redditi, quali sono, per l'appunto, quelli derivanti da donazione. 3. Con il quarto motivo, da trattare congiuntamente ai primi due attesa la comunanza di oggetto, si deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto che la nullità della donazione, per difetto di forma, rendesse inopponibile all'Ufficio la materiale disponibilità da parte del contribuente del denaro oggetto di donazione. 4. I motivi non meritano accoglimento. Premesso che dalla lettura dell'atto di appello dell'Ufficio trascritto integralmente in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza emerge che la parte pubblica aveva espressamente censurato la sentenza di primo grado in ordine all'accertamento compiuto sulla effettività della donazione, con conseguente infondatezza del primo motivo ed assorbimento del secondo, i mezzi, aventi tutti ad oggetto la declaratoria di nullità per difetto di forma della donazione, appaiono, comunque, inconducenti rispetto al decisum laddove la sentenza impugnata contiene un'ulteriore ratio decidendi, fondata sulla mancanza di prova in ordine, non all'effettività della donazione, ma all'effettivo utilizzo della somma oggetto di liberalità per l'acquisto dell'autovettura. La C.T.R. ha, infatti, rilevato la sussistenza di una discrasia temporale - tra la data di immatricolazione dell'autovettura il 3.11.2007 recte 1997 e quella della transazione gennaio 1998 in virtù della quale la madre del contribuente avrebbe conseguito l'indennizzo di un sinistro - tale da rendere non plausibile la tesi difensiva secondo cui tale somma sarebbe stata utilizzata per l'acquisto dell'autovettura. 5. Tale capo di sentenza viene censurato con il Quinto motivo di ricorso, articolato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e rubricato violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e dell'art. 2697 c.c In particolare, il ricorrente deduce l'errore commesso dalla C.T.R. essendo, nella specie, irrilevante la mancata giustificazione da parte del contribuente dell'acquisto dell'autovettura laddove ciò che aveva giustificato l'emanazione dell'avviso di accertamento erano le spese necessarie per il mantenimento della suddetta autovettura. 6. In tema di accertamento dei redditi, costituiscono - ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 2, nel testo applicabile nella fattispecie ratione temporis - elementi indicativi di capacità contributiva , tra gli - altri, specificamente la disponibilità in Italia o all'estero di autoveicoli , nonchè di residenze principali o secondarie . La disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, quindi, una presunzione di capacità contributiva da qualificare legale ai sensi dell'art. 2728 c.c., perchè è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto certo di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva cfr., tra le tante, Cass. Sentenza n. 19252 del 30/09/2005 mentre grava sul contribuente fornire la prova di redditi non imponibili idonei al mantenimento ivi compreso l'originario acquisto del possesso di tali beni. 7.Ciò posto, il motivo è inammissibile per difetto di specificità laddove il ricorso - a fronte, peraltro, della diversa linea difensiva tenuta in tutti i gradi di giudizio nei quali il contribuente ha sempre dedotto di avere acquistato l'autovettura con il provento della donazione - non riporta, neanche, il contenuto dell'avviso di accertamento dal quale risulterebbe la circostanza posta a fondamento del mezzo. 6. Con il terzo motivo - rubricato violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonchè degli artt. 2728 e 2729 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, - il ricorrente deduce l'errore commesso dalla C.T.R. nell'avere erroneamente ritenuto applicabile il c.d. redditometro nonostante l'Ufficio non avesse dimostrato l'incongruità del reddito per due o più periodi di imposta. 7. Il motivo, come eccepito in controricorso, è inammissibile siccome fondato su una questione nuova, non ritualmente introdotta con il ricorso introduttivo il cui contenuto viene riportato dallo stesso contribuente in ossequio al principio di autosufficienza e non sottoposta al vaglio del Giudice di merito. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, poste a carico della parte soccombente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell'Agenzia delle Entrate delle spese processuali che liquida in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.