Costituire una società e cedere subito un ramo di azienda è abuso di diritto

Una società che nel giro di poco tempo ne costituisce una nuova, cedendo con effetto immediato un ramo di attività, compie una operazione di tipo elusivo in quanto nasconde una cessione di azienda e legittima l’amministrazione finanziaria al recupero a tassazione della maggiore imposta di registro.

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza numero 5877 del 13 marzo 2014, accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate per i giudici di legittimità è abuso di diritto la cessione di quote di una società neocostituita alla quale, in precedenza, era stato conferito un ramo di azienda. Operando in tal modo si elude l’imposta di registro sulla cessione di azienda da calcolare in misura proporzionale , rispetto a quella più favorevole fissa, per la vendita delle quote. Per la Cassazione è, quindi, legittimo il recupero a tassazione della maggiore imposta di registro non pagata. Il caso. L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale, depositata il 10 febbraio 2010, con la quale rigettava l'appello della medesima Agenzia contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di conseguenza l’opposizione delle SRL , posta in liquidazione e poi cancellata dal registro delle imprese e della neocostituita società e dei ex soci della prima, veniva accolta. Gli atti impositivi concernevano la costituzione della seconda società ad opera della SRL, seguita da lì a poco dall'aumento del capitale mediante il conferimento di un ramo d'azienda e di denaro da parte della SRL. Contestualmente la SRL cedeva tutte le sue quote alla nuova società il tutto con atti separati e molto ravvicinati nel tempo, per i quali l'imposta di registro veniva pagata in termine fisso come mero conferimento, e non piuttosto come cessione di azienda. Nella sentenza oggetto di impugnazione davanti alla Cassazione, la CTR osservava che doveva aversi riguardo al contenuto dei singoli atti ai fini della imposizione, senza che l'autonomia negoziale delle parti venisse intaccata mediante un collegamento tra i contratti, che non era dato configurare, trattandosi di imposta qual è quella di registro. L’abuso del diritto e l’elusione fiscale utilizzo consapevole delle lacune e delle imperfezioni normative presenti in ogni sistema fiscale. In ambito tributario, ogniqualvolta il legislatore intende tassare un atto, un fatto ovvero un comportamento indice di capacità contributiva, qualifica e delinea un presupposto imponibile, sul quale trova applicazione e deve essere versata la relativa imposta. L’elusione fiscale e l’abuso di diritto sono condotte che consistono, identicamente, nell’utilizzo consapevole delle lacune e delle imperfezioni normative presenti in ogni sistema fiscale, diretto a ridurre l’onere impositivo in modo non conforme, ma senza violare apertamente le singole disposizioni in cui si articola l’ordinamento tributario. Fermo restando che molti utilizzano in modo indistinto i 2 termini per descrivere o qualificare tutte le condotte di c.d. evasione interpretativa che comportano un risparmio fiscale illecito attraverso un’interpretazione anti-giuridica delle norme tributarie, la differenza sostanziale tra le due nozioni si ravvisa nella condotta attiva del contribuente, che si qualifica come abuso di diritto in tutti i casi in cui si verifica un’utilizzazione distorta delle norme fiscali elusione fiscale in presenza di una manovra di aggiramento delle finalità sottostanti alle norme che compongono l’ordinamento tributario. Le norme fiscali individuano tutta una serie di atti, fatti, comportamenti e circostanze che, nei diversi ambiti impositivi in cui si articola il nostro ordinamento tributario, integrano gli estremi del presupposto imponibile”, ossia del presupposto sul quale trova applicazione e deve essere versata la relativa imposta. Il contribuente che intenda porre in essere un determinato atto o comportamento o che preveda la sopravvenienza di determinati fatti o circostanze riconducibile nel novero dei presupposti imponibili”, rilevanti ai fini di una o più leggi di imposta, qualora non intenda restare inciso di quanto risulta dovuto all’Erario, ha due possibilità 1 porre in essere dei comportamenti illeciti, finalizzati a non rendere conoscibile all’Erario l’esistenza del presupposto imponibile, oppure finalizzati ad occultare in tutto o in parte la base imponibile su cui andrebbe calcolata l’imposta dovuta in forza del presupposto imponibile noto” 2 porre in essere dei comportamenti in sé perfettamente leciti, ma combinati tra loro in modo tale da consentire al contribuente di pervenire a un risultato analogo a quello di cui al punto precedente, in termini di risparmio fiscale