Per i beni contestati occorre la prova dell’acquisto con redditi esenti

Non è sufficiente provare di aver percepito dei redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte per annullare l’avviso che accerta sinteticamente il maggior reddito ma occorre dimostrare che i beni sintomatici della maggiore capacità contributiva siano stati acquistati con quegli stessi redditi.

Il caso. È sul tema del vecchio redditometro la sentenza di Cassazione depositata il 18 aprile 2014, n. 8995, con cui viene cassata la decisone d’Appello che annullava gli avvisi emessi dall’Amministrazione per recuperare il maggior reddito ai fini IRPEF, in ragione dell’incompatibilità tra il reddito dichiarato dal contribuente e la proprietà di un’autovettura e alcune unità immobiliari. Disinvestimenti azionari. Violando il dettato del vecchio art. 38, comma 6, d.P.R. n. 633/1972, la CTR riteneva sufficiente la prova fornita dal contribuente in merito all’esistenza e alla disponibilità, nel periodo in contestazione 1998/1999 , di redditi esenti risultanti da disinvestimenti azionari al fine di porre nel nulla le pretese dell’Agenzia. Ma come ben chiariscono i Supremi Giudici, la vecchia disciplina richiamata chiedeva, ai fini probatori, qualcosa di più la durata e il possesso dei dimostrati redditi esenti che costituiscono il maggior reddito determinato sinteticamente devono risultare da idonea documentazione . E con tale ultimo inciso, secondo gli Ermellini, il Legislatore, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere . In quest’ottica, la ratio coincide con la finalità di ancorare a fatti oggettivi i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte , allo scopo di poterli riferire alla maggiore capacità contributiva accertata sinteticamente, che altrimenti deriverebbe da altri redditi non dichiarati. Posto che la prova documentale richiesta non risulta particolarmente onerosa , bastando a tal fine l’esibizione degli estratti di c/c, idonei a dimostrare il possesso dei redditi in esame, non essendo sufficiente il semplice transito nella disponibilità del contribuente. Nei fatti di specie, proprio quest’ultima prova relativa alla durata del possesso non è stata fornita, ragion per cui, la Corte, in accoglimento del ricorso proposto dall’Amministrazione, ha cassato la sentenza della CTR ed ha ordinato al giudice del rinvio di decidere nuovamente la causa facendo applicazione del principio enunciato. fonte www.fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 15 gennaio – 18 aprile 2014, n. 8995 Presidente Cappabianca – Relatore Di Iasi In fatto e in diritto 1. L’Agenzia delle Entrate ricorre - nei confronti di N.C. che non ha resistito - per la cassazione della sentenza di cui in epigrafe, con la quale la CTR Lombardia - in controversia riguardante impugnazione di avvisi di accertamento di maggior reddito ai fini Irpef in relazione agli anni 1998 e 1999, emessi ex art. 38 d.p.r. 600/73 per aver il contribuente negli anni in questione dichiarato redditi non compatibili con la proprietà di un’autovettura e di alcune unità immobiliari - ha accolto l’appello del contribuente, in totale riforma della sentenza di primo grado che aveva rigettato i ricorsi riuniti del medesimo. In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che l’Ufficio aveva errato nel considerare rilevante ai fini del redditometro un’autovettura che non era nella disponibilità del contribuente, e che, in ogni caso, il contribuente aveva dimostrato di avere avuto nella propria disponibilità, in relazione agli anni in questione, redditi esenti per £ 51.100.000 e per £ 106.067.670. 2. Col primo motivo, deducendo violazione degli articoli 38 d.p.r. 600/73 e 2697 c.c., l’Agenzia ricorrente sostiene che i giudici d’appello hanno errato nel ritenere sufficiente ad escludere la presunzione di maggior reddito la prova, fornita dal contribuente, della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi esenti nella specie, per disinvestimenti azionari senza che risultasse altresì la prova che detti redditi erano stati effettivamente utilizzati per coprire le spese contestate. La censura è fondata nei termini di cui in prosieguo. A norma dell’art. 38, comma sesto d.p.r. n. 600 del 1973, l'accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione . La norma chiede dunque qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte , e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere . In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova risultante da idonea documentazione della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi di tipo quantitativo e temporale la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. E’ peraltro appena il caso di aggiungere che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame quindi non il loro semplice transito nella disponibilità del contribuente . E’ infine da evidenziare che questa Corte, in relazione all’accertamento sintetico del reddito, con riferimento a spese per incrementi patrimoniali, ha avuto occasione di affermare che la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall'art. 38, sesto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e non già con qualsiasi altro reddito dichiarato cfr. cass. n. 6813 del 2009 . Tanto premesso, nella specie dalla sentenza impugnata risulta accertato che il contribuente ha fornito la prova dell’esistenza e del l'ammontare della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi risultanti da disinvestimenti azionari, ma non risulta accertato che abbia altresì fornito idonea prova, tantomeno documentale, della durata del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria, come sopra evidenziato, a consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che i primi giudici abbiano annullato gli avvisi di accertamento in contestazione sulla sola base dell’esistenza di redditi esenti senza verificare se il contribuente avesse reinvestito le suddette somme. La censura - con la quale si propone, sotto il profilo del vizio di motivazione, la medesima censura proposta nel primo motivo - è innanzitutto, siccome formulata, inammissibile per mancanza della indicazione prevista dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis , a norma del quale il motivo di censura ex art. 360 n. 5 c.p.c. deve contenere una indicazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso e decisivo in relazione al quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l'onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è viziata deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all'illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l'ammissibilità del ricorso v. cass. n. 8897 del 2008 . E’ in ogni caso da aggiungere che la suddetta censura attiene ad un vizio della motivazione in diritto della sentenza impugnata per non avere i giudici d’appello considerato che nella specie la prova contraria gravante sul contribuente non si esauriva nella prova dell’esistenza e dell’ammontare di ulteriori redditi esenti , vizio che avrebbe potuto ammissibilmente essere denunciato sempre che la decisione non fosse conforme a diritto solo ai sensi del n. 3 del citato art. 360 come peraltro la ricorrente ha fatto nel motivo che precede , posto che il vizio di motivazione di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. può riguardare soltanto l’accertamento in fatto, non le ragioni in diritto della sentenza. Col terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per contraddittorietà della motivazione, sostenendo che la medesima sarebbe in contraddizione con gli atti processuali, in particolare con riguardo all’affermazione che l’autovettura considerata ai fini della determinazione del reddito con metodo sintetico non era nella disponibilità del contribuente . La censura è inammissibile innanzitutto perché manca nella specie l’indicazione prevista dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis , a norma del quale il motivo di censura ex art. 360 n. 5 c.p.c. deve contenere una indicazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso e decisivo in relazione al quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l'onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è viziata deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all'illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l'ammissibilità del ricorso v. cass. n. 8897 del 2008 . E’ poi ulteriormente da sottolineare che il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., deve essere intrinseco alla medesima sentenza e non può essere riferito a parametri valutativi esterni, in quanto, afferendo alla stessa logicità della sentenza, tale vizio può essere riscontrato nel suo solo ambito, non rilevando, al riguardo, eventuali contrasti - pur denunciabili sotto altri profili - tra le affermazioni della stessa sentenza ed il contenuto di prove e documenti v. cass. nn. 1605 e 6787 del 2000 . Alla luce di quanto sopra esposto, il primo motivo di ricorso deve essere accolto mentre il secondo e il terzo devono essere dichiarati inammissibili. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altro giudice che provvederà a decidere la controversia facendo applicazione del principio di diritto enunciato in relazione all’accoglimento del primo motivo e provvederà altresì in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Lombardia.