illecito”. Invece, la principale differenza tra i comportamenti elusivi ed abusivi e le più gravi condotte evasive, poste in essere anche ma non necessariamente con frode è ravvisabile, nei casi di elusione o abuso, nel confinamento in ambito giuridico del comportamento illecito atteso che, come rilevato in dottrina i fatti sono manifestati al fisco, non certo gridandoli ai quattro venti, ma comunque mettendoli alla portata di qualsiasi ufficio fiscale che utilizzi un’ordinaria diligenza nelle indagini insomma, nell’elusione i fatti sono manifestati al Fisco nel senso che sono regolarmente rendicontati dove la legge prevede, cioè nelle dichiarazioni, negli allegati, nei bilanci o nelle scritture contabili. Questo esclude già che l’elusione possa comportare una falsità materiale, intesa come falsificazione di documenti, scritture, etc., ovvero una falsità ideologica, cioè affermazione di circostanze fattuali diverse da quelle effettive . Operazione economica unitaria. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, in quanto il giudice di appello non ha considerato che il conferimento di ricchezza si era già verificato con la cessione degli immobili al momento della costituzione della società, e gli atti successivi recenti circa il trasferimento di tutto il pacchetto di quote sociali configuravano un'operazione economica unitaria, rilevante ai fini impositivi in argomento, senza che potesse darsi alcun rilevo alla apparente natura dei singoli contratti tra loro sganciati, ma tento elusivo. In realtà in tema di imposta di registro, la scelta, compiuta dal legislatore con l’art. 20 d.P.R. numero 131/1986, di privilegiare, nella contrapposizione fra la intrinseca natura e gli effetti giuridici ed il titolo o la forma apparente di essi, il primo termine, unitariamente conside rato, implica, assumendo un rilievo di fondo, che gli stessi concetti privatistici sull'autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria. Ciò comporta che, ancorché non possa prescindersi dall'interpretazione della volontà negoziale secondo i canoni generali, nell'individuazione della materia imponibile dovrà darsi la preminenza assoluta alla causa reale sull'assetto cartolare, con conseguente tangibilità, sul piano fiscale, delle forme negoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola, sicché l'autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi e non anche di quelli economici, riferiti alla fattispecie globale restano necessariamente circoscritti alla regolamentazione formale degli interessi delle parti, perché altrimenti finirebbero per sovvertire i detti criteri impositivi, come nella specie. Un altra contestazione che l’Agenzia delle Entrate evidenzia nel ricorso in Cassazione è quella che denuncia vizi di motivazione, giacché il giudice di appello non considerava che tutti i ne gozi dovevano essere valutati come una complessa operazione unitaria. Pertanto questo denotava la cessione di azienda con chiaro intento elusivo, e quindi un abuso di diritto, senza che peraltro i contribuenti avessero provato un differente intento economico. La condotta elusiva secondo la Cassazione. Per la Cassazione costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo elusivo del Fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera ove esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. Peraltro il principio secondo cui, in forza del diritto comunitario, non sono opponibili alla Amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano abuso del diritto , cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, deve estendersi a tutti i settori dell'ordinamento tributario, e dunque anche all'ambito delle imposte indirette, prescindendosi dalla natura fittizia o fraudolenta della operazione stessa, essendo all'uopo sufficiente anche la mera prova presuntiva, come nella specie. Pertanto incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale o teorico, come nel caso in esame. Le conclusioni. Per la Corte di Cassazione il ricorso va accolto con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo di un altra sezione, per nuovo esame, che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 19 febbraio – 13 marzo 2014, n. 5877 Presidente Cicala – Relatore Bognanni Svolgimento del processo 1. L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna n. 38/06/10, depositata il 10 febbraio 2010, con la quale essa rigettava l'appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, sicchè l'opposizione delle società C. srl., posta in liquidazione e poi cancellata dal registro delle imprese Centrale 02 srl. e Milan Garibaldi Spa., nonché di R.C. e G.T. in proprio e quali ex soci della prima, veniva accolta. Gli atti impositivi concernevano la costituzione della seconda società ad opera della prima e di C. seguita da li a poco dell’aumento del capitale di C. mediante conferimento di un ramo d'azienda e di denaro da parte della prima, nonché dell’esigua somma di € 200,00 ad opera del secondo. Contestualmente la C. cedeva tutte le sue quote alla M.G. il tutto con atti separati e molto ravvicinati nel tempo, per i quali l'imposta di registro veniva pagata in termine fisso come mero conferimento, e non piuttosto come cessione di azienda. In particolare la CTR osservava che doveva aversi riguardo al contenuto dei singoli atti ai fini della imposizione, senza che l'autonomia negoziale delle parti venisse intaccata mediante un collegamento tra i contratti, che non era dato configurare, trattandosi di imposta qual è quella di registro. Le società C. e M.G., nonché T. resistono con controricorso, ed hanno depositato memoria, mentre C. non si è costituito. Motivi della decisione 2. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, in quanto il giudice di appello non considerava che il conferimento di ricchezza si era già verificato con la cessione degli immobili al momento della costituzione della società, e gli atti successivi recenti circa il trasferimento di tutto il pacchetto di quote sociali configuravano un'operazione economica unitaria, rilevante ai fini impositivi in argomento, senza che potesse darsi alcun rilevo alla apparente natura dei singoli contratti tra loro sganciati, ma ispirati da intento elusivo. Il motivo va condiviso. Invero in tema di imposta di registro, la scelta, compiuta dal legislatore con l'art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, di privilegiare, nella contrapposizione fra la intrinseca natura e gli effetti giuridici ed il titolo o la forma apparente di essi, il primo termine, unitariamente considerato, implica, assumendo un rilievo di fondo, che gli stessi concetti privatistici sull'autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria. Ciò comporta che, ancorché non possa prescindersi dall'interpretazione della volontà negoziale secondo i canoni generali, nell'individuazione della materia imponibile dovrà darsi la preminenza assoluta alla causa reale sull'assetto cartolare, con conseguente tangibilità, sul piano fiscale, delle forme negoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola, sicché l'autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi e non anche di quelli economici, riferiti alla fattispecie globale restano necessariamente circoscritti alla regolamentazione formale degli interessi delle parti, perché altrimenti finirebbero per sovvertire i detti criteri impositivi, come nella specie Cfr. anche Cass. Sentenze n. 13580 del 11/06/2007, n. n. 10273 del 04/05/2007 . Dunque sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto. 3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia vizi di motivazione, giacchè il giudice di appello non considerava che tutti i negozi dovevano essere valutati come una complessa operazione unitaria, anche per la loro quasi contestualità e la fuoriuscita della cedente dalla società, a base ristretta tra i due soggetti, dei quali la C. deteneva addirittura il 99,66% delle quote nell'altra, cioè la C. Pertanto questo denotava la cessione di azienda con chiaro intento elusivo, e quindi un abuso di diritto, senza che peraltro i contribuenti avessero differente intento economico. La censura è fondata. Infatti, com'è noto, in materia tributaria, costituisce condotta abusiva l'operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera ove esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta V. pure Cass. Sentenze n. 19234 del 2012, n. 21782 del 2011 . Peraltro il principio secondo cui, in forza del diritto comunitario, non sono opponibili alla Amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano abuso del diritto , cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, deve estendersi a tutti i settori dell'ordinamento tributario, e dunque anche all'ambito delle imposte indirette, prescindendosi dalla natura fittizia o fraudolenta della operazione stessa, essendo all'uopo sufficiente anche la mera prova presuntiva, come nella specie. Pertanto incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale o teorico, come nel caso in esame Cfr. anche Cass. Sentenze n. 8772 del 04/04/2008, n. 25537 del 30/11/2011 . Perciò anche su tale punto la decisione impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato. 4. Ne discende che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo , altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto. 5. Quanto alle spese dell'intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso. P.Q.M. Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna, altra sezione, per nuovo esame.